Mettiamo a disposizione on-line la trascrizione della conferenza
tenuta dal prof. Lettieri, presso la parrocchia di san Mattia in Roma, il 17
dicembre 2004. Essa è stata seguita, all’interno dello stesso ciclo,
da una seconda conferenza, anch’essa disponibile su questo sito, dal titolo
Le Confessioni di sant’Agostino e la paradossale
gioia della felix culpa.
Gli incontri culturali tenuti presso la parrocchia di San Mattia sono organizzati da d.Mario Pio Biasin.
Gaetano Lettieri è professore di Storia del cristianesimo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università La Sapienza di Roma.
Il presente testo non è stato rivisto dal suo autore e conserva lo stile discorsivo, tipico di una
relazione orale. I titoli ed i neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura
on-line.
Per un approfondimento della prospettiva del prof.Lettieri non possiamo che
rimandare ai suoi ponderosi studi. In particolare, per una riflessione sulla
dottrina della grazia agostiniana, a G.Lettieri, L’altro Agostino.
Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla metamorfosi del De doctrina
christiana, Morcelliana, Brescia, 2001, per uno studio del De doctrina christiana,
interrotto da Agostino nel 397 e ripreso alla fine della sua vita, in una prospettiva
illuminata dalla dottrina della Grazia. Il De doctrina christiana incompiuto
è il culmine del platonismo cristiano del primo Agostino, dell’Agostino
umanista apologeta del libero arbitrio. Seguirà, a partire dall’Ad
Simplicianum che il Lettieri ritiene cronologicamente successivo al De doctrina
christiana poiché è l’opera che inaugura la teologia dell’altro
Agostino, l’Agostino maturo che considera la peccaminosa impotenza della
libertà umana e la predestinata, onnipotente grazia indebita di Dio.
È l’Agostino del De Trinitate, delle Confessioni, del De civitate
Dei, ma anche delle opere anti-pelagiane. Sul De civitate Dei, l’opera
maggiore del nostro autore è: G.Lettieri, Il senso della storia in
Agostino d’Ippona. Il “saeculum” e la gloria di Dio nel De
civitate Dei, Edizioni Dehoniane Roma, 1988. Le dispute agostiniane del
XVII secolo sono analizzate in G.Lettieri, Il metodo della grazia. Pascal
e l’ermeneutica giansenista di Agostino, Edizioni Dehoniane Roma,
1999.
Il Centro culturale Gli scritti (27/7/2007)
Inizio con l’inquadrare Agostino storicamente, perché
è un uomo che molto spesso si fa fatica a collocare da un punto di vista
storico.
Agostino è un africano, ovviamente di cultura e di lingua latina,
e nasce a Tagaste, nell’attuale Algeria, nel 354. Morirà ad Ippona,
vescovo di questa importante città sul Mediterraneo, nel 430, mentre
Ippona viene assediata dai Vandali.
Questo vi fa capire che la figura di Agostino è una figura in realtà
già matura dal punto di vista della storia della patristica; qualche
decennio dopo l’Impero Romano d’Occidente crollerà e
da questo punto di vista la figura di Agostino è una figura di connessione
tra la grande antichità classica e il Medio Evo. Appunto la caduta dell’Impero
Romano, le invasioni barbariche e tutta la storia che voi ben conoscete s’imbeverà
comunque profondamente della sensibilità e - vedremo - anche proprio
delle categorie teologiche, storiche e persino politiche di Agostino.
Le sue opere più importanti sono tre:
- Note a tutti, penso, sono Le Confessioni, che è la sua
autobiografia. Agostino la compose intorno al 399/402 (gli studiosi sono un
pochino fluttuanti sulla datazione precisa delle Confessioni).
- Il De Trinitate, che è un’opera importantissima;
io mi vorrò oggi concentrare soprattutto su questa opera in relazione
al titolo della nostra conferenza. “Il De Trinitate
è un’opera – dice Agostino – che io ho cominciato
da giovane (e si era giovani, per i latini, fino a 40 anni), ma sono diventato
senex, l’ho terminata da vecchio”. Questa è
un’indicazione molto vaga che però ci fa capire che fu iniziata
negli anni ’90, quando Agostino era diventato da poco sacerdote - 391/393,
ecco, in questi anni deve essere stata iniziata - ed è stata invece conclusa
molto tardi, all’inizio degli anni ’20, cioè a pochi anni
dalla morte di Agostino stesso.
- La terza grande opera agostiniana è il De Civitate Dei,
l’opera più monumentale di Agostino, opera “grande ed ardua”,
così Agostino stesso la definisce. Quest’opera importantissima
per la civiltà occidentale è un’opera che viene redatta
a partire dal 411-412, in seguito al grande sacco di Roma che i latini avvertirono
come il vero crollo, diciamo, morale e psicologico dell’Impero Romano,
perché Roma fu violata dopo centinaia e centinaia di anni – pensate
Brenno – d’inviolabilità; e quindi è la Città
eterna che crolla.
Noi abbiamo delle lettere di Girolamo in cui Girolamo dice proprio: “Roma
è stata saccheggiata, è crollato il mondo”. C’è
proprio questo senso della fine, del crollo. Agostino, con la sua straordinaria
spiritualità, con la sua straordinaria energia di credente, scrive quest’opera
in risposta ad accuse pagane che consideravano la conversione al cristianesimo
come la responsabile del crollo dell’Impero Romano. E nasce quest’opera,
in 22 libri, in cui Agostino oppone la città terrena alla città
di Dio, ovvero gli ideali del mondo pagano - e direi in generale dell’uomo
naturale - agli ideali della Chiesa cristiana, agli ideali quindi dell’uomo
che è ricreato dallo spirito della fede in Cristo.
Ci terrei ora a mettere a fuoco che queste 3 opere di Agostino sono opere
che nessun uomo di cultura può trascurare; sono opere - soprattutto
Le Confessioni, l’autobiografia agostiniana - che anche un cristiano
che abbia interessi intellettuali è davvero chiamato a leggere, a rileggere
continuamente.
Voglio aggiungere anche un quarto gruppo di opere di Agostino: sono le cosiddette
opere “antipelagiane”, sono opere quindi
antieretiche, redatte contro Pelagio, questo monaco britannico che si sposta
in Africa in seguito al “Sacco di Roma” del 410. Agostino addirittura
lo dovrebbe aver incrociato - lo deduciamo da una sua lettera. E che cosa
accade? Che entrano in conflitto due sensibilità religiose, e direi anche
culturali, in qualche modo antitetiche.
Agostino inizia una polemica contro Pelagio e i suoi discepoli – intellettuali,
monaci, asceti – e nasce un grande corpo di scritti dove Agostino insisterà
sistematicamente sul concetto di grazia come grazia gratuita,
non dipendente dagli sforzi dell’intimo dell’uomo. Io sottolineo
questo argomento; questo è l’aspetto più delicato della
figura e dell’eredità agostiniana, che ha creato una enorme quantità
di dibattiti, ancora oggi attuali, una enorme quantità di scontri
d’interpretazione sulle opere di Agostino che trattano la grazia,
le opere antipelagiane. Sono delle opere, ripeto, molto molto importanti.
Vi faccio un esempio: Lutero, colui che ha distrutto l’unità
del mondo cattolico - che è stato un monaco agostiniano - considera
le opere antipelagiane di Agostino come la chiave d’interpretazione
addirittura di tutto il pensiero di Agostino e di tutta la storia della Chiesa.
Così Pascal, il grande mistico del ‘600, e tutto il movimento giansenista
considererà queste opere di Agostino come il cuore pulsante del suo pensiero
teologico. Proprio perché la teologia delle opere antipelagiane
è una teologia molto ardua, complessa, addirittura paradossale per molti
aspetti, cercherò di tenerla un pochino ai margini di questo nostro incontro
che deve essere in qualche modo introduttivo. Però, per onestà
intellettuale, è bene segnalarvi queste opere.
Io sono innamorato delle opere antipelagiane di Agostino, in esse proprio
palpita tutto il suo genio teologico. Sono opere che hanno diviso gli interpreti,
perché sono opere, durissime dal punto di vista teologico: la Grazia
di Dio è tutto, la libertà dell’uomo è il peccato.
Questa è un po’ la chiave interpretativa di queste opere agostiniane.
Ne faremo qualche accenno, ma piuttosto marginalmente.
Dicevo che il primo nostro incontro io ho voluto intitolarlo, con la collaborazione
di don Mario - che è stata, come dire?, davvero collaborazione gratuita,
nel senso agostiniano della Grazia, che conduceva dove voleva lui - “La
ricerca di sé e la ricerca della Verità in Sant’Agostino”.
Quali sono qui i due termini che cerchiamo un pochino di rimettere a fuoco in
questa conferenza? Ovviamente la verità per Agostino
è una verità teologica ed è una verità rivelata,
la verità di Cristo. Poche personalità
cristiane, direi, hanno sentito in maniera così forte la verità
di Cristo, la rivelazione di Cristo come rottura, come punto di svolta, come
momento addirittura di crisi - e ci tornerò su questo aspetto.
Ma perché il problema della verità è messo in connessione
con la ricerca di sé? Perché un elemento fondamentale della spiritualità
agostiniana è l’insistenza sull’interiorità, sulla
ricerca interiore. La verità di Cristo, che è
chiaramente incontrata nella storia, nella testimonianza della Chiesa, è
comunque una verità che riluce nel senso più
radicale e profondo all’interno della coscienza stessa. Quindi è
nella coscienza, nella nostra interiorità, nella nostra memoria –
come si dirà nelle Confessioni - nel nostro desiderio, nella nostra
volontà, nella nostra intelligenza che Agostino scorge la rivelazione
di Cristo e, come vedremo, scorge la rivelazione della stessa Trinità.
Se l’uomo guarda se stesso, se l’uomo guarda la sua interiorità,
scopre il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questa sarà la grande
tesi del De Trinitate che probabilmente è l’opera teologica
più importante di tutta la cultura occidentale latina.
Vi ho dato gli estremi - 354-430 - della vita di Agostino: che cosa succede
in questo periodo storico? Non dobbiamo trascurarlo. La personalità di
Agostino che ruolo ha nella storia dell’Occidente? Dobbiamo ricordare
che dal punto di vista dei grandi Padri della Chiesa, prima di Agostino in
realtà l’Occidente aveva avuto dei personaggi di grande rilievo
- Tertulliano, Cipriano, lo stesso Ambrogio, il vescovo di Milano che battezzerà
Agostino - ma non aveva avuto un grande genio teologico paragonabile ad Agostino.
Questo vuol dire che la cultura latina cristiana trova il suo vertice culturale,
spirituale, filosofico anche, abbastanza tardi. Quindi la prima notazione che
noi dobbiamo considerare in riferimento ad Agostino è proprio il suo
essere il frutto perfetto e tardo della cultura cristiana latina.
Secondo aspetto molto delicato: io insegno in una università laica, quindi
affronto questi problemi con una prospettiva molto storica e quindi voi dovrete
fare lo sforzo di prendere questo dato storico e di riconsiderarlo anche da
una prospettiva di fede. Che cosa succede nell’Occidente latino fino
ad Agostino? Che il primato di Roma, quindi della Chiesa romana, è un
primato più spirituale che giuridico. Questo vuol dire che la situazione
delle Chiese occidentali è una situazione molto meno, diciamo, generalizzata
e centrata sulla comunità romana e sulla dottrina del Vescovo di Roma
di quanto non avverrà dopo il crollo dell’Impero Romano con la
presenza di una straordinaria figura come è quella di Gregorio Magno.
Questo significa che la situazione del cristianesimo occidentale è una
situazione estremamente fluida. Ai tempi di Agostino, quando Agostino è
giovane, chi è la grande autorità spirituale dell’Occidente?
Ambrogio, che non è il vescovo di Roma, ma vescovo di Milano. E Ambrogio
- che muore nel 397, quindi quando Agostino praticamente viene ordinato vescovo
- rimarrà sempre il punto di riferimento autoritativo di Agostino. Il
vescovo di Roma in questa situazione storica ha un ruolo piuttosto marginale.
Perché vi dico queste cose? Perché questo ci fa capire in che
senso davvero per Agostino la Scrittura, la sua interrogazione
della Scrittura, la sua ricerca teologica è la ricerca
di una verità che lui stesso contribuisce a definire.
Cioè le grandi colonne del dogma cristiano e soprattutto cristiano-latino
sono dovute proprio a questo sforzo straordinario di approfondimento teologico
che è proprio di Agostino.
Vi faccio un esempio: il dogma trinitario viene stabilito con due grandi Concili
Ecumenici Orientali - nei quali Roma non ha quasi alcun ruolo se non puramente
rappresentativo - che sono il Concilio di Nicea, convocato e presieduto da Costantino
nel 325 ed il Concilio di Costantinopoli, nel 381. In questi due Concili
(di mezzo c’è una tra le più violente polemiche teologiche
della storia della Chiesa) si stabilisce quella che è l’ortodossia
antiariana, ovvero l’ortodossia trinitaria: Dio come unica sostanza
articolata in tre ipostasi (dicevano i greci), in tre persone (tradurranno i
latini e tradurrà anche Agostino forse con qualche perplessità
per il termine che non amava molto in ambito trinitario). Quindi soltanto nel
381 il dogma trinitario viene fissato.
Agostino ha 27 anni e ancora non è convertito. Il dogma cristologico,
come sapete, viene fissato soltanto con il Concilio di Calcedonia, nel 451,
cioè ben 21 anni più tardi della morte di Agostino. E in questo
senso noi dobbiamo invece sottolineare un ruolo molto importante della Chiesa
romana, e in particolare di Leone Magno, che influenza anche la soluzione ortodossa
della cristologia: un’unica persona in due nature, umana e divina, come
persona di Cristo. E Leone Magno si servirà proprio delle opere trinitarie
e di alcune formule cristologiche di Agostino.
Questo per farvi capire come il grande Agostino fosse un teologo estremamente
tardo da un punto di vista dei primi secoli della storia della Chiesa ed
ha avuto comunque, grazie alla sua straordinaria genialità teologica,
un ruolo decisivo anche nella definizione della ortodossia cristologica.
Un ultimo elemento, che voglio chiarire prima di dedicarmi più da vicino
al tema dell’interiorità e della ricerca della Verità
in Sant’Agostino: vi parlavo del De Civitate Dei e vi accennavo
al ruolo di Agostino come ruolo decisivo nell’ambito della cultura occidentale.
Cosa fa Agostino? Il suo genio teologico prende in eredità –ovviamente
già preparata e reinterpretata da quattro secoli di vita e di spiritualità
cristiana- tutta la cultura pagana e la reinterpreta, cambiandola nettamente
di segno, in cultura cristiana. In questo senso davvero è il padre
del Medio Evo occidentale.
Vi parlavo del De Civitate Dei: tutte le categorie storiche, politiche,
culturali del Medio Evo occidentale dipendono da questa opera di Agostino. Pensate!
Carlo Magno dormiva col De Civitate Dei accanto.
Vi dico ciò per farvi capire l’importanza storica che un’opera
del genere ha avuto.
Cosa Agostino ha introdotto in maniera innovativa nella cultura occidentale?
E’ un problema molto delicato - come dire? la nostra sensibilità
culturale è una sensibilità molto secolarizzata, troppo umanistica,
mi permetto di dire, per certi aspetti, storce un po’ il naso di fronte
a queste categorie - ma l’altro grande elemento culturale che Agostino
ha introdotto nella cultura, prima medioevale poi occidentale in senso lato,
è, appunto, la sua riflessione non solo sulla Grazia,
ma anche sul peccato. Cercheremo di spiegare perché.
Vi parlavo prima del dogma cristologico, da un punto di vista dell’interpretazione
del peccato originale - e ad esempio dell’interpretazione della sessualità
come veicolo di trasmissione del peccato originale - Agostino ha avuto un
ruolo straordinariamente importante nella cultura d’Occidente, per
cui la sensibilità contemporanea vedeva Agostino come un personaggio,
dovrei dire, negativo da questo punto di vista. Però noi cristiani dobbiamo
innanzi tutto riconoscere storicamente qual’è il ruolo di Agostino
da questo punto di vista, ma secondariamente capire anche il senso della sua
dottrina così, in effetti, negativa e così tetra per certi aspetti
particolari.
Qual è la convinzione di Agostino? Che dopo il peccato di Adamo tutta
l’umanità è precipitata – lui parlava proprio
di massa di dannazione – nel peccato radicale e naturalmente l’uomo
con le sue forze non può che riperpetuare il peccato di Adamo. Se noi
non teniamo ben presente questo elemento della teologia, della spiritualità
agostiniana, noi corriamo il rischio di ridurre, di trasformare questo straordinario
personaggio in un fantoccio che rimodelliamo a seconda delle nostre esigenze
spirituali, culturali che però non sono le sue.
Noi possiamo avere una nostra autonomia anche spirituale, ma dobbiamo confrontarci
con le grandi figure del passato e con i grandi giganti della tradizione cristiana,
cercando di capire fino in fondo qual è il loro principio ispiratore.
Bene! Perché peccato e grazia? E ci avviciniamo
al problema del rapporto tra verità e ricerca di sé.
Voi sapete che Agostino è nella cultura occidentale la figura di un grande
convertito. E dobbiamo capire in che senso Agostino è un grande convertito.
Le Confessioni, ne parleremo più dettagliatamente in un prossimo
incontro, narrano proprio tutta la vita personale di Agostino e alla fine la
sua conversione, operata dalla Grazia di Dio, il suo battesimo, la sua nomina
a vescovo e finalmente la sua opera di teologo. Ma ci torneremo su queste Confessioni.
In che senso Agostino si converte? Questo è il problema.
Nasce da una famiglia di media borghesia, la potremmo definire così.
La madre, Monica, un nome tipicamente africano (infatti molti ipotizzano
che ci fosse proprio sangue autoctono in Agostino, cioè che non fosse,
la sua, una famiglia totalmente latina e ci fosse qualche elemento africano
nativo), un nome cartaginese di tradizione, quindi molto connotato dal punto
di vista etnico. Il padre, Patrizio, non cristiano, era non interessato alla
fede cristiana - padre amatissimo da Agostino che però rimane dominato
dalla figura della madre.
Comunque Agostino studia; a 18 anni si reca a Cartagine. Ci sono i libri delle
Confessioni che narrano il suo arrivo a Cartagine, in questa “Carthago/Sartàgo”
- gioca così il testo latino - cioè Cartagine sarebbe una pentola
ribollente di passioni e di amori perversi; così Agostino la descrive.
Quindi arriva a Cartagine, studia, le sue doti eccezionali intellettuali gli
consentono di leggere e capire da solo le Categorie di Aristotele in
traduzione latina, diventa rapidamente ferratissimo in retorica.
In realtà Agostino era un professore di retorica, come tale arriverà
a Milano – a mio parere il fatto che fosse un professore di retorica influisce
tantissimo sulla sua teologia, e cercheremo di spiegare perché –
e, cosa impressionante in fondo per noi, entra in una comunità manichea,
cioè una comunità che neanche possiamo definire eretica: la comunità
manichea era una comunità religiosa in qualche modo indipendente dalla
comunità cristiana ma che si nutriva di elementi anche cristiani.
Ora non posso raccontare chi fosse Mani, questo genio religioso della metà
del III secolo dopo Cristo, anche lui messo a morte dal potere, questa volta
orientale, persiano, e non romano. Agostino si sente attratto dai manichei.
Questi manichei affermavano l’esistenza di un dio della luce e di un dio
della tenebra e di una natura luminosa e di una natura tenebrosa che nel mondo
si erano come mescolate.
Per ben 10 anni Agostino rimane uditore manicheo. Che
vuol dire uditore? Adepto. Che però non entrava
nel circolo più ristretto dei veri e propri puri o perfetti
manichei. Pone con la sua solita genialità, alla fine di questi dieci
anni, delle questioni alla grande figura spirituale del manicheismo africano
latino, Faustus, contro il quale scriverà appunto il “Contro
Fausto” qualche anno più tardi, e decide alla fine di distaccarsi
dai manichei. Ma per fare cosa?
Per fare carriera e per dedicarsi ad una vita di piaceri. Infatti si sposta
da Cartagine a Roma, prima, a Milano dopo, con la semplice intenzione di volersi
godere la vita - scusate se banalizzo così - e di ambire ad un ruolo
culturale e forse anche politico altissimo, tant’è che diventa
retore ufficiale (probabilmente ancora con appoggi manichei) dell’imperatore
a Milano, e quindi arriva finalmente a Milano dove incontrerà Ambrogio.
Quindi, da questo punto di vista, fino alla soglia dei 30 anni questo
ragazzo giovane, di eccezionale intelligenza e di eccezionale ambizione, vive
una vita esclusivamente di peccato, almeno così egli stesso la confesserà,
e si è sempre rifiutato di farsi battezzare. Voi sapete che nel mondo
antico il sacramento del battesimo si assumeva soltanto in età adulta.
Questo perché i peccati post-battesimali erano in qualche modo inammissibili
o difficilmente perdonabili, quindi portavano un rischio mortale per un peccatore
battezzato.
Soltanto in Africa, ai tempi di Cipriano, un centinaio di anni prima di Agostino,
si incomincia a introdurre lentamente e poi sempre più sistematicamente
l’abitudine di battezzare i bambini - quindi il battesimo dei bambini
come specifico contributo della Chiesa africana alla storia della prassi liturgica
è un’altra innovazione della Chiesa africana che si diffonderà
prestissimo anche al di fuori dell’Africa
Agostino a 18 anni ha un figlio da una concubina, che non nomina mai, che
lascerà Milano - state attenti! - non perché si vuole convertire
ma perché la madre Monica (e qui anche le sante hanno, diciamo, qualche
tallone d’Achille) voleva fargli fare un matrimonio con una giovane nobile,
ricchissima e quindi per puri interessi mondani, soprattutto.
Sotto la pressione di Monica, prima, e poi per il fascino che lo prende nell’ascoltare
alcune predicazioni di Ambrogio, Agostino finalmente si converte alla fede
cristiana che non aveva mai abbandonato, ma che vuole ora finalmente assumere
in senso radicale – quando parleremo delle Confessioni entreremo
più nel dettaglio – e viene finalmente battezzato a Milano. Fino
a qualche anno fa si riteneva che al di sotto del Duomo di Milano ci fosse proprio
il Battistero dove Agostino sarebbe stato battezzato da Ambrogio; ora gli archeologi
hanno qualche dubbio, ma lasciamo perdere queste questioni secondarie.
Dopo il battesimo si ritira a Cassiciaco, una località nei pressi
di Milano, dove comincia a redigere degli scritti di filosofia cristiana, i
cosiddetti Dialoghi di Cassiciaco, poi decide di tornare in
Africa. La madre l’accompagna. Monica morirà ad Ostia, aspettando
appunto che ci sia il “mare aperto”, la stagione buona per attraversare
il Mediterraneo per tornare in Africa.
Agostino torna in Africa e decide di ritirarsi in qualche modo in una vita
contemplativa di studi. Nel 391 viene ordinato sacerdote e da lì,
nel 397, vescovo d’Ippona. Diventa la più grande personalità
della Chiesa occidentale. Girolamo stesso rivaleggia con lui per disputarsi
la palma dello scrittore latino-cristiano più importante, un punto di
riferimento di tutta la cultura cristiana latina; alla fine, intorno agli anni
420, dopo qualche lettera molto focosa fra i due, gli riconoscerà la
palma della grande colonna, del grande interprete della ortodossia cattolica
occidentale.
Perché quindi Agostino è un convertito? Perché la sua fede
l’ha scelta, ma l’ha scelta interpretando la sua storia e la sua
esperienza interiore in relazione all’altra grandissima figura che è
quella di Paolo. Agostino interpreta tutta la sua esistenza e tutta
la sua spiritualità a partire da Paolo, dalla conversione
di Paolo. Ci sono delle pagine straordinarie che possono descrivere
questo. Chi era Paolo? Scriveva Agostino: “Colui che voleva uccidere,
perseguitare, aggredire, inseguire, annientare i cristiani; ma proprio lui la
Grazia divina ha eletto, ha scelto, ha abbattuto da cavallo, ha accecato e ha
condotto alla Verità”.
E proprio questa esperienza di peccato, di durezza nei confronti della Verità
cristiana, nei confronti della rivelazione cristiana e di forza, di rivelazione
e di redenzione operata dalla grazia, è questa, vorrei dire, sensibilità
religiosa, costruita da contrasti fortissimi, quella che Agostino legge in
Paolo e quella che Agostino applica nei confronti di se stesso.
Quindi, quando noi pensiamo al rapporto tra verità
e interiorità in Agostino, non dobbiamo mai pensarlo
nei termini di una relazione in senso plotiniano, filosofico, di un intellettuale
che si sprofonda nella sua intelligenza e coglie la Verità, ma sempre
in termini drammatici, sempre in termini di incontro folgorante per l’intelligenza.
Il rapporto che Agostino nella sua interiorità ha e scorge nei confronti
della Verità è sempre un incontro con una Persona che lo strappa
dal peccato e lo restituisce ad una nuova vita, una vita luminosa, una vita
di razionalità e di spiritualità altissima, ma che comunque come
suo polo dialettico - all’interno appunto di questa grande personalità
- si mette in relazione a una coscienza di sé come peccatore,
come colui che voleva resistere alla Verità, come colui che non ascoltava
la madre Monica che gli chiedeva di convertirsi, di farsi battezzare.
Allora la prima grande notazione che noi dobbiamo cogliere per capire questa
grande figura di Agostino è quella della conversione. Tutto il suo
pensiero e tutto il suo cammino spirituale è un continuo cammino di conversione.
Non è un caso che, verso la fine della sua vita, Agostino scriva un’altra
opera rivoluzionaria per la sua epoca e cioè le Retractationes,
letteralmente, Ritrattazioni. E’ un’opera in
cui Agostino corregge sistematicamente le sue opere precedenti, tutte le opere
che ha scritto, quelle giovanili, poi quelle da sacerdote e quelle da vescovo.
E si corregge! “Questi sono i miei errori”. Perché
l’esperienza del cristiano, l’interiorità del cristiano
è sempre uno scontro e, vorrei dire, un conflitto tra il peccato e la
Grazia. E la Grazia illumina progressivamente in senso
sempre più profondo e quindi fa abbandonare, all’uomo che cerca
Dio inquietamente, sempre più i suoi errori, le sue manchevolezze, anche
la sua incapacità di entrare sempre più a fondo nel Mistero di
Dio.
Vedete, Dio fa inoltrare Agostino nella sua Verità, ma al tempo stesso
questo approfondimento corrisponde a una confessione – uso questo termine
apposta – e a una ritrattazione di errori, di manchevolezze, a una
forza del peccato che, dice Agostino, “sarebbe il mio peso naturale se
non venisse la Grazia e la luce di Dio a illuminarmi”.
Vedete quindi quanto Agostino sia una figura drammatica da questo punto di vista.
La sua ricerca teologica è veramente il continuo tentativo di distaccarsi
dal proprio peccato ed anche dall’angustia della propria intelligenza
e l’aprirsi ad una Verità sempre eccedente che non riesce mai
fino in fondo ad esaudire, a contenere nella sua intelligenza.
Ricordo, da un punto di vista iconografico, quello che è il cosiddetto
“Sogno di Agostino”, che in realtà non è
autenticamente derivato da una narrazione, da una testimonianza di Agostino.
Ricordate qual è il sogno di Agostino? Del bambino che sta in riva al
mare e che con una conchiglia attinge l’acqua dal mare e poi la versa
in una buca nella sabbia. “Che cosa fai?” gli chiede Agostino. “Voglio
svuotare tutto il mare e versarlo in questa buca”. Agostino prende in
giro il bambino per l’intento che aveva e il bambino gli risponde: “E
tu che vuoi fare cercando di comprendere il Mistero di Dio?”.
Guardate, non è autenticamente agostiniano come dato storico, però
riassume perfettamente straordinarie pagine del De Trinitate.
Invito, per esempio, a leggere le ultime pagine del XV libro del De Trinitate,
dove Agostino dice: “Alla fine tutto ciò che di vero ho detto
l’ho detto perché Dio me lo ha rivelato. Tutto ciò che di
erroneo, di insufficiente, ho scritto io l’ho scritto in quanto erroneo,
in quanto insufficiente, per il mio peccato”.
Vedete la sensibilità? Quindi il rapporto tra interiorità
e Verità è anche un rapporto tra peccato e Grazia.
Il rapporto tra interiorità e Verità
viene sempre interpretato non come la disponibilità della verità
spirituale ad un uomo che vuole soltanto capire e concentrarsi in se stesso;
c’è sempre, piuttosto, una relazione tra il Peccato e la Grazia,
tra ciò cui l’uomo con la sua stessa intelligenza sempre cerca
in qualche modo di pervenire e il dono della Grazia che
sempre lo sopravanza e lo arricchisce al di là di qualsiasi merito,
vorrei dire, dell’uomo stesso. Non è un caso, allora, che proprio
per questa sua drammaticità, questa tensione così forte tra Verità
divina e interiorità dell’uomo, tra Grazia e peccato, la figura
di Agostino rappresenti per la nostra cultura secolarizzata - ma comunque per
la cultura del ‘900 - una grande attrazione.
Prima di dirvi qualche cosa sul De Trinitate, per balbettare qualcosa
che Agostino riusciva a balbettare su Dio - perché tutto ciò che
si può dire di Dio è soltanto balbettio - voglio ricordarvi
una serie di giudizi dei più grandi filosofi ed intellettuali del ‘900.
Martin Heidegger, che sicuramente è il filosofo più importante
e più influente del ‘900, un filosofo che è nella storia
delle dottrine teologiche da prendersi con le molle - troppo spesso si fa di
Heidegger un pensatore cripto-cristiano, mentre in realtà è cristiano
in apparenza ma vuole, come dire?, suggere dal cristianesimo lo spirito senza
Dio. Ma lasciamo perdere, ora sarebbe un discorso un pochino troppo lungo; comunque
è un grandissimo pensatore Heidegger.
Cosa diceva Heidegger? Che l’esperienza dell’esistenza dell’uomo
che Agostino ci offre nelle Confessioni è una esperienza
inarrivabile, insuperata nella cultura occidentale.
Edmund Husserl, un altro grande filosofo austriaco, che comunque insegnerà
in Germania, su cosa insisterà? Sul fatto che, sul problema del tempo
e dell’interiorità, dopo Agostino l’Occidente è come
se non avesse fatto veri passi in avanti.
Diceva Wittgenstein, altro nome celebratissimo nella cultura del ‘900,
il più grande filosofo del linguaggio del secolo, che il libro più
serio che mai sia stato scritto sono le Confessioni di
Agostino.
Rainer Maria Rilke, uno dei più grandi poeti, se non il più
grande poeta, del ‘900, sognava di tradurre le Confessioni
di Agostino in tedesco; ne tradusse qualche paragrafo, poi crollò
dicendo che il latino di Agostino era assolutamente intraducibile, perché
era troppo bello e qualsiasi traduzione lo avrebbe sminuito.
O ancora - è morto da qualche mese, ad ottobre - Jacques Derrida,
un filosofo che io amo molto, un filosofo ebreo complessissimo, particolare,
ambiguo, un filosofo che considera Agostino come uno dei tre, quattro pensatori
decisivi dell’Occidente.
Come Karl Jaspers che lo considera tra i grandi pensatori fondanti
della cultura occidentale. Questi pensatori sono, pensate un po’, Platone,
Kant e Agostino.
Ed allora noi qui davvero ci confrontiamo con un gigante del pensiero, ci confrontiamo
con un gigante della spiritualità. Voglio dire, persino al di là
del confine della società dei cristiani, persino la cultura laica,
addirittura atea, del ’900 riconosce in Agostino una dimensione intellettuale,
spirituale, umana, morale ineguagliabile. E noi questo dobbiamo tenere presente.
Le Confessioni - opera difficilissima, in realtà, da capire fino
in fondo quando si legge - è un‘opera che proprio perché
Agostino vi si dedica alla narrazione della sua vita, avvince moltissimo. Faccio
ancora un esempio: persino le descrizioni in cui Agostino parla dei suoi interessi
sessuali sono descrizioni anche letteralmente talmente forti, potenti, pur se
interpretate sempre con la chiave del peccato, che tantissimo ancora oggi
attraggono e interessano anche autori che del cristianesimo in qualche modo
non vogliono minimamente interessarsi.
E ancora, nelle Confessioni il problema del desiderio: ecco, Jacques
Lacan, grande psicoanalista del ‘900, diceva: “Tornate ad Agostino”.
Pensate un po’, siamo proprio agli antipodi! Colui che diventa il grande
intellettuale francese della cultura snob, degli anni cinquanta/sessanta in
Francia, che riprende Freud, lo radicalizza, lo approfondisce, alla fine dice
nei suoi seminari: “Tornate ad Agostino”. Che vuol dire? Vuol dire
che, insomma, di sostanza in questo pensatore ce n’è molta.
E ora vi voglio parlare del De Trinitate, di quest’opera
molto difficile, molto complessa che è appunto il De Trinitate.
È un’opera che molto difficilmente, soprattutto chi non si occupa
scientificamente di Agostino, riesce ad affrontare e riesce a leggere almeno
sistematicamente.
Facendo una piccola forzatura, me la cavo dicendo che il De Trinitate
Agostino sinceramente l’ha cominciato a scrivere prima delle Confessioni.
Cosa fa in quest’opera Sant’Agostino? Vuole in qualche modo,
sulla scia del Concilio di Costantinopoli di qualche decennio prima, vi dicevo
nel 381, dare il suo contributo teologico alla Trinità.
Ovviamente l’opera si pone in prospettiva antiariana. Gesù
è il Verbo eterno di Dio, Verbo non “creato prima della creazione
del mondo”, come diceva Ario, ma il “Verbo generato eternamente
dal Padre”, inseparabile dal Padre. Il rapporto tra Padre e Figlio non
è solo un rapporto di conoscenza e di amore, ma è una relazione
talmente assoluta e perfetta da ipostatizzarsi nello Spirito Santo, nella terza
Persona della Trinità, che è l’Amore che lega il Padre con
il Figlio.
Voglio cominciare quindi su questo concetto, sul concetto davvero di Verità
divina e quindi dell’Unità in tre Persone. Che cosa vuol dire
che la Trinità è Padre, Figlio e Spirito Santo? E’ un
pochino presuntuoso da parte mia di cercare di dirvi in pochi minuti qualcosa
di sensato, ma almeno voglio cercare di farvi capire l’interesse del problema.
Razionalmente è un discorso, potrei dire, che non tiene, come Dante stesso
sottolineava però per esaltare l’eccellenza e la trascendenza del
Mistero di Dio rispetto alla ragione umana con i suoi “defettivi sillogismi”,
ricordate?
L’Uno, la realtà divina assoluta, è articolata in tre
Persone eternamente! Cioè questo Uno dentro di sé è
Tre: che cosa vuol dire? Non è un concetto troppo forte, non è
un concetto su cui anche molti sacerdoti spesso preferiscono sorvolare, non
hanno alcuna intenzione di approfondire? Come può Agostino identificare
la Verità con questo paradosso di Uno che è Tre, di unico Dio
che è Tre Persone. Se è Uno come fa ad essere Tre? Non soltanto
Agostino, ma certo anche lui vede i paradossi dell’identificazione del
cristianesimo appunto come nodo paradossale che impone il senso mistico del
rispetto più che la pretesa superba della comprensione razionale.
Diceva Agostino che non c’è ombra di dubbio che Dio potrebbe
essere definito arbitrariamente come Una Persona e Tre Persone. In questo c’è
una forte innovazione rispetto allo stesso risultato del Concilio di Costantinopoli.
Ricordate Costantinopoli? Guardate che Costantinopoli è la fondazione
della fede trinitaria di tutti i cristiani, al di là delle loro confessioni
religiose. Ortodossi, cattolici, protestanti, a parte qualche setta protestante
che si è persa per strada.
Quindi, Una Sostanza - Ousia, dicevano i greci – e Tre Ipòstasi,
cioè Tre sostanze individuali. Si dovrebbe dire: Tre Sussistenze - così
si dovrebbe tradurre. Il genio teologico di Agostino capisce che questa formula
è un pochino troppo razionalista. Dice: “Ma, alla fine, io
potrei dire Una Persona in Tre Persone, o Una Ousia in Tre Ousiai, o Una Sussistenza
e Tre Sussistenze”. Capite? Cioè, il problema non è trovare
due termini filosofici e farli agire a due livelli diversi, ma far capire che
il Mistero di Dio è il Mistero in cui la Verità è Una e
Tre.
Allora noi dobbiamo capire in qualche modo perché. Cosa dice Agostino?
Agostino dice: “Io riesco a capire questo straordinario Mistero unicamente
se penso a Dio come Amore”. Guardate che questa è una intuizione
straordinaria di Agostino. Cioè: Dio è Amore, ma, se Dio è
Amore, l’Amore si può davvero dispiegare unicamente se è
una relazione e la relazione implica che l’Uno si schiuda in se stesso
in Tre Persone che si amano reciprocamente. E’ chiaro che è
molto più complesso il discorso agostiniano, io ve lo banalizzo ma questo
è molto importante. La Verità per Agostino è Amore, è
Caritas. E Caritas è il nome dello Spirito Santo per Agostino, e in quanto
è Caritas è relazione tra Persone. Vuol dire che l’Assoluto
è la Relazione.
Date le sue doti intellettuali eccezionali, Agostino a 18 anni da solo (ce
lo dice orgogliosamente nelleConfessioni) legge le
Categorie di Aristotele - conosco molte persone che si
occupano anche di filosofia, che non capiscono a 50 anni, nonostante tutti i
libri di commenti, le Categorie di Aristotele! Aristotele - scusate
questo riferimento forse un pochino troppo dotto, può sembrare superficiale
ma ci aiuta a capire quello che dice Agostino - distingueva la prima Categoria,
che è quella della Sostanza, da tutte le altre sette o nove, a seconda
delle interpretazioni delle Categorie aristoteliche - in realtà
erano otto in tutto, ma poi la tradizione le interpreta come dieci Categorie,
che sono le nove Categorie degli Accidenti, oltre a quella della Sostanza.
La Categoria fondamentale, che dice che cos’è l’essere,
è quella della Sostanza: una cosa è in
quanto è sostanza; per esempio, questo mio orologio. Poi vi sono
altre categorie che definiscono il modo di darsi di questa sostanza nella realtà,
e questi sono gli Accidenti. E sapete qual era uno degli
Accidenti? La Relazione; cioè questo
orologio è in un rapporto di relazione con la mia mano che lo tocca,
o con il tavolo che lo sorregge.
Agostino cosa fa? Prende una Categoria dell’Accidente,
dell’Accidentalità, e l’assolutizza.
Dio non è solo Sostanza - l’unico Dio, l’unica Sostanza -
ma è anche Relazione. Cioè, ciò che tutta
la cultura greca concepiva in qualche modo come riferibile soltanto al mondo
dell’Accidente, cioè ciò che non è veramente assoluto,
Agostino lo introduce nell’Assoluto stesso.
Voi capite che tutta la cultura cristiana, in fin dei conti, si spiega sulla
scia di questa intuizione cristiana che Agostino ha dogmaticamente e logicamente
formalizzata. Cioè, il fatto che la relazione,
il rapporto tra me e voi, il rapporto di fede, o di carità, o di relazione
di amore tra i cristiani, tra i cristiani e chi cristiano non è, si spiega
come rapporto tutto inscritto in una logica divina di rivelazione. Ma questo
è possibile unicamente perché Dio in se stesso inserisce la relazione
e l’amore come dimensione assoluta. E qual è allora la grandezza
teologica di Agostino? Di aver preso il toro per le corna, di aver introdotto
una Categoria dell’Accidentalità in maniera così netta e
radicale all’interno della Sostanza divina Una e Immutabile.
Ricordate cosa dice Dante nell’ultimo canto del Paradiso? Vi faccio dei
riferimenti che forse qualcuno di voi può controllare. Quando Dante
mette finalmente l’occhio nel Mistero di Dio che cosa vede? Vede una specie
di vortice, sostanzialmente, e parla di 3 giri e 1
contenenza. Cioè di 3 cerchi di colore diverso, che rappresentano
le Tre Persone della Trinità, e di Un Unico giro, Una Unica Contenenza
che li tiene insieme, e il secondo di questi cerchi, dice Dante, era tinto
della nostra effigie, è il volto di Cristo.
Allora voi capite che cosa finisce per essere la dottrina trinitaria? L’Amore
assoluto. Ma, se assoluto è l’Amore, non soltanto Padre, Figlio,
Spirito Santo sono Tre che eternamente si amano, ma addirittura l’uomo
stesso Gesù è eternamente predestinato a unirsi con Dio stesso;
perché il Figlio si unisce ipostaticamente con un uomo creato, eletto
dalla Grazia, per Agostino. E così eternamente Dio stesso è in
sé – come dire? – segnato dalla nostra effige, dalla
nostra immagine.
Sarebbe interessantissimo approfondire questi concetti da un punto di vista
proprio della storia della filosofia, della forza della metafisica occidentale;
qui l’Occidente cambia via, svolta, cambia strada: questa è la
cosa importantissima. E guardate che il concetto di Verità nuovo
- che Agostino e diciamo tutta la tradizione cristiana patristica contribuiscono
ad operare all’interno della cultura occidentale - ha il suo effetto
molto più profondo di quanto noi non siamo abituati a pensare.
Noi oggi viviamo una cultura laicista che non riesce a individuare come il suo
stesso laicismo è un effetto di una svolta ideologica e metafisica che
è una svolta cristiana. La caratteristica del cristianesimo in qualche
modo è quella di essersi nascosto al di sotto della secolarizzazione.
Questo sarebbe un discorso molto lungo e così come lo potrei rappresentare
qui sarebbe un pochino superficiale, ma vi faccio un esempio: cosa vuol dire
che in Dio c’è un volto di un uomo? Vuol dire che in qualche modo,
allora, la Verità è umana e che l’uomo è un valore
assoluto e che la Persona di Cristo, che è un volto di un uomo, è
un valore assoluto!
Gli ultimi dieci minuti li voglio dedicare all’altro punto del tema di
stasera: La ricerca di sé. E voglio ancora tornare al tema del
De Trinitate. Noi in qualche modo abbiamo visto, pure se in maniera molto
superficiale, come Agostino concepisce la Trinità, cioè come una
Sostanza eterna articolata in Tre Persone o Sussistenze eterne, che sono in
relazione di amore l’Una con l’Altra. Lo Spirito Santo è
per Agostino la relazione ipostatizzata. Che vuol dire “ipostatizzata”?
Che è diventata Sostanza Personale, una delle Tre Persone. Capite? Il
rapporto di amore tra il Padre e il Figlio è talmente il cuore del Mistero
divino che è Persona essa stessa.
E sapete come viene definita? Agostino lo dice esplicitamente: “Il
vero e autentico nome che dovremmo noi dare allo Spirito Santo, di origine
biblica - c’è tutta una serie di brani biblici - è
DONUM, DONO”. Cioè lo Spirito Santo in quanto
Caritas è il dono divino, il che vuol dire che Dio in se stesso è
DONO.
I libri centrali del De Trinitate, però, si interrompono,
diciamo, dall’8° libro in poi e già il 7° comincia a introdurre
delle variazioni, e cominciano ad essere dedicati a tutt’altro tema apparentemente.
Non più trattano di Dio e della Trinità o della Relazione tra
le Persone, virtuosismo teologico ineguagliabile di Agostino, ma trattano
dell’immagine di Dio.
Agostino si chiede: “Dove posso in qualche modo cercare come in uno
specchio l’enigma (cita ovviamente dalla prima lettera ai Corinzi
di Paolo), il Mistero di Dio? Nella sua immagine. E qual è l’immagine
di Dio? L’uomo. Ma qual è l’uomo autentico, qual è
l’uomo interiore?”
E Agostino qui ci dice qualcosa di straordinario. Cioè comincia ad
analizzare l’uomo, addirittura prima l’uomo esteriore, l’uomo
che tocca le cose, come stiamo facendo anche noi in questo momento, che guarda,
che sente, che trae dall’esperienza il contenuto, della sua conoscenza,
e poi l’uomo interiore, cioè quella struttura della Mens,
della mente, così la chiama Agostino, dell’interiorità o
dell’Animus che presuppone anche tutto l’ambito della nostra
esperienza.
Perché sono straordinarie queste analisi? Perché Agostino fa vedere
come ognuno di noi è una articolazione trinitaria. Cioè noi siamo
immagine non soltanto perché siamo immagine di Dio nel senso che siamo
un essere che esiste, ma perché siamo un essere che esiste, che pensa,
che vuole o ama; che quindi in se può sussistere unicamente in quanto
articolazione trinitaria e quindi in quanto immagine non
soltanto di un Dio Uno, ma di un Dio Uno-Trino, di un Assoluto che è
Relazione.
E che cos’è l’interiorità? L’interiorità
non è un luogo statico, l’interiorità non è una cosa,
ma l’interiorità è una intentio,
un’intenzione, un movimento di ricerca. Ci sono dei passi del De
Trinitate straordinari. Agostino dice: “E’ come se l’uomo
che cerca in se stesso, nell’interiorità, rimanesse sospeso dentro
se stesso alla ricerca di se stesso”.
E come viene definito quest’uomo? Come MEMORIA. E
già in questa prima categoria noi abbiamo qualcosa di abissale, qualcosa
che sussiste spiritualmente, per cui ognuno di noi esiste in quanto è
memoria. Se noi perdessimo la memoria perderemmo la nostra identità
spirituale. Noi abbiamo una memoria in qualche modo creata e quindi finita,
ma come il Padre sussiste, così in noi c’è un mistero metafisico
e questo mistero metafisico è il fatto che non ci dissolviamo come
tutte le cose, ma che tutto quello che ci accade è come se ponesse
capo a un atto spirituale che unisce e vivifica tutti i concetti e le esperienze,
i ricordi ma anche le esperienze della nostra esistenza.
Questa memoria poi che cos’è? INTENTIO;
è desiderio, è volontà. Vedete quanto è drammatico?
Cioè dentro di noi, il nostro soggetto, possiamo dire la nostra anima
ma con un concetto più banalizzato, dentro il nostro atto spirituale
è una memoria che però non si contenta di star ferma, ma tende.
Verso che cosa? Verso la NOTITIA, dice Agostino, cioè
una conoscenza. La conoscenza di cosa? Se guardiamo le cose al di fuori
di noi, ecco che conoscere è conoscere le cose che adesso vi dico io,
conoscere l’orario del treno, conoscere il semaforo rosso che deve scattare...;
se ovviamente noi pensiamo, al contrario, alla dimensione puramente interiore,
la Notizia è la Verità
che ciascuna coscienza cerca in qualche modo. Noi siamo attratti, proprio
strutturalmente, dalla Verità. E quindi che cos’è
l’interiorità dell’uomo? Una memoria
che desidera, che tende alla Verità.
Ma quando Agostino definisce davvero immagine di Dio questa coscienza e questa
interiorità? Stiamo attenti perché questo è un punto
di passaggio importante. Quando questa Memoria, questa Intentio che tende
alla Notitia – vedete: MEMORIA, Padre; NOTITIA,
cioè conoscenza, Figlio; INTENTIO, cioè
desiderio, Spirito Santo – è orientata non verso gli oggetti della
conoscenza ma verso Dio.
Qui c’è tutta una straordinaria polemica di Agostino contro la
filosofia platonica. Cosa fanno i platonici? Anche i platonici si interiorizzano,
vanno dentro loro stessi, cercano la Verità, ma la cercano come un loro
dato interno, naturale, come qualcosa che è dato alla natura intellettuale
dell’uomo. E non capiscono, al contrario, che tutto ciò che l’anima
è nel suo articolarsi non è altro che l’esserci lì
contenuto il dono di Dio. E quindi l’autentica immagine interiore
dell’anima qual è? Quella di un’anima che si confessa come
dono operato dal dono dello Spirito Santo
e di tutta la Trinità.
Voi vedete come da questo punto di vista ricerca della Verità e ricerca
di sé si tengono profondamente insieme. La Verità è
Trina, il sé, l’interiorità, è trino. Ma, se l’interiorità
è trina in quanto il sé è trino in quanto immagine della
Trinità, la sua Verità è soltanto nel conoscere, avere
memoria, conoscenza e amore e desiderio di Dio. E quindi il discorso metafisico
e psicologico si salda con il discorso teologico e trinitario.
Chiudo questa mia, troppo breve, chiacchierata con un riferimento a una frase
celeberrima del De Vera Religione di Agostino - siamo nel
391, è l’ultima opera di Agostino laico, Agostino ancora non
è stato neanche ordinato sacerdote, o meglio, forzato a divenire sacerdote,
perché si diventava sacerdote a furor di popolo, letteralmente, allora.
Si prendeva l’elemento spiritualmente e intellettualmente più in
vista della comunità e con la violenza lo si ordinava sacerdote - e durante
questa esperienza è la forza della Grazia che s’impone sulle resistenze
della libertà.
Vi dicevo che in questo De Vera Religione, uno scritto celeberrimo, noi
abbiamo una delle affermazioni più famose di Agostino: “Noli
foras ire”, non voler andare fuori di te; “Rede
in te ipsum”, torna in te stesso; “In interiore
homine habitat veritas”, la Verità abita nell’uomo
interiore. Prosegue Agostino: “Ma, quando hai trovato te stesso, trascendi
anche te stesso verso la Verità e Dio”.
Vedete è questo movimento di interiorizzazione e di trascendimento,
di concentrazione in sé ma di scoperta che il mistero più profondo
di sé è un mistero eccedente, trascendente, che mai l’interiorità
riesce ad acchiappare - scusate la volgarità di questo termine. Perché
Dio, come è per “il sogno del bambino”, sempre sfugge. E
qual è, allora, la modalità della trascendenza di Dio? Non
è soltanto una modalità metafisica - Dio trascende l’uomo
perché è Assoluto, Eterno, Unità, Amore assoluto –
ma è anche una trascendenza di dono, cioè
l’uomo è quello che è soltanto perché Dio gli dona
ESSERE |
VERITA’ |
AMORE |
(e quindi gli dona) |
||
l’Esistenza |
la Conoscenza |
la Redenzione |
Mi fermo qui; magari quando parleremo delle Confessioni approfondiremo un po’ queste prospettive.