Nel 336[1] abbiamo la
prima attestazione della celebrazione del giorno del Natale di Gesù al 25 dicembre in coincidenza con il
giorno festivo del calendario romano dedicato al dies natalis del Sol invictus. Era ed è il
solstizio d’inverno, il momento nel quale le giornate riprendono ad allungarsi e la luce - e, con il suo
calore, la vita - lentamente riprende vigore.
La scelta della data cristiana non ha ovviamente nulla a che fare con una precisa conoscenza del giorno natale del
Signore, che è sempre stata ignota, non essendoci fornita dai testi neotestamentari.
Piuttosto, per comprendere il motivo di questa decisione, dovremo risalire storicamente fino al culto solare
celebrato nell’antica Emesa e trasportato a Roma dagli imperatori romani del III secolo d.C., ma, ancor
più, indagare quella straordinaria attitudine del cristianesimo primitivo teso a scorgere le domande che
emergevano dalla cultura pagana per illuminarle – è il caso di dirlo – a partire dalla
novità del vangelo[2].
Ad Emesa[3], l’attuale
Homs in Siria, si adorava da tempi antichissimi una divinità a carattere solare.
L’esistenza di divinità a carattere solare è un fenomeno religioso assai diffuso in diversi
contesti culturali, ma nell’impero romano ebbe particolare sviluppo, grazie agli imperatori di origine siriaca,
appunto. Caracalla (212-217), infatti, diffuse per primo il culto del dio solare di Emesa[4], poiché da quella città proveniva sua madre
Giulia Domna, di stirpe sacerdotale - il padre di Caracalla era Settimio Severo. Con Eliogabalo (218-222) tale
culto raggiunse il suo punto più alto, essendo egli sacerdote dell’Helios di Emesa, di cui intese fare
il dio principale a protezione dell’impero (il dio solare era venerato proprio con il nome di El Gabal).
Eliogabalo fece erigere in Roma un apposito tempio nel quale fece trasportare da Emesa, una pietra caduta dal
cielo, che era venerata nella città siriaca. Insomma, l’ascesa degli dèi siriaci procedette
di pari passo con l’ascesa di dinastie di origine orientale sul trono imperiale. Con la caduta di
Eliogabalo[5] ci fu, però, una decadenza del
culto e la pietra sacra fu inviata nuovamente ad Emesa.
Il riferimento al sole, come immagine divina, fu certamente accentuato anche da una seconda forma di culto solare
che fu importato in Roma, probabilmente al seguito dei soldati che rientravano dalle campagne in oriente, e,
precisamente, il culto di Mitra. Mitra era, infatti, invocato come “Mitra invitto Sole”, sebbene
Mitra e Sole appaiano talvolta distinti nel culto mitraico. I “misteri” di Mitra vengono conosciuti in
occidente a partire dalla fine del I secolo/inizi del II e sono di carattere iniziatico, riservati ai soli uomini
ed interdetti alle donne. Mantengono alcuni aspetti dell’originario culto di origine indo-iranica con gli
aspetti solari e di giustizia, ma vi introducono gli elementi cosmogonici e soteriologici che li differenzieranno
dalle primitive forme indo-iraniche. Sono così, nella forma che tanto successo ebbe nell’impero
romano, posteriori al cristianesimo.
Anche il dio egizio Serapide fu venerato con caratteri solari, nello stesso periodo, e anche autori di impostazione
neo-platonica, come Porfirio (232/33-305?) – e successivamente Giuliano imperatore (360-363) e Macrobio -
fecero riferimento all’immagine del sole.
L’espressione più vivace del culto solare, successivamente ai Severi, si ebbe con Aureliano
(270-275) che, entrato vittoriosamente ad Emesa, ne trasferì nuovamente il culto a Roma in un tempio eretto a
spese dello stato[6] e vi istituì un culto
ufficiale: un collegio sacerdotale fu incaricato e fu istituito un agone quadriennale da celebrarsi il 25
dicembre, dies natalis del Sol invictus.
Aureliano fece inserire definitivamente nel calendario civile romano la celebrazione del 25 dicembre, come giorno
del Sole non vinto, che trionfa sulle tenebre. nel tempo si era accentuata la sfumatura enoteistica del culto
solare[7].
Appare ormai sicuro che Costanzo Cloro, padre di Costantino, e così suo figlio almeno prima
dell’incontro con il cristianesimo, venerassero nel sole come una immagine dell’unica
divinità.
In maniera indipendente da ciò che fin qui si è visto, si sviluppava, nel
frattempo, il cristianesimo primitivo. Cristo è da subito, fin dai testi fondativi neotestamentari
che rimandano al Gesù storico, compreso come la vera luce, più luminosa di ogni luce naturale,
perché presenza e manifestazione
della stessa luce divina. Solo Cristo, luce del mondo è, perciò, capace di vincere ogni
tenebra, compresa quella della morte e del peccato.
Nei sinottici tutto questo è espresso nella Trasfigurazione (cfr. Mt 17,2: Il suo volto brillò
come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce), ma, ancor prima nei cosiddetti vangeli
dell’infanzia (Lc 1,78: Sorgerà come sole, anatolê; qui è possibile tradurre
anche con astro, cogliendo il riferimento messianico a Nm 24,17 e Ml 3,20) ed, ancora, nella predicazione
pubblica di Gesù (Mt 4,16, che cita Isaia: Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande
luce).
Il tema appare nelle lettere paoline e deuteropaoline (2Cor 4,6: E Dio che disse: Rifulga la luce nelle
tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di
Cristo; Ef 5,14 Svegliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà). Nel caso di
2Cor 4,6 abbiamo una esplicita citazione del libro della Genesi, con riferimento alla creazione della luce
separata dalle tenebre.
In Giovanni, il tema viene ancora più messo in evidenza, dal Prologo al cieco nato, fino alla 1Gv (Gv
1,9: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo; Gv 8,12; 9,5: Cristo luce del mondo; Gv 12,35
Ancora per poco tempo la luce è con voi; 1Gv 2,8 Poiché le tenebre stanno diradandosi e la vera luce
già risplende).
Il simbolismo, però, si allargava ad illuminare di sé ambiti sempre più ampi. Si pensi
al dies Domini, il primo giorno dopo il sabato, la domenica, che coincideva con il Giorno del
sole (ancora oggi, nell’inglese sunday), dove diveniva evidente, nell’annuncio
cristiano delle prime generazioni, che il vero sole che sorgeva dopo il buio della morte era il Cristo risorto. O
ancora alla successiva orientazione (dove orientare indica appunto il rivolgersi verso est, verso il luogo da dove
sorge la luce del sole) delle chiese paleocristiane.
Abbiamo testimonianza negli scritti patristici che, prima del Natale – e prima ancora dell’Epifania che
precede storicamente la scelta del giorno liturgico del Natale – alcuni scrittori cristiani avevano cercato
ulteriori collegamenti simbolici con il tema del sole e della luce, per provare a determinare il giorno della
nascita del Cristo, lasciato indeterminato dalle Scritture.
Come ha mostrato Hugo Rahner – fratello, anch’egli gesuita, del più famoso Karl, e straordinario
studioso dei rapporti fra il cristianesimo primitivo ed il mondo pagano - è attestato che nel 243
l’anonima opera De Pascha computus aveva proposto che, a partire dalla convinzione che
la creazione fosse iniziata con l’equinozio di primavera, cioè il 25 marzo, la nascita di Cristo
andasse posta il 28 marzo, perché quella data cadeva il quarto giorno dall’inizio della creazione e,
cioè, precisamente nel giorno della creazione del sole.
H.Rahner sottolinea che, se ad una prima lettura questo ragionamento non può non farci oggi sorridere,
ad un livello più profondo manifesta che “ciò sui cui si fonda tale computo è
indubbiamente la teologia del Cristo come sole di giustizia, teologia venuta a delinearsi già da lungo
tempo e a cui è collegato il computo della data natalizia”[8].
Secondo la sua analisi già la festa dell’Epifania venne stabilita a partire da riferimenti
analoghi. Dai testi di Epifanio di Salamina risulta che la festa fu introdotta in relazione alle celebrazioni
solari pagane che avevano luogo il 6 gennaio, ad Alessandria d’Egitto e nell’oriente in
genere[9].
Il Rahner premette alla sua opera la stupenda citazione di Clemente Alessandrino che scrisse nel suo
Protrettico: “Vieni, ti voglio mostrare il Logos e i misteri del Logos, e te li voglio spiegare
mediante immagini che ti sono già familiari”[10].
Essa manifesta, appunto, quell’attitudine della chiesa primitiva a guardare con attenzione al mondo nel
quale viveva colui al quale si annunciava il vangelo, per coglierne quegli aspetti che potessero aiutarlo a
comprendere la novità portata dal Cristo, secondo l’adagio paolino: “Esaminate ogni cosa,
tenete ciò che è buono, fuggire ogni specie di male” (1Ts 5,21-22).
Fu così che la chiesa di Roma per prima decise di celebrare la festa del Natale del Signore, vera luce del
mondo, proprio nel giorno in cui l’uomo pagano si rivolgeva, ormai incredulo, al Sol
invictus, chiedendogli benedizione e salvezza.
Gli scritti dell’età patristica manifestano la consapevolezza dei cristiani nell’operare in
questa direzione. E’ conservata la testimonianza del trattato De solstitiis et
aequinoctiis – testo attribuito dal Wilmart, che lo scoprì, alla fine del III secolo, ma che
più probabilmente è degli inizi del IV secolo[11]:
“Ma (questo giorno), essi lo chiamano anche ‘Natale del Sole invitto’. Ma che cosa è
così invitto come nostro Signore, che annientò e vinse la morte? E se quelli chiamano questo giorno
il ‘Natale del sole’, Egli è il Sole di giustizia, di cui il profeta Malachia ha detto:
‘Divinamente terribile si leverà davanti a voi il suo nome come sole di giustizia e scampo sotto le sue
ali’ ”.
Gli farà eco, con esplicito riferimento al solstizio, Girolamo, una volta che la festa
apparterrà già alla tradizione[12]:
“Perfino la creazione dà ragione al nostro dire, l’universo testimonia la verità delle
nostre parole. Fino a questo giorno aumenta la lunghezza del buio; a partire da questo giorno le tenebre crescono.
Aumenta la luce, si riducono le notti! Il giorno cresce, decresce l’errore perché sorga la
verità. Ché oggi ci è nato il sole della giustizia”.
La celebrazione del Cristo stesso, in luogo del sole stesso, portava con sé anche l’aspetto
demitizzante che ha sempre contraddistinto il cristianesimo. Così scriveva Firmico Materno,
esaltando la verità della fede cristiana[13]:
“Se il sole, convocato tutto il genere umano, potesse parlare, desterebbe la vostra (di coloro
che seguono i culti pagani) disperazione forse con questo discorso: O uomini deboli ed ogni giorno ribelli a Dio in
tutti modi, chi vi spinse a sì gran delitto di dire con profano ed arbitrario errore d’insano capriccio
ch’io nasco e muoio?... Piangete Libero, Proserpina, Attis, Osiride, ma senza menomare la mia dignità...
Nel principio del giorno Iddio mi creò, questo solo mi basta”.
L’allora cardinal J.Ratzinger ha così espresso con un linguaggio moderno la freschezza e la bellezza di
queste riflessioni dei Padri della Chiesa[14]:
“Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da un sentimento che è molto simile al nostro.
Si trattava di un mondo in cui il ‘crepuscolo degli dèi’ non era uno slogan,
ma un fatto reale. Gli antichi dei erano a un tratto divenuti irreali: non esistevano più, la gente non
riusciva più a credere ciò che per generazioni aveva dato senso e stabilità alla vita. Ma l'uomo
non può vivere senza senso, ne ha bisogno come del pane quotidiano. Così, tramontati gli antichi astri,
egli dovette cercare nuove luci. Ma dov'erano? Una corrente abbastanza diffusa gli offriva come alternativa il
culto della ‘luce invitta’, del sole, che giorno dopo giorno percorre il suo corso sopra la terra, sicuro
della vittoria e forte, quasi come un dio visibile di questo mondo. Il 25 dicembre, al centro com'è dei giorni
del solstizio invernale, doveva essere commemorato come il giorno natale, ricorrente ogni anno, della luce che si
rigenera in tutti i tramonti, garanzia radiosa che, in tutti i tramonti delle luci caduche, la luce e la speranza del
mondo non vengono meno e da tutti i tramonti si diparte una strada che conduce a un nuovo inizio.
Le liturgie della religione del sole avevano molto abilmente assunto un'angoscia e una speranza originarie
dell'uomo. L'uomo primitivo che, in passato, nelle notti sempre più lunghe d'autunno e nella forza sempre
più debole del sole, aveva avvertito l'arrivo dell'inverno, si era chiesto ogni volta con angoscia: muore
davvero il sole dorato? Ritornerà? O finirà, quest'anno o un altr'anno, con l'esser vinto dalle
forze maligne delle tenebre, così da non ritornare mai più? Il sapere che ogni anno ritornava il
solstizio d'inverno garantiva in fondo la certezza della rinnovata vittoria del sole, del suo sicuro e perpetuo
ritorno. È la festa in cui si compendia la speranza, anzi, la certezza dell'indistruttibilità delle
luci di questo mondo. Quest'epoca, nella quale alcuni imperatori romani avevano cercato di dare ai loro sudditi,
in mezzo all'inarrestabile caduta delle antiche divinità, una fede nuova con il culto del sole invitto,
coincide col tempo in cui la fede cristiana tese la sua mano all'uomo greco-romano. Essa trovò nel culto
del sole uno dei suoi nemici più pericolosi. Tale segno, infatti, era posto troppo palesemente davanti agli
occhi degli uomini, in maniera molto più palese e allettante del segno della croce, col quale
procedevano gli araldi cristiani. Ciononostante, la fede e la luce invisibile di questi ultimi ebbero il sopravvento
sul messaggio visibile, col quale l'antico paganesimo aveva cercato di affermarsi.
Molto presto i cristiani rivendicarono per loro il 25 dicembre, il giorno natale della luce invitta, e lo
celebrarono come natale di Cristo, come giorno in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo. Essi dissero ai
pagani: il sole è buono e noi ci rallegriamo non meno di voi per la sua continua vittoria, ma il sole non
possiede alcuna forza da se stesso. Può esistere e aver forza solo perché Dio lo ha creato. Esso ci
parla quindi della vera luce, di Dio. E il vero Dio che si deve celebrare, la sorgente originaria di ogni luce, non
la sua opera, che non avrebbe alcuna forza da sola. Ma questo non è ancora tutto, non è ancora la
cosa più importante. Non vi siete accorti forse che esistono un'oscurità e un freddo, nei riguardi dei
quali il sole è impotente? È quel freddo che sorge dal cuore ottenebrato dell'uomo: odio, ingiustizia,
cinico abuso della verità, crudeltà e degradazione dell'uomo...
Il bene otterrà senso e forza nel mondo? Nella stalla di Betlemme ci è offerto il segno che ci fa
rispondere lieti: sì. Infatti, questo bambino - il Figlio unigenito di Dio - è posto come segno e
garanzia che, nella storia del mondo, l'ultima parola spetta a Dio, a lui che è la verità e
l'amore. Questo è il senso vero del Natale: è il «giorno in cui nasce la luce invitta»,
il solstizio d'inverno della storia mondiale. In mezzo all'altalena di questa storia ci è data la certezza che
la luce non morirà, ma tiene già nelle sue mani la vittoria finale. Il Natale allontana da noi la
seconda, più grande angoscia, che nessuna fisica può disperdere, la paura per l'uomo e dell'uomo
stesso. Noi possediamo la certezza divina che la luce ha già vinto nella profondità occulta della
storia e che tutti i progressi del male nel mondo, per grandi che essi siano, non possono assolutamente cambiare le
cose. Il solstizio invernale della storia si è irrevocabilmente verificato con la nascita del bambino di
Betlemme”.
La festa del Natale, sorta in occidente fu presto accolta anche in oriente. La troviamo
testimoniata[15] nel 380 con Gregorio di Nissa in
Cappadocia e con Gregorio di Nazianzo in Costantinopoli, nel 386 con Giovanni Crisostomo ad Antiochia, nel 380/400
con Asterio di Emesa nel Ponto, nel 432 con Paolo di Emesa ad Alessandria, nel 439 con Giovenale a Gerusalemme
(certamente in quell’anno la celebrò Melania juniore a Gerusalemme, pochi giorni prima della sua
morte).
[1] La testimonianza è nella Depositio martyrum, l’antico calendario liturgico della chiesa di Roma, conservatoci, insieme alla Depositio episcoporum, nel suo Cronografo da Furio Dionigi Filocalo. Si evince dai dati interni al testo stesso che esso è stato composto nel 354 – la datazione deriva dai fasti consolari, dalle liste dei prefetti delle città e dei papi e dal catalogo liberiano – ma, poiché l’ultimo papa della lista primitiva del catalogo è papa Silvestro, scomparso nel 335, si retrodata la sua composizione originaria al 336 ca. L’elenco comprende le date liturgiche per la celebrazione dei martiri che erano festeggiati a Roma e nelle immediate vicinanze, Cfr. V.Saxer, Depositio episcoporum-Depositio martyrum, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.I, coll.921-922.
[2] Già nel 1957 H.Rahner poneva con
chiarezza i problemi metodologici di una indagine comparata delle religioni pagane e del cristianesimo, con
particolare riferimento ai cosiddetti culti misterici (H.Rahner, Il mistero cristiano e i misteri pagani, in
H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, pp.17-61),
differenziando il versante storico da quello teologico. Per quel che riguarda la ricerca storiografica egli
individuava due posizioni possibili (in questa sede, preferiamo semplificare il suo pensiero, poiché egli, in
realtà, presenta tre atteggiamenti storiografici, ma uno di essi, che omettiamo, fortemente condizionato dalla
teologia).
La prima consiste, nella sostanza, nel vedere i misteri cristiani come dipendenti da quelli pagani, cioè nel
considerare la fede cristiana come una reinterpretazione della originaria vicenda di Gesù a partire da schemi
esterni e cronologicamente precedenti pagani ed, in particolare, misterici.
La seconda vuole, invece, che i misteri pagani ed il cristianesimo siano sorti indipendentemente ed indipendentemente
abbiano assunto i loro caratteri originari e solo dopo sia intervenuto il problema del loro rapporto e della loro
reciproca influenza.
Appariva al Rahner già evidente ciò che è stato ampiamente
confermato dalla storiografia successiva e cioè che gli argomenti della
prima tesi sostenuta ad inizio secolo da vari autori (fra i quali il più
famoso è R.Reitzenstein) erano estremamente fragili e che la seconda
posizione era storicamente certa - si pensi solo al fatto che i misteri pagani
si fissano nella forma conosciuta nell’impero romano solo alla fine del
I secolo/inizi del II secolo d.C., cioè quando il Nuovo Testamento era
già interamente composto, per mostrare quanto sia inconsistente la tesi
di una derivazione del cristianesimo da essi. Nel caso dello gnosticismo, che
comunque non appartiene ai misteri, vale addirittura l’opposto, poiché
esso è chiaramente dipendente dal cristianesimo (vedi su questo gli articoli
del prof.Gaetano Lettieri su questo stesso sito www.gliscritti.it Deus patiens: l’essenza cristologica
dello gnosticismo. Lo gnosticismo, le sue origini cristiane e la sua importanza
nello sviluppo teologico del cristianesimo e Ancora
sullo gnosticismo come fenomeno post-cristiano negli studi di Gaetano Lettieri:
appunti da una lezione da lui tenuta presso l'Ecclesia Mater l’8 febbraio
2007). Nella questione storica – notava ancora H.Rahner – si
mescolava la questione teologica che vedeva le posizioni estreme di chi vedeva,
da un lato, in maniera entusiasta i misteri pagani come una preparazione evangelica,
un annuncio in maniera imperfetta di ciò che sarebbe apparso perfettamente
con il cristianesimo e, dall’altra, la posizione di K.Barth e della teologia
dialettica che, in nome dell’assolutezza della rivelazione cristiana,
riteneva impossibile ed inutile ogni confronto fra essa ed altre prospettive
religiose.
Più recentemente R.Brague - non più in relazione ai misteri, ma piuttosto alla filosofia ed al diritto
- utilizzando la categoria della “secondarietà” ha voluto indicare come il cristianesimo, pur
essendo indipendente ed autonomo, abbia accolto fin dalle sue origini i contributi importanti che gli erano
storicamente precedenti, accettando di essere “secondo” rispetto ad essi. Questo atteggiamento di
“secondarietà”, secondo i suoi studi, è quello che ha così permesso al cristianesimo
di valorizzare tutti i contributi positivi precedenti (cfr. come esemplificazione, la storia del diritto romano e la
sua conservazione e codificazione sistematica nell’impero romano-cristiano).
[3] Cfr. A.Di Berardino-B.Bagatti, Emesa, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.I, coll.1146-1147.
[4] Cfr. G.Sfameni Gasparro, Sole (culto del), in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.II., coll.3253-3255
[5] La Storia Augusta vuole che già il cugino Alessandro Severo (222-235), figlio di Giulia Mamea – nati anch’essi, madre e figlio, in Emesa - venerasse anche Cristo nel suo larario. Notiamo, solo a sottolineare come l’importanza della città sia continuata nel tempo, che la città di Emesa dette – ma saranno passati ormai quasi tre secoli - i natali anche al Padre della chiesa Romano il Melode, morto dopo il 555.
[6] L’enorme tempio fu edificato in Roma, nel Campus Agrippae. Cfr. H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.166.
[7] “Si legga nei frammenti di Cornelio Labeone conservatici da Macrobio come quel teologo del culto solare equipari lo Helios-Sol allo Jao ebraico e a Dioniso, se si vuol misurare il pericolo del sincretismo solare che si vide di fronte il cristianesimo, per non dir nulla della vittoriosa espansione che ebbero le liturgie mitraiche, per lo meno nell’esercito romano” (H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, p.167).
[8] H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, p.156.
[9] Egli sottolinea anzi come il Norden, nella sua opera Die Geburt des Kindes abbia provato a dimostrare – a dire del Rahner con ragione – che la diversità della datazione del 6 gennaio e del 25 dicembre si spieghi con lo spostamento della data paleoegizia del solstizio invernale dal 6 gennaio al 25 dicembre, cioè al giorno giusto fissato dalla riforma giuliana”, H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, p.161.
[10] Clemente Alessandrino, Protrettico, XII, 119, 1.
[11] Il testo fu poi edito in forma critica da B.Botte. cfr. su questo H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.168.
[12] Hom. de nativit. Domini, citata in H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.169.
[13] Firmico Materno, De errore profanarum religionum 8, citato in H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.170.
[14] J.Ratzinger, Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo, Queriniana, Brescia, 2006, pagg.97-103.
[15] Cfr. sui dati che seguono: V.Saxer, Natale (festa di), in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.II, coll.2346-2347.