La ricerca di sé e la ricerca della verità in sant’Agostino
Una conferenza del prof.Gaetano Lettieri

Mettiamo a disposizione on-line la trascrizione della conferenza tenuta dal prof. Lettieri, presso la parrocchia di san Mattia in Roma, il 17 dicembre 2004. Essa è stata seguita, all’interno dello stesso ciclo, da una seconda conferenza, anch’essa disponibile su questo sito, dal titolo Le Confessioni di sant’Agostino e la paradossale gioia della felix culpa.
Gli incontri culturali tenuti presso la parrocchia di San Mattia sono organizzati da d.Mario Pio Biasin.
Gaetano Lettieri è professore di Storia del cristianesimo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma.
Il presente testo non è stato rivisto dal suo autore e conserva lo stile discorsivo, tipico di una relazione orale. I titoli ed i neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Per un approfondimento della prospettiva del prof.Lettieri non possiamo che rimandare ai suoi ponderosi studi. In particolare, per una riflessione sulla dottrina della grazia agostiniana, a G.Lettieri, L’altro Agostino. Ermeneutica e retorica della grazia dalla crisi alla metamorfosi del De doctrina christiana, Morcelliana, Brescia, 2001, per uno studio del De doctrina christiana, interrotto da Agostino nel 397 e ripreso alla fine della sua vita, in una prospettiva illuminata dalla dottrina della Grazia. Il De doctrina christiana incompiuto è il culmine del platonismo cristiano del primo Agostino, dell’Agostino umanista apologeta del libero arbitrio. Seguirà, a partire dall’Ad Simplicianum che il Lettieri ritiene cronologicamente successivo al De doctrina christiana poiché è l’opera che inaugura la teologia dell’altro Agostino, l’Agostino maturo che considera la peccaminosa impotenza della libertà umana e la predestinata, onnipotente grazia indebita di Dio. È l’Agostino del De Trinitate, delle Confessioni, del De civitate Dei, ma anche delle opere anti-pelagiane. Sul De civitate Dei, l’opera maggiore del nostro autore è: G.Lettieri, Il senso della storia in Agostino d’Ippona. Il “saeculum” e la gloria di Dio nel De civitate Dei, Edizioni Dehoniane Roma, 1988. Le dispute agostiniane del XVII secolo sono analizzate in G.Lettieri, Il metodo della grazia. Pascal e l’ermeneutica giansenista di Agostino, Edizioni Dehoniane Roma, 1999.

Il Centro culturale Gli scritti (27/7/2007)


Inizio con l’inquadrare Agostino storicamente, perché è un uomo che molto spesso si fa fatica a collocare da un punto di vista storico.

Agostino è un africano, ovviamente di cultura e di lingua latina, e nasce a Tagaste, nell’attuale Algeria, nel 354. Morirà ad Ippona, vescovo di questa importante città sul Mediterraneo, nel 430, mentre Ippona viene assediata dai Vandali.

Questo vi fa capire che la figura di Agostino è una figura in realtà già matura dal punto di vista della storia della patristica; qualche decennio dopo l’Impero Romano d’Occidente crollerà e da questo punto di vista la figura di Agostino è una figura di connessione tra la grande antichità classica e il Medio Evo. Appunto la caduta dell’Impero Romano, le invasioni barbariche e tutta la storia che voi ben conoscete s’imbeverà comunque profondamente della sensibilità e - vedremo - anche proprio delle categorie teologiche, storiche e persino politiche di Agostino.

Le sue opere più importanti sono tre:

- Note a tutti, penso, sono Le Confessioni, che è la sua autobiografia. Agostino la compose intorno al 399/402 (gli studiosi sono un pochino fluttuanti sulla datazione precisa delle Confessioni).

- Il De Trinitate, che è un’opera importantissima; io mi vorrò oggi concentrare soprattutto su questa opera in relazione al titolo della nostra conferenza. “Il De Trinitate è un’opera – dice Agostino – che io ho cominciato da giovane (e si era giovani, per i latini, fino a 40 anni), ma sono diventato senex, l’ho terminata da vecchio”. Questa è un’indicazione molto vaga che però ci fa capire che fu iniziata negli anni ’90, quando Agostino era diventato da poco sacerdote - 391/393, ecco, in questi anni deve essere stata iniziata - ed è stata invece conclusa molto tardi, all’inizio degli anni ’20, cioè a pochi anni dalla morte di Agostino stesso.

- La terza grande opera agostiniana è il De Civitate Dei, l’opera più monumentale di Agostino, opera “grande ed ardua”, così Agostino stesso la definisce. Quest’opera importantissima per la civiltà occidentale è un’opera che viene redatta a partire dal 411-412, in seguito al grande sacco di Roma che i latini avvertirono come il vero crollo, diciamo, morale e psicologico dell’Impero Romano, perché Roma fu violata dopo centinaia e centinaia di anni – pensate Brenno – d’inviolabilità; e quindi è la Città eterna che crolla.

Noi abbiamo delle lettere di Girolamo in cui Girolamo dice proprio: “Roma è stata saccheggiata, è crollato il mondo”. C’è proprio questo senso della fine, del crollo. Agostino, con la sua straordinaria spiritualità, con la sua straordinaria energia di credente, scrive quest’opera in risposta ad accuse pagane che consideravano la conversione al cristianesimo come la responsabile del crollo dell’Impero Romano. E nasce quest’opera, in 22 libri, in cui Agostino oppone la città terrena alla città di Dio, ovvero gli ideali del mondo pagano - e direi in generale dell’uomo naturale - agli ideali della Chiesa cristiana, agli ideali quindi dell’uomo che è ricreato dallo spirito della fede in Cristo.

Ci terrei ora a mettere a fuoco che queste 3 opere di Agostino sono opere che nessun uomo di cultura può trascurare; sono opere - soprattutto Le Confessioni, l’autobiografia agostiniana - che anche un cristiano che abbia interessi intellettuali è davvero chiamato a leggere, a rileggere continuamente.

Voglio aggiungere anche un quarto gruppo di opere di Agostino: sono le cosiddette opere “antipelagiane”, sono opere quindi antieretiche, redatte contro Pelagio, questo monaco britannico che si sposta in Africa in seguito al “Sacco di Roma” del 410. Agostino addirittura lo dovrebbe aver incrociato - lo deduciamo da una sua lettera. E che cosa accade? Che entrano in conflitto due sensibilità religiose, e direi anche culturali, in qualche modo antitetiche.

Agostino inizia una polemica contro Pelagio e i suoi discepoli – intellettuali, monaci, asceti – e nasce un grande corpo di scritti dove Agostino insisterà sistematicamente sul concetto di grazia come grazia gratuita, non dipendente dagli sforzi dell’intimo dell’uomo. Io sottolineo questo argomento; questo è l’aspetto più delicato della figura e dell’eredità agostiniana, che ha creato una enorme quantità di dibattiti, ancora oggi attuali, una enorme quantità di scontri d’interpretazione sulle opere di Agostino che trattano la grazia, le opere antipelagiane. Sono delle opere, ripeto, molto molto importanti.

Vi faccio un esempio: Lutero, colui che ha distrutto l’unità del mondo cattolico - che è stato un monaco agostiniano - considera le opere antipelagiane di Agostino come la chiave d’interpretazione addirittura di tutto il pensiero di Agostino e di tutta la storia della Chiesa. Così Pascal, il grande mistico del ‘600, e tutto il movimento giansenista considererà queste opere di Agostino come il cuore pulsante del suo pensiero teologico. Proprio perché la teologia delle opere antipelagiane è una teologia molto ardua, complessa, addirittura paradossale per molti aspetti, cercherò di tenerla un pochino ai margini di questo nostro incontro che deve essere in qualche modo introduttivo. Però, per onestà intellettuale, è bene segnalarvi queste opere.

Io sono innamorato delle opere antipelagiane di Agostino, in esse proprio palpita tutto il suo genio teologico. Sono opere che hanno diviso gli interpreti, perché sono opere, durissime dal punto di vista teologico: la Grazia di Dio è tutto, la libertà dell’uomo è il peccato. Questa è un po’ la chiave interpretativa di queste opere agostiniane. Ne faremo qualche accenno, ma piuttosto marginalmente.

Dicevo che il primo nostro incontro io ho voluto intitolarlo, con la collaborazione di don Mario - che è stata, come dire?, davvero collaborazione gratuita, nel senso agostiniano della Grazia, che conduceva dove voleva lui - “La ricerca di sé e la ricerca della Verità in Sant’Agostino”.

Quali sono qui i due termini che cerchiamo un pochino di rimettere a fuoco in questa conferenza? Ovviamente la verità per Agostino è una verità teologica ed è una verità rivelata, la verità di Cristo. Poche personalità cristiane, direi, hanno sentito in maniera così forte la verità di Cristo, la rivelazione di Cristo come rottura, come punto di svolta, come momento addirittura di crisi - e ci tornerò su questo aspetto.

Ma perché il problema della verità è messo in connessione con la ricerca di sé? Perché un elemento fondamentale della spiritualità agostiniana è l’insistenza sull’interiorità, sulla ricerca interiore. La verità di Cristo, che è chiaramente incontrata nella storia, nella testimonianza della Chiesa, è comunque una verità che riluce nel senso più radicale e profondo all’interno della coscienza stessa. Quindi è nella coscienza, nella nostra interiorità, nella nostra memoria – come si dirà nelle Confessioni - nel nostro desiderio, nella nostra volontà, nella nostra intelligenza che Agostino scorge la rivelazione di Cristo e, come vedremo, scorge la rivelazione della stessa Trinità.

Se l’uomo guarda se stesso, se l’uomo guarda la sua interiorità, scopre il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questa sarà la grande tesi del De Trinitate che probabilmente è l’opera teologica più importante di tutta la cultura occidentale latina.

Vi ho dato gli estremi - 354-430 - della vita di Agostino: che cosa succede in questo periodo storico? Non dobbiamo trascurarlo. La personalità di Agostino che ruolo ha nella storia dell’Occidente? Dobbiamo ricordare che dal punto di vista dei grandi Padri della Chiesa, prima di Agostino in realtà l’Occidente aveva avuto dei personaggi di grande rilievo - Tertulliano, Cipriano, lo stesso Ambrogio, il vescovo di Milano che battezzerà Agostino - ma non aveva avuto un grande genio teologico paragonabile ad Agostino. Questo vuol dire che la cultura latina cristiana trova il suo vertice culturale, spirituale, filosofico anche, abbastanza tardi. Quindi la prima notazione che noi dobbiamo considerare in riferimento ad Agostino è proprio il suo essere il frutto perfetto e tardo della cultura cristiana latina.

Secondo aspetto molto delicato: io insegno in una università laica, quindi affronto questi problemi con una prospettiva molto storica e quindi voi dovrete fare lo sforzo di prendere questo dato storico e di riconsiderarlo anche da una prospettiva di fede. Che cosa succede nell’Occidente latino fino ad Agostino? Che il primato di Roma, quindi della Chiesa romana, è un primato più spirituale che giuridico. Questo vuol dire che la situazione delle Chiese occidentali è una situazione molto meno, diciamo, generalizzata e centrata sulla comunità romana e sulla dottrina del Vescovo di Roma di quanto non avverrà dopo il crollo dell’Impero Romano con la presenza di una straordinaria figura come è quella di Gregorio Magno.

Questo significa che la situazione del cristianesimo occidentale è una situazione estremamente fluida. Ai tempi di Agostino, quando Agostino è giovane, chi è la grande autorità spirituale dell’Occidente? Ambrogio, che non è il vescovo di Roma, ma vescovo di Milano. E Ambrogio - che muore nel 397, quindi quando Agostino praticamente viene ordinato vescovo - rimarrà sempre il punto di riferimento autoritativo di Agostino. Il vescovo di Roma in questa situazione storica ha un ruolo piuttosto marginale.

Perché vi dico queste cose? Perché questo ci fa capire in che senso davvero per Agostino la Scrittura, la sua interrogazione della Scrittura, la sua ricerca teologica è la ricerca di una verità che lui stesso contribuisce a definire. Cioè le grandi colonne del dogma cristiano e soprattutto cristiano-latino sono dovute proprio a questo sforzo straordinario di approfondimento teologico che è proprio di Agostino.

Vi faccio un esempio: il dogma trinitario viene stabilito con due grandi Concili Ecumenici Orientali - nei quali Roma non ha quasi alcun ruolo se non puramente rappresentativo - che sono il Concilio di Nicea, convocato e presieduto da Costantino nel 325 ed il Concilio di Costantinopoli, nel 381. In questi due Concili (di mezzo c’è una tra le più violente polemiche teologiche della storia della Chiesa) si stabilisce quella che è l’ortodossia antiariana, ovvero l’ortodossia trinitaria: Dio come unica sostanza articolata in tre ipostasi (dicevano i greci), in tre persone (tradurranno i latini e tradurrà anche Agostino forse con qualche perplessità per il termine che non amava molto in ambito trinitario). Quindi soltanto nel 381 il dogma trinitario viene fissato.

Agostino ha 27 anni e ancora non è convertito. Il dogma cristologico, come sapete, viene fissato soltanto con il Concilio di Calcedonia, nel 451, cioè ben 21 anni più tardi della morte di Agostino. E in questo senso noi dobbiamo invece sottolineare un ruolo molto importante della Chiesa romana, e in particolare di Leone Magno, che influenza anche la soluzione ortodossa della cristologia: un’unica persona in due nature, umana e divina, come persona di Cristo. E Leone Magno si servirà proprio delle opere trinitarie e di alcune formule cristologiche di Agostino.

Questo per farvi capire come il grande Agostino fosse un teologo estremamente tardo da un punto di vista dei primi secoli della storia della Chiesa ed ha avuto comunque, grazie alla sua straordinaria genialità teologica, un ruolo decisivo anche nella definizione della ortodossia cristologica.
Un ultimo elemento, che voglio chiarire prima di dedicarmi più da vicino al tema dell’interiorità e della ricerca della Verità in Sant’Agostino: vi parlavo del De Civitate Dei e vi accennavo al ruolo di Agostino come ruolo decisivo nell’ambito della cultura occidentale. Cosa fa Agostino? Il suo genio teologico prende in eredità –ovviamente già preparata e reinterpretata da quattro secoli di vita e di spiritualità cristiana- tutta la cultura pagana e la reinterpreta, cambiandola nettamente di segno, in cultura cristiana. In questo senso davvero è il padre del Medio Evo occidentale.

Vi parlavo del De Civitate Dei: tutte le categorie storiche, politiche, culturali del Medio Evo occidentale dipendono da questa opera di Agostino. Pensate! Carlo Magno dormiva col De Civitate Dei accanto. Vi dico ciò per farvi capire l’importanza storica che un’opera del genere ha avuto.

Cosa Agostino ha introdotto in maniera innovativa nella cultura occidentale? E’ un problema molto delicato - come dire? la nostra sensibilità culturale è una sensibilità molto secolarizzata, troppo umanistica, mi permetto di dire, per certi aspetti, storce un po’ il naso di fronte a queste categorie - ma l’altro grande elemento culturale che Agostino ha introdotto nella cultura, prima medioevale poi occidentale in senso lato, è, appunto, la sua riflessione non solo sulla Grazia, ma anche sul peccato. Cercheremo di spiegare perché.

Vi parlavo prima del dogma cristologico, da un punto di vista dell’interpretazione del peccato originale - e ad esempio dell’interpretazione della sessualità come veicolo di trasmissione del peccato originale - Agostino ha avuto un ruolo straordinariamente importante nella cultura d’Occidente, per cui la sensibilità contemporanea vedeva Agostino come un personaggio, dovrei dire, negativo da questo punto di vista. Però noi cristiani dobbiamo innanzi tutto riconoscere storicamente qual’è il ruolo di Agostino da questo punto di vista, ma secondariamente capire anche il senso della sua dottrina così, in effetti, negativa e così tetra per certi aspetti particolari.

Qual è la convinzione di Agostino? Che dopo il peccato di Adamo tutta l’umanità è precipitata – lui parlava proprio di massa di dannazione – nel peccato radicale e naturalmente l’uomo con le sue forze non può che riperpetuare il peccato di Adamo. Se noi non teniamo ben presente questo elemento della teologia, della spiritualità agostiniana, noi corriamo il rischio di ridurre, di trasformare questo straordinario personaggio in un fantoccio che rimodelliamo a seconda delle nostre esigenze spirituali, culturali che però non sono le sue.

Noi possiamo avere una nostra autonomia anche spirituale, ma dobbiamo confrontarci con le grandi figure del passato e con i grandi giganti della tradizione cristiana, cercando di capire fino in fondo qual è il loro principio ispiratore. Bene! Perché peccato e grazia? E ci avviciniamo al problema del rapporto tra verità e ricerca di sé. Voi sapete che Agostino è nella cultura occidentale la figura di un grande convertito. E dobbiamo capire in che senso Agostino è un grande convertito.

Le Confessioni, ne parleremo più dettagliatamente in un prossimo incontro, narrano proprio tutta la vita personale di Agostino e alla fine la sua conversione, operata dalla Grazia di Dio, il suo battesimo, la sua nomina a vescovo e finalmente la sua opera di teologo. Ma ci torneremo su queste Confessioni. In che senso Agostino si converte? Questo è il problema.

Nasce da una famiglia di media borghesia, la potremmo definire così. La madre, Monica, un nome tipicamente africano (infatti molti ipotizzano che ci fosse proprio sangue autoctono in Agostino, cioè che non fosse, la sua, una famiglia totalmente latina e ci fosse qualche elemento africano nativo), un nome cartaginese di tradizione, quindi molto connotato dal punto di vista etnico. Il padre, Patrizio, non cristiano, era non interessato alla fede cristiana - padre amatissimo da Agostino che però rimane dominato dalla figura della madre.

Comunque Agostino studia; a 18 anni si reca a Cartagine. Ci sono i libri delle Confessioni che narrano il suo arrivo a Cartagine, in questa “Carthago/Sartàgo” - gioca così il testo latino - cioè Cartagine sarebbe una pentola ribollente di passioni e di amori perversi; così Agostino la descrive. Quindi arriva a Cartagine, studia, le sue doti eccezionali intellettuali gli consentono di leggere e capire da solo le Categorie di Aristotele in traduzione latina, diventa rapidamente ferratissimo in retorica.

In realtà Agostino era un professore di retorica, come tale arriverà a Milano – a mio parere il fatto che fosse un professore di retorica influisce tantissimo sulla sua teologia, e cercheremo di spiegare perché – e, cosa impressionante in fondo per noi, entra in una comunità manichea, cioè una comunità che neanche possiamo definire eretica: la comunità manichea era una comunità religiosa in qualche modo indipendente dalla comunità cristiana ma che si nutriva di elementi anche cristiani.

Ora non posso raccontare chi fosse Mani, questo genio religioso della metà del III secolo dopo Cristo, anche lui messo a morte dal potere, questa volta orientale, persiano, e non romano. Agostino si sente attratto dai manichei. Questi manichei affermavano l’esistenza di un dio della luce e di un dio della tenebra e di una natura luminosa e di una natura tenebrosa che nel mondo si erano come mescolate.

Per ben 10 anni Agostino rimane uditore manicheo. Che vuol dire uditore? Adepto. Che però non entrava nel circolo più ristretto dei veri e propri puri o perfetti manichei. Pone con la sua solita genialità, alla fine di questi dieci anni, delle questioni alla grande figura spirituale del manicheismo africano latino, Faustus, contro il quale scriverà appunto il “Contro Fausto” qualche anno più tardi, e decide alla fine di distaccarsi dai manichei. Ma per fare cosa?

Per fare carriera e per dedicarsi ad una vita di piaceri. Infatti si sposta da Cartagine a Roma, prima, a Milano dopo, con la semplice intenzione di volersi godere la vita - scusate se banalizzo così - e di ambire ad un ruolo culturale e forse anche politico altissimo, tant’è che diventa retore ufficiale (probabilmente ancora con appoggi manichei) dell’imperatore a Milano, e quindi arriva finalmente a Milano dove incontrerà Ambrogio.

Quindi, da questo punto di vista, fino alla soglia dei 30 anni questo ragazzo giovane, di eccezionale intelligenza e di eccezionale ambizione, vive una vita esclusivamente di peccato, almeno così egli stesso la confesserà, e si è sempre rifiutato di farsi battezzare. Voi sapete che nel mondo antico il sacramento del battesimo si assumeva soltanto in età adulta. Questo perché i peccati post-battesimali erano in qualche modo inammissibili o difficilmente perdonabili, quindi portavano un rischio mortale per un peccatore battezzato.

Soltanto in Africa, ai tempi di Cipriano, un centinaio di anni prima di Agostino, si incomincia a introdurre lentamente e poi sempre più sistematicamente l’abitudine di battezzare i bambini - quindi il battesimo dei bambini come specifico contributo della Chiesa africana alla storia della prassi liturgica è un’altra innovazione della Chiesa africana che si diffonderà prestissimo anche al di fuori dell’Africa

Agostino a 18 anni ha un figlio da una concubina, che non nomina mai, che lascerà Milano - state attenti! - non perché si vuole convertire ma perché la madre Monica (e qui anche le sante hanno, diciamo, qualche tallone d’Achille) voleva fargli fare un matrimonio con una giovane nobile, ricchissima e quindi per puri interessi mondani, soprattutto.

Sotto la pressione di Monica, prima, e poi per il fascino che lo prende nell’ascoltare alcune predicazioni di Ambrogio, Agostino finalmente si converte alla fede cristiana che non aveva mai abbandonato, ma che vuole ora finalmente assumere in senso radicale – quando parleremo delle Confessioni entreremo più nel dettaglio – e viene finalmente battezzato a Milano. Fino a qualche anno fa si riteneva che al di sotto del Duomo di Milano ci fosse proprio il Battistero dove Agostino sarebbe stato battezzato da Ambrogio; ora gli archeologi hanno qualche dubbio, ma lasciamo perdere queste questioni secondarie.

Dopo il battesimo si ritira a Cassiciaco, una località nei pressi di Milano, dove comincia a redigere degli scritti di filosofia cristiana, i cosiddetti Dialoghi di Cassiciaco, poi decide di tornare in Africa. La madre l’accompagna. Monica morirà ad Ostia, aspettando appunto che ci sia il “mare aperto”, la stagione buona per attraversare il Mediterraneo per tornare in Africa.

Agostino torna in Africa e decide di ritirarsi in qualche modo in una vita contemplativa di studi. Nel 391 viene ordinato sacerdote e da lì, nel 397, vescovo d’Ippona. Diventa la più grande personalità della Chiesa occidentale. Girolamo stesso rivaleggia con lui per disputarsi la palma dello scrittore latino-cristiano più importante, un punto di riferimento di tutta la cultura cristiana latina; alla fine, intorno agli anni 420, dopo qualche lettera molto focosa fra i due, gli riconoscerà la palma della grande colonna, del grande interprete della ortodossia cattolica occidentale.

Perché quindi Agostino è un convertito? Perché la sua fede l’ha scelta, ma l’ha scelta interpretando la sua storia e la sua esperienza interiore in relazione all’altra grandissima figura che è quella di Paolo. Agostino interpreta tutta la sua esistenza e tutta la sua spiritualità a partire da Paolo, dalla conversione di Paolo. Ci sono delle pagine straordinarie che possono descrivere questo. Chi era Paolo? Scriveva Agostino: “Colui che voleva uccidere, perseguitare, aggredire, inseguire, annientare i cristiani; ma proprio lui la Grazia divina ha eletto, ha scelto, ha abbattuto da cavallo, ha accecato e ha condotto alla Verità”.

E proprio questa esperienza di peccato, di durezza nei confronti della Verità cristiana, nei confronti della rivelazione cristiana e di forza, di rivelazione e di redenzione operata dalla grazia, è questa, vorrei dire, sensibilità religiosa, costruita da contrasti fortissimi, quella che Agostino legge in Paolo e quella che Agostino applica nei confronti di se stesso.

Quindi, quando noi pensiamo al rapporto tra verità e interiorità in Agostino, non dobbiamo mai pensarlo nei termini di una relazione in senso plotiniano, filosofico, di un intellettuale che si sprofonda nella sua intelligenza e coglie la Verità, ma sempre in termini drammatici, sempre in termini di incontro folgorante per l’intelligenza.

Il rapporto che Agostino nella sua interiorità ha e scorge nei confronti della Verità è sempre un incontro con una Persona che lo strappa dal peccato e lo restituisce ad una nuova vita, una vita luminosa, una vita di razionalità e di spiritualità altissima, ma che comunque come suo polo dialettico - all’interno appunto di questa grande personalità - si mette in relazione a una coscienza di sé come peccatore, come colui che voleva resistere alla Verità, come colui che non ascoltava la madre Monica che gli chiedeva di convertirsi, di farsi battezzare.

Allora la prima grande notazione che noi dobbiamo cogliere per capire questa grande figura di Agostino è quella della conversione. Tutto il suo pensiero e tutto il suo cammino spirituale è un continuo cammino di conversione.

Non è un caso che, verso la fine della sua vita, Agostino scriva un’altra opera rivoluzionaria per la sua epoca e cioè le Retractationes, letteralmente, Ritrattazioni. E’ un’opera in cui Agostino corregge sistematicamente le sue opere precedenti, tutte le opere che ha scritto, quelle giovanili, poi quelle da sacerdote e quelle da vescovo.

E si corregge! “Questi sono i miei errori”. Perché l’esperienza del cristiano, l’interiorità del cristiano è sempre uno scontro e, vorrei dire, un conflitto tra il peccato e la Grazia. E la Grazia illumina progressivamente in senso sempre più profondo e quindi fa abbandonare, all’uomo che cerca Dio inquietamente, sempre più i suoi errori, le sue manchevolezze, anche la sua incapacità di entrare sempre più a fondo nel Mistero di Dio.

Vedete, Dio fa inoltrare Agostino nella sua Verità, ma al tempo stesso questo approfondimento corrisponde a una confessione – uso questo termine apposta – e a una ritrattazione di errori, di manchevolezze, a una forza del peccato che, dice Agostino, “sarebbe il mio peso naturale se non venisse la Grazia e la luce di Dio a illuminarmi”.

Vedete quindi quanto Agostino sia una figura drammatica da questo punto di vista. La sua ricerca teologica è veramente il continuo tentativo di distaccarsi dal proprio peccato ed anche dall’angustia della propria intelligenza e l’aprirsi ad una Verità sempre eccedente che non riesce mai fino in fondo ad esaudire, a contenere nella sua intelligenza.

Ricordo, da un punto di vista iconografico, quello che è il cosiddetto “Sogno di Agostino”, che in realtà non è autenticamente derivato da una narrazione, da una testimonianza di Agostino. Ricordate qual è il sogno di Agostino? Del bambino che sta in riva al mare e che con una conchiglia attinge l’acqua dal mare e poi la versa in una buca nella sabbia. “Che cosa fai?” gli chiede Agostino. “Voglio svuotare tutto il mare e versarlo in questa buca”. Agostino prende in giro il bambino per l’intento che aveva e il bambino gli risponde: “E tu che vuoi fare cercando di comprendere il Mistero di Dio?”.

Guardate, non è autenticamente agostiniano come dato storico, però riassume perfettamente straordinarie pagine del De Trinitate. Invito, per esempio, a leggere le ultime pagine del XV libro del De Trinitate, dove Agostino dice: “Alla fine tutto ciò che di vero ho detto l’ho detto perché Dio me lo ha rivelato. Tutto ciò che di erroneo, di insufficiente, ho scritto io l’ho scritto in quanto erroneo, in quanto insufficiente, per il mio peccato”.

Vedete la sensibilità? Quindi il rapporto tra interiorità e Verità è anche un rapporto tra peccato e Grazia. Il rapporto tra interiorità e Verità viene sempre interpretato non come la disponibilità della verità spirituale ad un uomo che vuole soltanto capire e concentrarsi in se stesso; c’è sempre, piuttosto, una relazione tra il Peccato e la Grazia, tra ciò cui l’uomo con la sua stessa intelligenza sempre cerca in qualche modo di pervenire e il dono della Grazia che sempre lo sopravanza e lo arricchisce al di là di qualsiasi merito, vorrei dire, dell’uomo stesso. Non è un caso, allora, che proprio per questa sua drammaticità, questa tensione così forte tra Verità divina e interiorità dell’uomo, tra Grazia e peccato, la figura di Agostino rappresenti per la nostra cultura secolarizzata - ma comunque per la cultura del ‘900 - una grande attrazione.

Prima di dirvi qualche cosa sul De Trinitate, per balbettare qualcosa che Agostino riusciva a balbettare su Dio - perché tutto ciò che si può dire di Dio è soltanto balbettio - voglio ricordarvi una serie di giudizi dei più grandi filosofi ed intellettuali del ‘900. Martin Heidegger, che sicuramente è il filosofo più importante e più influente del ‘900, un filosofo che è nella storia delle dottrine teologiche da prendersi con le molle - troppo spesso si fa di Heidegger un pensatore cripto-cristiano, mentre in realtà è cristiano in apparenza ma vuole, come dire?, suggere dal cristianesimo lo spirito senza Dio. Ma lasciamo perdere, ora sarebbe un discorso un pochino troppo lungo; comunque è un grandissimo pensatore Heidegger.

Cosa diceva Heidegger? Che l’esperienza dell’esistenza dell’uomo che Agostino ci offre nelle Confessioni è una esperienza inarrivabile, insuperata nella cultura occidentale.

Edmund Husserl, un altro grande filosofo austriaco, che comunque insegnerà in Germania, su cosa insisterà? Sul fatto che, sul problema del tempo e dell’interiorità, dopo Agostino l’Occidente è come se non avesse fatto veri passi in avanti.

Diceva Wittgenstein, altro nome celebratissimo nella cultura del ‘900, il più grande filosofo del linguaggio del secolo, che il libro più serio che mai sia stato scritto sono le Confessioni di Agostino.

Rainer Maria Rilke, uno dei più grandi poeti, se non il più grande poeta, del ‘900, sognava di tradurre le Confessioni di Agostino in tedesco; ne tradusse qualche paragrafo, poi crollò dicendo che il latino di Agostino era assolutamente intraducibile, perché era troppo bello e qualsiasi traduzione lo avrebbe sminuito.

O ancora - è morto da qualche mese, ad ottobre - Jacques Derrida, un filosofo che io amo molto, un filosofo ebreo complessissimo, particolare, ambiguo, un filosofo che considera Agostino come uno dei tre, quattro pensatori decisivi dell’Occidente.

Come Karl Jaspers che lo considera tra i grandi pensatori fondanti della cultura occidentale. Questi pensatori sono, pensate un po’, Platone, Kant e Agostino.

Ed allora noi qui davvero ci confrontiamo con un gigante del pensiero, ci confrontiamo con un gigante della spiritualità. Voglio dire, persino al di là del confine della società dei cristiani, persino la cultura laica, addirittura atea, del ’900 riconosce in Agostino una dimensione intellettuale, spirituale, umana, morale ineguagliabile. E noi questo dobbiamo tenere presente.

Le Confessioni - opera difficilissima, in realtà, da capire fino in fondo quando si legge - è un‘opera che proprio perché Agostino vi si dedica alla narrazione della sua vita, avvince moltissimo. Faccio ancora un esempio: persino le descrizioni in cui Agostino parla dei suoi interessi sessuali sono descrizioni anche letteralmente talmente forti, potenti, pur se interpretate sempre con la chiave del peccato, che tantissimo ancora oggi attraggono e interessano anche autori che del cristianesimo in qualche modo non vogliono minimamente interessarsi.

E ancora, nelle Confessioni il problema del desiderio: ecco, Jacques Lacan, grande psicoanalista del ‘900, diceva: “Tornate ad Agostino”. Pensate un po’, siamo proprio agli antipodi! Colui che diventa il grande intellettuale francese della cultura snob, degli anni cinquanta/sessanta in Francia, che riprende Freud, lo radicalizza, lo approfondisce, alla fine dice nei suoi seminari: “Tornate ad Agostino”. Che vuol dire? Vuol dire che, insomma, di sostanza in questo pensatore ce n’è molta.

E ora vi voglio parlare del De Trinitate, di quest’opera molto difficile, molto complessa che è appunto il De Trinitate. È un’opera che molto difficilmente, soprattutto chi non si occupa scientificamente di Agostino, riesce ad affrontare e riesce a leggere almeno sistematicamente.

Facendo una piccola forzatura, me la cavo dicendo che il De Trinitate Agostino sinceramente l’ha cominciato a scrivere prima delle Confessioni.
Cosa fa in quest’opera Sant’Agostino? Vuole in qualche modo, sulla scia del Concilio di Costantinopoli di qualche decennio prima, vi dicevo nel 381, dare il suo contributo teologico alla Trinità.

Ovviamente l’opera si pone in prospettiva antiariana. Gesù è il Verbo eterno di Dio, Verbo non “creato prima della creazione del mondo”, come diceva Ario, ma il “Verbo generato eternamente dal Padre”, inseparabile dal Padre. Il rapporto tra Padre e Figlio non è solo un rapporto di conoscenza e di amore, ma è una relazione talmente assoluta e perfetta da ipostatizzarsi nello Spirito Santo, nella terza Persona della Trinità, che è l’Amore che lega il Padre con il Figlio.

Voglio cominciare quindi su questo concetto, sul concetto davvero di Verità divina e quindi dell’Unità in tre Persone. Che cosa vuol dire che la Trinità è Padre, Figlio e Spirito Santo? E’ un pochino presuntuoso da parte mia di cercare di dirvi in pochi minuti qualcosa di sensato, ma almeno voglio cercare di farvi capire l’interesse del problema. Razionalmente è un discorso, potrei dire, che non tiene, come Dante stesso sottolineava però per esaltare l’eccellenza e la trascendenza del Mistero di Dio rispetto alla ragione umana con i suoi “defettivi sillogismi”, ricordate?

L’Uno, la realtà divina assoluta, è articolata in tre Persone eternamente! Cioè questo Uno dentro di sé è Tre: che cosa vuol dire? Non è un concetto troppo forte, non è un concetto su cui anche molti sacerdoti spesso preferiscono sorvolare, non hanno alcuna intenzione di approfondire? Come può Agostino identificare la Verità con questo paradosso di Uno che è Tre, di unico Dio che è Tre Persone. Se è Uno come fa ad essere Tre? Non soltanto Agostino, ma certo anche lui vede i paradossi dell’identificazione del cristianesimo appunto come nodo paradossale che impone il senso mistico del rispetto più che la pretesa superba della comprensione razionale.

Diceva Agostino che non c’è ombra di dubbio che Dio potrebbe essere definito arbitrariamente come Una Persona e Tre Persone. In questo c’è una forte innovazione rispetto allo stesso risultato del Concilio di Costantinopoli. Ricordate Costantinopoli? Guardate che Costantinopoli è la fondazione della fede trinitaria di tutti i cristiani, al di là delle loro confessioni religiose. Ortodossi, cattolici, protestanti, a parte qualche setta protestante che si è persa per strada.

Quindi, Una Sostanza - Ousia, dicevano i greci – e Tre Ipòstasi, cioè Tre sostanze individuali. Si dovrebbe dire: Tre Sussistenze - così si dovrebbe tradurre. Il genio teologico di Agostino capisce che questa formula è un pochino troppo razionalista. Dice: “Ma, alla fine, io potrei dire Una Persona in Tre Persone, o Una Ousia in Tre Ousiai, o Una Sussistenza e Tre Sussistenze”. Capite? Cioè, il problema non è trovare due termini filosofici e farli agire a due livelli diversi, ma far capire che il Mistero di Dio è il Mistero in cui la Verità è Una e Tre.

Allora noi dobbiamo capire in qualche modo perché. Cosa dice Agostino? Agostino dice: “Io riesco a capire questo straordinario Mistero unicamente se penso a Dio come Amore”. Guardate che questa è una intuizione straordinaria di Agostino. Cioè: Dio è Amore, ma, se Dio è Amore, l’Amore si può davvero dispiegare unicamente se è una relazione e la relazione implica che l’Uno si schiuda in se stesso in Tre Persone che si amano reciprocamente. E’ chiaro che è molto più complesso il discorso agostiniano, io ve lo banalizzo ma questo è molto importante. La Verità per Agostino è Amore, è Caritas. E Caritas è il nome dello Spirito Santo per Agostino, e in quanto è Caritas è relazione tra Persone. Vuol dire che l’Assoluto è la Relazione.

Date le sue doti intellettuali eccezionali, Agostino a 18 anni da solo (ce lo dice orgogliosamente nelleConfessioni) legge le Categorie di Aristotele - conosco molte persone che si occupano anche di filosofia, che non capiscono a 50 anni, nonostante tutti i libri di commenti, le Categorie di Aristotele! Aristotele - scusate questo riferimento forse un pochino troppo dotto, può sembrare superficiale ma ci aiuta a capire quello che dice Agostino - distingueva la prima Categoria, che è quella della Sostanza, da tutte le altre sette o nove, a seconda delle interpretazioni delle Categorie aristoteliche - in realtà erano otto in tutto, ma poi la tradizione le interpreta come dieci Categorie, che sono le nove Categorie degli Accidenti, oltre a quella della Sostanza.

La Categoria fondamentale, che dice che cos’è l’essere, è quella della Sostanza: una cosa è in quanto è sostanza; per esempio, questo mio orologio. Poi vi sono altre categorie che definiscono il modo di darsi di questa sostanza nella realtà, e questi sono gli Accidenti. E sapete qual era uno degli Accidenti? La Relazione; cioè questo orologio è in un rapporto di relazione con la mia mano che lo tocca, o con il tavolo che lo sorregge.

Agostino cosa fa? Prende una Categoria dell’Accidente, dell’Accidentalità, e l’assolutizza. Dio non è solo Sostanza - l’unico Dio, l’unica Sostanza - ma è anche Relazione. Cioè, ciò che tutta la cultura greca concepiva in qualche modo come riferibile soltanto al mondo dell’Accidente, cioè ciò che non è veramente assoluto, Agostino lo introduce nell’Assoluto stesso.

Voi capite che tutta la cultura cristiana, in fin dei conti, si spiega sulla scia di questa intuizione cristiana che Agostino ha dogmaticamente e logicamente formalizzata. Cioè, il fatto che la relazione, il rapporto tra me e voi, il rapporto di fede, o di carità, o di relazione di amore tra i cristiani, tra i cristiani e chi cristiano non è, si spiega come rapporto tutto inscritto in una logica divina di rivelazione. Ma questo è possibile unicamente perché Dio in se stesso inserisce la relazione e l’amore come dimensione assoluta. E qual è allora la grandezza teologica di Agostino? Di aver preso il toro per le corna, di aver introdotto una Categoria dell’Accidentalità in maniera così netta e radicale all’interno della Sostanza divina Una e Immutabile.

Ricordate cosa dice Dante nell’ultimo canto del Paradiso? Vi faccio dei riferimenti che forse qualcuno di voi può controllare. Quando Dante mette finalmente l’occhio nel Mistero di Dio che cosa vede? Vede una specie di vortice, sostanzialmente, e parla di 3 giri e 1 contenenza. Cioè di 3 cerchi di colore diverso, che rappresentano le Tre Persone della Trinità, e di Un Unico giro, Una Unica Contenenza che li tiene insieme, e il secondo di questi cerchi, dice Dante, era tinto della nostra effigie, è il volto di Cristo.

Allora voi capite che cosa finisce per essere la dottrina trinitaria? L’Amore assoluto. Ma, se assoluto è l’Amore, non soltanto Padre, Figlio, Spirito Santo sono Tre che eternamente si amano, ma addirittura l’uomo stesso Gesù è eternamente predestinato a unirsi con Dio stesso; perché il Figlio si unisce ipostaticamente con un uomo creato, eletto dalla Grazia, per Agostino. E così eternamente Dio stesso è in sé – come dire? – segnato dalla nostra effige, dalla nostra immagine.

Sarebbe interessantissimo approfondire questi concetti da un punto di vista proprio della storia della filosofia, della forza della metafisica occidentale; qui l’Occidente cambia via, svolta, cambia strada: questa è la cosa importantissima. E guardate che il concetto di Verità nuovo - che Agostino e diciamo tutta la tradizione cristiana patristica contribuiscono ad operare all’interno della cultura occidentale - ha il suo effetto molto più profondo di quanto noi non siamo abituati a pensare.

Noi oggi viviamo una cultura laicista che non riesce a individuare come il suo stesso laicismo è un effetto di una svolta ideologica e metafisica che è una svolta cristiana. La caratteristica del cristianesimo in qualche modo è quella di essersi nascosto al di sotto della secolarizzazione. Questo sarebbe un discorso molto lungo e così come lo potrei rappresentare qui sarebbe un pochino superficiale, ma vi faccio un esempio: cosa vuol dire che in Dio c’è un volto di un uomo? Vuol dire che in qualche modo, allora, la Verità è umana e che l’uomo è un valore assoluto e che la Persona di Cristo, che è un volto di un uomo, è un valore assoluto!

Gli ultimi dieci minuti li voglio dedicare all’altro punto del tema di stasera: La ricerca di sé. E voglio ancora tornare al tema del De Trinitate. Noi in qualche modo abbiamo visto, pure se in maniera molto superficiale, come Agostino concepisce la Trinità, cioè come una Sostanza eterna articolata in Tre Persone o Sussistenze eterne, che sono in relazione di amore l’Una con l’Altra. Lo Spirito Santo è per Agostino la relazione ipostatizzata. Che vuol dire “ipostatizzata”? Che è diventata Sostanza Personale, una delle Tre Persone. Capite? Il rapporto di amore tra il Padre e il Figlio è talmente il cuore del Mistero divino che è Persona essa stessa.

E sapete come viene definita? Agostino lo dice esplicitamente: “Il vero e autentico nome che dovremmo noi dare allo Spirito Santo, di origine biblica - c’è tutta una serie di brani biblici - è DONUM, DONO”. Cioè lo Spirito Santo in quanto Caritas è il dono divino, il che vuol dire che Dio in se stesso è DONO.

I libri centrali del De Trinitate, però, si interrompono, diciamo, dall’8° libro in poi e già il 7° comincia a introdurre delle variazioni, e cominciano ad essere dedicati a tutt’altro tema apparentemente. Non più trattano di Dio e della Trinità o della Relazione tra le Persone, virtuosismo teologico ineguagliabile di Agostino, ma trattano dell’immagine di Dio.

Agostino si chiede: “Dove posso in qualche modo cercare come in uno specchio l’enigma (cita ovviamente dalla prima lettera ai Corinzi di Paolo), il Mistero di Dio? Nella sua immagine. E qual è l’immagine di Dio? L’uomo. Ma qual è l’uomo autentico, qual è l’uomo interiore?”

E Agostino qui ci dice qualcosa di straordinario. Cioè comincia ad analizzare l’uomo, addirittura prima l’uomo esteriore, l’uomo che tocca le cose, come stiamo facendo anche noi in questo momento, che guarda, che sente, che trae dall’esperienza il contenuto, della sua conoscenza, e poi l’uomo interiore, cioè quella struttura della Mens, della mente, così la chiama Agostino, dell’interiorità o dell’Animus che presuppone anche tutto l’ambito della nostra esperienza.

Perché sono straordinarie queste analisi? Perché Agostino fa vedere come ognuno di noi è una articolazione trinitaria. Cioè noi siamo immagine non soltanto perché siamo immagine di Dio nel senso che siamo un essere che esiste, ma perché siamo un essere che esiste, che pensa, che vuole o ama; che quindi in se può sussistere unicamente in quanto articolazione trinitaria e quindi in quanto immagine non soltanto di un Dio Uno, ma di un Dio Uno-Trino, di un Assoluto che è Relazione.

E che cos’è l’interiorità? L’interiorità non è un luogo statico, l’interiorità non è una cosa, ma l’interiorità è una intentio, un’intenzione, un movimento di ricerca. Ci sono dei passi del De Trinitate straordinari. Agostino dice: “E’ come se l’uomo che cerca in se stesso, nell’interiorità, rimanesse sospeso dentro se stesso alla ricerca di se stesso”.

E come viene definito quest’uomo? Come MEMORIA. E già in questa prima categoria noi abbiamo qualcosa di abissale, qualcosa che sussiste spiritualmente, per cui ognuno di noi esiste in quanto è memoria. Se noi perdessimo la memoria perderemmo la nostra identità spirituale. Noi abbiamo una memoria in qualche modo creata e quindi finita, ma come il Padre sussiste, così in noi c’è un mistero metafisico e questo mistero metafisico è il fatto che non ci dissolviamo come tutte le cose, ma che tutto quello che ci accade è come se ponesse capo a un atto spirituale che unisce e vivifica tutti i concetti e le esperienze, i ricordi ma anche le esperienze della nostra esistenza.

Questa memoria poi che cos’è? INTENTIO; è desiderio, è volontà. Vedete quanto è drammatico? Cioè dentro di noi, il nostro soggetto, possiamo dire la nostra anima ma con un concetto più banalizzato, dentro il nostro atto spirituale è una memoria che però non si contenta di star ferma, ma tende. Verso che cosa? Verso la NOTITIA, dice Agostino, cioè una conoscenza. La conoscenza di cosa? Se guardiamo le cose al di fuori di noi, ecco che conoscere è conoscere le cose che adesso vi dico io, conoscere l’orario del treno, conoscere il semaforo rosso che deve scattare...; se ovviamente noi pensiamo, al contrario, alla dimensione puramente interiore, la Notizia è la Verità che ciascuna coscienza cerca in qualche modo. Noi siamo attratti, proprio strutturalmente, dalla Verità. E quindi che cos’è l’interiorità dell’uomo? Una memoria che desidera, che tende alla Verità.

Ma quando Agostino definisce davvero immagine di Dio questa coscienza e questa interiorità? Stiamo attenti perché questo è un punto di passaggio importante. Quando questa Memoria, questa Intentio che tende alla Notitia – vedete: MEMORIA, Padre; NOTITIA, cioè conoscenza, Figlio; INTENTIO, cioè desiderio, Spirito Santo – è orientata non verso gli oggetti della conoscenza ma verso Dio.

Qui c’è tutta una straordinaria polemica di Agostino contro la filosofia platonica. Cosa fanno i platonici? Anche i platonici si interiorizzano, vanno dentro loro stessi, cercano la Verità, ma la cercano come un loro dato interno, naturale, come qualcosa che è dato alla natura intellettuale dell’uomo. E non capiscono, al contrario, che tutto ciò che l’anima è nel suo articolarsi non è altro che l’esserci lì contenuto il dono di Dio. E quindi l’autentica immagine interiore dell’anima qual è? Quella di un’anima che si confessa come dono operato dal dono dello Spirito Santo e di tutta la Trinità.

Voi vedete come da questo punto di vista ricerca della Verità e ricerca di sé si tengono profondamente insieme. La Verità è Trina, il sé, l’interiorità, è trino. Ma, se l’interiorità è trina in quanto il sé è trino in quanto immagine della Trinità, la sua Verità è soltanto nel conoscere, avere memoria, conoscenza e amore e desiderio di Dio. E quindi il discorso metafisico e psicologico si salda con il discorso teologico e trinitario.

Chiudo questa mia, troppo breve, chiacchierata con un riferimento a una frase celeberrima del De Vera Religione di Agostino - siamo nel 391, è l’ultima opera di Agostino laico, Agostino ancora non è stato neanche ordinato sacerdote, o meglio, forzato a divenire sacerdote, perché si diventava sacerdote a furor di popolo, letteralmente, allora. Si prendeva l’elemento spiritualmente e intellettualmente più in vista della comunità e con la violenza lo si ordinava sacerdote - e durante questa esperienza è la forza della Grazia che s’impone sulle resistenze della libertà.

Vi dicevo che in questo De Vera Religione, uno scritto celeberrimo, noi abbiamo una delle affermazioni più famose di Agostino: Noli foras ire”, non voler andare fuori di te; “Rede in te ipsum”, torna in te stesso; “In interiore homine habitat veritas”, la Verità abita nell’uomo interiore. Prosegue Agostino: “Ma, quando hai trovato te stesso, trascendi anche te stesso verso la Verità e Dio”.

Vedete è questo movimento di interiorizzazione e di trascendimento, di concentrazione in sé ma di scoperta che il mistero più profondo di sé è un mistero eccedente, trascendente, che mai l’interiorità riesce ad acchiappare - scusate la volgarità di questo termine. Perché Dio, come è per “il sogno del bambino”, sempre sfugge. E qual è, allora, la modalità della trascendenza di Dio? Non è soltanto una modalità metafisica - Dio trascende l’uomo perché è Assoluto, Eterno, Unità, Amore assoluto – ma è anche una trascendenza di dono, cioè l’uomo è quello che è soltanto perché Dio gli dona



ESSERE

VERITA’

AMORE

(e quindi gli dona)

l’Esistenza

la Conoscenza

la Redenzione
nella Grazia



Mi fermo qui; magari quando parleremo delle Confessioni approfondiremo un po’ queste prospettive.


[Approfondimenti]