Mettiamo a disposizione on-line, per sua gentile concessione, la recensione che il prof.Andrea
Monda ha scritto per il volume di Eric-Emmanuel Schmitt, Oscar e la dama in rosa, Rizzoli, 2004.
E’ un grande piccolo libro (meno di 100 pagine) non per la soluzione che offre – o che non offre?
– ma per il coraggio poetico di affrontare il mistero. La vita umana sempre, ed in particolare la morte di un
bambino, sono il mistero del quale si tace, sul quale si finge di sorvolare. Oscar, invece, vuole guardarlo in
faccia.
Schmitt ha la grazia di avvicinarci all’inizio ad esso attraverso il sorriso di questo bambino che scherza
sulla vita e sui suoi compagni di ospedale. Pian piano le parole si faranno più brevi e significative. La
‘dame rose’ ci terrà inchiodati a quella storia; lei per prima non scapperà, non si
allontanerà, avendo assicurato la sua presenza e la sua fedeltà. Non si può lasciar solo un
piccolo che muore e non lo si può ingannare.
Oscar non rifiuterà la scienza, ma è evidente che non gli basterà:
“Caro Dio, oggi ho avuto da settanta a ottant'anni e ho molto riflettuto...
Con Peggy Blue abbiamo letto a lungo il Dizionario medico. E' il suo libro preferito. Le malattie l'appassionano
e si chiede quali potra' avere in futuro. Io ho cercato le parole che mi interessavano: "Vita", "Morte", "Fede",
"Dio". Forse non mi crederai, non c'erano! Nota, questo prova gia' che ne' la vita, ne' la morte, ne' la fede, ne' tu
siete delle malattie. Il che rappresenta una notizia piuttosto buona. Pero' in un libro cosi' serio, dovrebbero
esserci delle risposte alle domande piu' serie, no?
Nonna Rosa, ho l'impressione che nel Dizionario medico, ci siano solo delle cose particolari, dei problemi che
possono capitare a questo o a quel tizio. Ma non ci sono le cose che ci riguardano tutti: la Vita, la Morte, la Fede,
Dio” (pp.77-78).
Il mistero chiede una prima visita. “Ecco, Dio. La tua visita, invece, continuo ad aspettarla. Vieni. Non
esitare. Vieni, anche se ho molta gente intorno in questo momento” (p.80). Nel racconto verrà, ma non
potrà essere sufficiente. Schmitt ha qui, ancora una volta, coraggio, indicando un’ulteriore attesa
– “solo Dio ha il diritto di svegliarmi”. Un grande del nostro tempo ci ha parlato, similmente, del
nostro “grande ed inutilmente nascosto bisogno di speranza”.
Il Centro culturale Gli scritti (17/6/2007)
“Non c’è un giorno, neppure di carcere o d’ospedale, che non porti una
sorpresa, che non sia, controluce, una rete di minime sorprese”. Così Borges nel suo racconto,
L’attesa, ma la frase potrebbe essere presa come morale del nuovo romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt,
fortunato autore del recente Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. Il nuovo romanzo, Oscar e la dama in
rosa, dopo aver “sbancato” in Francia e in Germania esce finalmente in Italia dove avrà
probabilmente lo stesso successo. Si tratta di un libro infatti lieve e profondo, per lettori di ogni età, un
libro che, a partire dalla fiorita copertina, richiama l’atmosfera delle fiabe.
La morale quindi è quella di cui parlava Borges: tutto sta a trovare la rete di infinite sorprese che ogni
giorno porta con sé, questo è il segreto della vita. Anche se si tratta di una vita d’ospedale.
Oscar è un bambino di dieci anni e vive in ospedale. E’ un malato di leucemia e, come intuisce presto,
allo stadio terminale. Nessuno glielo dice ma proprio questo glielo fa capire. Tutti mentono con lui a partire dal
suo amico Bacon (chiamato impietosamente da Oscar così perché, poverino, è un grande ustionato:
ma i bambini conoscono forse l’amore, non certo la pietà).
Alla domanda, secca e diretta di Oscar (“perché non mi dicono semplicemente che
morirò?”) Bacon “ha fatto come tutti all’ospedale: è diventato sordo. Se dici
“morire” in un ospedale, nessuno sente. Puoi star sicuro che ci sarà un vuoto d’aria e che
si parlerà d’altro”. Oscar invece è un bambino che vuole la verità e per questo,
sin dalla prima pagina di questo diario-testamento ci mette in guardia dalla menzogna della letteratura:
“scrivere è solo una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti”.
Gli adulti di cui parla Oscar sono, in primis, i suoi genitori che lui considera dei vigliacchi, perché non
hanno il coraggio di dirgli che presto morirà. Per fortuna c’è Nonna Rosa. Così Oscar
chiama, a causa dell’età avanzata, la dama di carità che come molte sue colleghe francesi, col
tipico camice rosa, assiste volontariamente i malati terminali.
Nonna Rosa è per Oscar la Verità. Alla solita, spiazzante, domanda di Oscar Nonna Rosa risponde, col
suo modo brusco che tanto fascino le procura: “perché vuoi che te lo dicono se lo sai
già, Oscar?”. Felice di questo rapporto schietto, Oscar glielo spiega: “Ho
l’impressione, Nonna Rosa, che abbiano inventato un ospedale diverso da quello che esiste veramente. Fanno come
se si venisse all’ospedale solo per guarire. Mentre ci si viene anche per morire.” “Hai ragione,
Oscar. E credo che si commetta lo stesso errore per la vita. Dimentichiamo che la vita è fragile, friabile,
effimera. Facciamo tutti finta di essere immortali”.
Nella più famosa raccolta di favole del mondo, Le mille e una notte, la bella Sherazad per
procrastinare la sua decapitazione, raccontava ogni notte al sultano una favola promettendo per la sera dopo una
favola ancora più bella. Forse questa è l’immagine stessa della letteratura: l’uomo
racconta storie per non morire, la letteratura come esorcismo e come eutanasia. Oscar, assetato di verità,
questo non lo sa, ma lo sa il suo creatore, Schmitt, e lo sa soprattutto Nonna Rosa che infatti inventa per Oscar le
storie più avvincenti (da giovane lei sarebbe stata una terribile lottatrice di catch) e inoltre suggerisce a
Oscar di scrivere ogni sera una lettera a Dio.
C’è un trucco nella richiesta di questo angelo in rosa: ogni giorno deve corrispondere a dieci anni,
così la prima lettera riguarderà i primi dieci anni di vita, la seconda tratterà degli anni
della giovinezza, dai 10 ai 20, nella terza Oscar racconterà del periodo dai 20 ai 30 anni così via
fino all’ultima lettera, la dodicesima, quando Oscar avrà raggiunto i mitici 120 anni!
Il libro che si trova in mano il lettore è quindi una raccolta di lettere a Dio che il protagonista si
è divertito a scrivere raccontandogli la sua vita, una vita intensa, piena di quella rete di sorprese di cui
parlava il geniale e malinconico poeta argentino.
In questa vita concentrata in dodici giorni Oscar vivrà tutte le esperienze umane: si
“sposerà” con la più belle delle pazienti del reparto, la tenera e silenziosa Peggy Blue,
litigherà e farà la pace con quei “borghesi” dei genitori, fuggirà anche
rocambolescamente dall’ospedale conoscendo il brivido dell’avventura e il calore di un Natale passato in
una casa vera (quella di Nonna Rosa ovviamente). Oscar e la dama in rosa è un classico libro
“natalizio”, nel senso più bello che questo termine possiede: è una storia sullo stupore
che il mistero della vita porta con sé.
E’ un libro (che probabilmente diventerà presto un film come il penultimo dell’autore francese)
che produce lo stesso effetto, di partecipazione e commozione, del capolavoro cinematografico di Frank Capra, La
vita è meravigliosa. Solo che il procedimento è l’esatto opposto: all’adulto George
Bailey, giunto al punto del suicidio, viene fatto vedere il mondo senza di lui per comprendere il valore della vita,
mentre al piccolo Oscar, giunto al momento della morte, viene prolungato il tempo rimasto per riempirlo con tutta la
vita possibile. E il miracolo riesce, grazie a quella fantastica magia tutta umana che è lo scrivere:
“solo una bugia che abbellisce la realtà”.
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