Pubblichiamo sul nostro sito, per il progetto Portaparola l’articolo di Antonia Arslan e l’intervista di Alessandro Zaccuri a Piero Boitani apparsi su Avvenire del 4/12/2007. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza on-line sul nostro sito di questi testi non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Centro culturale Gli scritti (7/12/2007)
Papà leggeva sempre. Sul suo comodino, in precario equilibrio, c’erano sempre gli
«Essais» di Montaigne, sospetto per darci l’idea che leggere i classici era un obbligo, e magari
per di più in francese: ma non lo vidi mai veramente tuffarsi in quel libro, che mi sembrava sempre
pesantemente impolverato, anche se la signora Zaira lo spolverava una volta al mese.
Ma era la pila sopra ad essere interessante, e soprattutto l’ordine della pila. Non leggeva mai un libro solo,
ne divorava parecchi tutti insieme, e saltava allegramente dall’uno all’altro, mai veramente
memorizzandoli, contento di toccarli, sfogliarli e spostarli capricciosamente, in una sequenza che cambiava ogni
giorno.
La mamma invece teneva sul comodino solo un libro alla volta, che leggeva da cima a fondo con diligenza, infilandoci
dentro dei bellissimi segnalibri ricamati a crocette, che faceva lei stessa, come faceva tante altre cose carine,
ricami gioiosi e ciappini e custodie per le forbici a forma di gru. Ma non bisognava mai chiederle di rifare qualcosa
su ordinazione; e quanto ai libri, non ci esortava a leggerli e non li prestava volentieri, piuttosto si divertiva a
raccontarli.
Così crescemmo convinti che leggere fosse una di quelle attività interessanti che i grandi tenevano
gelosamente per sé, e che doveva essere delle più divertenti, perché spesso si sussurravano
ridacchiando notizie su quello che stavano leggendo, cercando di non farsi capire da noi, e quindi attizzando tutte
le nostre curiosità. Impiantavano anche accanite discussioni, e ognuno dei due cercava nei libri il modo di
aver ragione.
Quando imparammo a leggere, cominciarono a regalarcene qualcuno, sempre con molte cerimonie e con aria misteriosa, ma
non troppo spesso, come se fosse un regalo prezioso concesso dall’alto, e papà scriveva sul frontespizio
interno, con la sua scritturina sciolta e nervosa, lunghe dediche che ci facevano sentire importanti. Leggere apre i
mondi, dicevano: i mondi della conoscenza, della cultura e della tradizione.
Ed è vero, certo; ma dopo tanti anni e così tante letture, credo soprattutto che apra il cuore e la
mente a condividere la vita degli altri, a capire le infinite storie che girano per il vasto mondo, col racconto
delle tante avventure, sofferenze, gioie e passioni del popolo degli uomini.
E benché per esaudire la nostra 'voglia di storie' ci siano oggi altri mezzi, cinema e televisione per primi,
col libro si instaura un rapporto che è unico, e vivo da entrambe le parti, perché mentre allo
spettatore le immagini scorrono davanti agli occhi, e il ritmo è governato dall’esterno, il lettore
stabilisce col libro un rapporto che è intimo e personale, libero e attivo: può leggere in fretta o
lentamente, rileggere o saltare pagine, tornare su un episodio, insomma decidere. E può perfino qualche volta
strappare una pagina, scrivere in margine commenti sarcastici o infiorare la pagina di vignette dissacranti. Ma
può, soprattutto, decidere di metterlo da parte per sempre. La sua libertà è assoluta e non deve
rendere conto a nessuno.
Credo che non ci sia piacere umano più affascinante e durevole nel tempo, che si ripropone con infinite
variazioni, come quel cibo, diceva Machiavelli, che è solo nostro e noi siamo fatti per lui: ma credo anche
che la via migliore per attaccare il germe della passione per la lettura sia proprio quella di farla sembrare una
meravigliosa avventura, e mai –proprio mai– un penoso dovere.
Piero Boitani è un grande studioso e un globetrotter impenitente. Tiene la cattedra
di Letterature comprate alla Sapienza di Roma, però è spesso all’estero per lezioni, conferenze,
ricerche. In queste settimane prenatalizie, poi, si ritrova a fare la spola fra Italia, Irlanda e Gran Bretagna, non
di rado con un pudding o qualche altra specialità delle feste al seguito. Nel frattempo, noialtri stanziali ci
possiamo consolare con i suoi libri. Nell’arco di pochi mesi, infatti, Boitani ha pubblicato la breve e
affascinantePrima lezione sulla letteratura (Laterza, pagine 192, euro 10,00) e il più massiccio, ma
non meno suggestivo Letteratura europea e Medioevo volgare (Il Mulino, pagine 538, euro 35,00). Senza
dimenticare Il viaggio dell’anima (Fondazione Valla / Mondadori, pagine LII + 548, euro 27,00), ampia
raccolta di testi patristici e medievali che lo stesso Boitani ha curato insieme con Manlio Simonetti e Giuseppe
Bonfrate.
Letteratura e spiritualità: un accostamento che non tutti, di questi tempi, sono disposti ad apprezzare.
«Eppure – ribatte il professore – i lettori continuano a manifestare forte interesse per tutto
ciò che emana una sia pur vaga aura spirituale. Si tratta di un desiderio a volte indistinto, ma non per
questo meno rivelatore. In un clima come questo, mi sembra importante ricordare come la letteratura, fin dalle
origini, sia stata anche ricerca spirituale. E non può non esserlo, se è vera letteratura».
È il motivo per cui la sua «Prima lezione» parte dal tema del morire, attraversa i territori dello
stupire e compatire per approdare, alla fine, al mistero del rinascere?
«Sì, è un percorso che può sembrare inconsueto, ma non avrei saputo tracciarne un altro.
Troppo spesso la letteratura moderna si sofferma sul dato della denuncia, del dramma, addirittura della tragedia,
senza concedersi alla speranza. Io stesso non sono sicuro che ci sia la risurrezione, però lo spero, come
continuo a sperare che anche su questa terra sia sperimentabile una qualche rinascita, magari anche soltanto
nell’ambito degli affetti, nel rinsaldarsi dei legami fra le persone».
Un sentimento cristiano?
«Profondamente umano, anzitutto. In fondo anche l’Odissea è la storia di un ritorno a casa. Me ne
sono reso conto una volta per tutte qualche anno fa, quando ho provato a raccontare il poema a un gruppo di studenti
americani del tutto ignari di epica. Sono rimasti incantati, hanno capito che in quella storia c’era qualcosa
che riguardava anche loro».
È questo il «presente atemporale» della poesia teorizzato da Ernst Robert Curtius, il critico al
quale si è ispirato per «Letteratura europea e Medioevo volgare»?
«Omero e Tolstoj, Shakespeare e Dante producono in noi risonanze destinate a durare, a rivelarsi costanti.
Restano sempre lì, non si può sfuggire. Pensi a un racconto come La morte di Ivan Ilich: non
descrive soltanto la malattia e la morte di uomo, ma ildestino di ogni uomo, di ciascuno di noi».
Ma questo vale soltanto per i grandi testi della tradizione?
«La tradizione è un albero senza fine, che si sviluppa sempre in modo organico, mai inorganico.
Eliot, per esempio, sosteneva che ogni scrittore ridisegna la tradizione che lo ha preceduto. Alla metà del
XX secolo, però, questo processo è entrato in una crisi che dura tuttora e che segna la differenza fra
La morte di Ivan Ilich e un libro come Everyman di Philip Roth, che affronta lo stesso tema del
capolavoro di Tolstoj.
Sono venuti meno i presupposti della continuità con la tradizione, si sono create le condizioni di quella che
potremmo definire una nuova era volgare. Dove 'volgare' va inteso nel senso tecnico di 'non classico', esattamente
come accade durante il Medioevo, quando il latino inizia a essere conosciuto male e il greco finisce per essere del
tutto ignorato. Il legame con i classici si affievolisce, eppure nasce una letteratura nuova,
rivoluzionaria».
Senta, visto che siamo dalle parti di Dante: favorevole o contrario alla divulgazione alla Benigni?
«Capisco critiche e riserve, mi rendo conto del rischio che un mattatore come Benigni possa prevaricare il
testo dellaCommedia, ma resto dell’idea che valga sempre la pena correre rischi del genere. E anche
accettare la sfida, perché no? Leggere Dante in pubblico è un’esperienza straordinaria, glielo
posso garantire. Proprio come provare a raccontare l’Odissea ».
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