Mettiamo a disposizione on-line la trascrizione della meditazione e
dell’omelia tenute da p.Pietro Messa per il ritiro di Quaresima della parrocchia di
S.Melania della domenica 5 marzo 2006. La meditazione era rivolta agli adulti, mentre i bambini
avevano una attività specifica per loro; l’omelia, invece, era rivolta a bambini
ed adulti riuniti per la messa parrocchiale delle ore 12.00, al termine del ritiro.
I due testi non sono stati rivisti dall’autore.
L’Areopago
E’ stato un po’ difficile arrivare qui, all’AXA,
perché per far svolgere la maratonina hanno chiuso la via Cristoforo Colombo e nessuno
di noi conosceva bene questa zona. Abbiamo fatto più di una volta le stesse strade ed
ogni tanto ci ritrovavamo al bivio di partenza. Riflettevo che così è la vita,
nel senso che uno nasce, poi arriva il tempo dell’adolescenza, parte pieno di entusiasmo,
cerca di raggiungere la pienezza della vita, poi pian piano si accorge che forse la strada che
aveva preso era sbagliata, si ritrova di nuovo allo stesso incrocio, dopo dieci, venti,
trenta, cinquanta anni. Uno si ritrova a settant’anni allo stesso incrocio che aveva
lasciato a vent’anni! E a quell’incrocio ti dici, forse a settant’anni:
“Avevi girato a destra, devi girare a sinistra!”.
Di solito la strada che uno evita è la strada della croce, della sofferenza, del dolore,
la strada stretta. E ti ritrovi di nuovo a quell’incrocio. E dici di nuovo: “Sono
libero di imboccare un’altra strada”. Uno magari a vent’anni si è
trovato a quell’incrocio e ha preso la strada larga, quella che fanno tutti, e si
è perso, si è smarrito, a trent’anni si ritrova allo stesso incrocio e
riprende la strada larga e di nuovo si smarrisce. Dopo dieci anni si ritrova ancora lì
e, forse a ottant’anni si sceglie la via stretta. Certo, se uno avesse
l’umiltà di intraprenderla a venti o trent’anni, non sprecherebbe tante
energie. Ma ci vuole umiltà e l’umiltà è un dono.
Noi siamo in questo cammino quaresimale e, per questo ritiro, vi sono stati distribuiti dei
brani tratti dal Vangelo e dalla lettera di S.Paolo ai Corinzi. Ci serviranno per questo
itinerario, questa riflessione per la quale ho pensato ad uno slogan: “Dalle Ceneri al
fuoco”. Di solito noi vediamo un fuoco, che può essere un fuoco di paglia,
che dura pochi minuti, o che può essere più sostanzioso, ma comunque
l’itinerario è dal fuoco alle ceneri. Il momento bello, luminoso, fonte di
energia, pian piano va scemando e lascia solo la cenere. La cenere è fredda, di colore
grigio. Noi, nel tempo quaresimale, facciamo il cammino inverso, dalla cenere, con il
mercoledì delle Ceneri, fino al fuoco della veglia pasquale. Un cammino da morte a vita,
un cammino dall’aridità a giardino fiorito, dal deserto ad una sorgente. Allora
facciamo questo itinerario insieme.
Questa cenere siamo noi. L’umiltà viene da humus, terra: “Ricordati che sei
polvere e polvere ritornerai”. Questa è la realtà dell’uomo,
questo uomo che è un mare di contraddizioni. Ognuno di noi sperimenta che dentro di
sé c’è il Male.
All’inizio, nella vita, ci accorgiamo che nel mondo esiste il male. Poi vediamo la
sofferenza nei bambini, il dolore innocente, e scopriamo che il male non è solo nel
mondo, ma attorno a noi. E poi scopriamo che il male è tra di noi, nella nostra
famiglia, nel nostro quartiere, nel nostro ambiente di lavoro, il male nel senso di
malvagità. Andando avanti scopriamo che il male sta dentro di noi. Questa realtà
umana che è la cenere, questa umanità ferita dal peccato.
Come ci narra il primo brano che vi propongo - Lc 10, il buon Samaritano - noi siamo questo
uomo che è incappato nei ladroni. Ad un certo punto noi siamo incappati nel peccato. Ci
portiamo dentro questo cuore che è un cuore complesso, contraddittorio, persino assurdo,
questo cuore che porta in sé le ferite delle passioni malvagie, che ci distolgono dalla
pace: la superbia, l’invidia, l’ira, l’accidia, cioè quella morte
interiore, la gola, cioè quella voracità che ci portiamo dentro. Le altre
passioni cattive sono ancora l’avarizia, possiamo dire anche quella bramosia del
possedere, la lussuria, che è anche il voler possedere le persone. Noi ci ritroviamo
così, persone ferite a causa di questi ladroni, delle passioni malvagie.
Quello che siamo chiamati a compiere è consegnare questo cuore, questa cenere,
questo nostro mondo così contraddittorio, così ferito, al Signore, consegnarlo a
Lui, come è scritto in Ez 37: “Presentate a Dio le vostre ossa aride”.
Vorrei scrivere un libro di teologia partendo dai detti popolari. Voi a Roma ne avete diversi:
“Chi sta meglio ha la rogna”. E’ un detto bellissimo! Vale per tutti,
per chi è sacerdote, per chi è sposato, per chi è frate come me. Nessuno
escluso. A volte ci si illude: “Ma no, padre. Mio nipote quanto è buono, quanto
è bravo, studia tanto!” “Pure lui c’ha la rogna!” “Ma il
mio nipotino...” “Pure lui c’ha la rogna!”. Questa è una cosa
che noi proprio abbiamo smarrito, a volte siamo ingenui. L’uomo certamente è
creato da Dio. Certamente quando Dio creò l’uomo vide che era cosa molto bella e
buona. Ma quell’uomo lì ora è ferito dal peccato. E questo riguarda tutti,
anche quel bambino tanto buono... anche lui ha i suoi capricci, il suo egocentrismo.
Conosco il caso di un bambino che, quando gli hanno portato a casa il fratellino appena nato,
ha detto alla madre, dopo un po’: “Ora, mamma, caccialo via!”. Cosa possiamo
fare allora? Rimboccarci le maniche? Cercare di eliminare il male da noi stessi? Ci sono state
delle ideologie che hanno tentato di fare questo, di costruire un paradiso in terra con gli
sforzi dell’uomo. Hanno causato milioni di morti. Coloro che vogliono costruire il
paradiso in terra sono quelli che causano più morti, perché cominciano a
tagliare la testa o a mandare nei campi di concentramento o nei gulag, tutti quelli che non
rientrano nel modo in cui hanno progettato questo paradiso in terra. Li accusano di essere
colpevoli del fatto che, qui ed ora, questo paradiso non si realizza.
Ma chi di noi è senza peccato? Allora questo prendere consapevolezza della nostra
cenere, delle nostre ossa aride, di questo essere incappati nei ladroni, di essere persone
bisognose di salvezza, e consegnare questo bisogno di salvezza a Colui che è il
Salvatore, che è Gesù. Gesù è il buon samaritano che si
avvicina a noi e cura le nostre ferite. Lasciamoci curare da Gesù, lasciamoci
guarire.
Il secondo brano che vi ho proposto per la meditazione è Gv 13 e ci racconta la lavanda
dei piedi. Quello che Gesù ci chiede è di lasciarci lavare i piedi da Lui. Questo
brano è bellissimo; ci dice che Gesù depose le vesti e cominciò a lavare i
piedi e lavò i piedi agli Apostoli e, a un certo punto, questo brano inizialmente
tranquillo, diviene agitato. Pietro dice: “No, tu non laverai mai i piedi a me!”.
C’è questa discussione tra Gesù e Pietro. Noi siamo invitati a lasciarci
lavare i piedi, lasciarci amare. Questo è molto importante, perché dobbiamo
lasciare che Gesù guarisca le nostre ferite, perché Lui ci ama così come
siamo.
Questa cenere, questa polvere, queste ossa aride, questo uomo così contraddittorio,
è amato da Dio. Lui ti ama profondamente così come sei, con le tue
assurdità. Ed è bellissimo. Io non so come voi abbiate vissuto il
mercoledì delle Ceneri, ma è uno dei giorni più belli dell’anno
perché finalmente uno può smettere di starsela a raccontare. Noi ce la stiamo
sempre a raccontare - vi ricordate quella canzone: “E ti vedi già vecchio e
cadente, raccontare a tutta la gente, del tuo falso incidente”. Siamo sempre pronti:
“Scusami, ma sono vecchia, sono troppo giovane, sono stanco, ecc.”. Nessuno di noi
dice: “Guarda, sono malvagio, sono vorace, ho bramosia di possesso, sono avaro, ho ira,
ho voglia di vendetta”. Ognuno di noi se la racconta. Bellissimo il mercoledì
delle Ceneri, un giorno dove è possibile smettere di raccontarsela, andare da
Gesù e dire: “Questa è la mia cenere, queste sono le mie ossa aride, le mie
contraddizioni, questo è il mio “retrobottega”, non la vetrina per la
mostra, ma il retrobottega per gli affarucci”.
E Lui cosa fa? Non è il demonio, l’accusatore che dice: “Hai visto che
hai fatto?”, l’accusatore, i sensi di colpa che ci attanagliano, per giorni, mesi,
anni. “Adesso vuoi fare la devota? Ma quando eri giovane... Adesso vuoi fare la brava
persona, ma ricordati...” - questo è il demonio, l’accusatore. Gesù
è il contrario, Lui ti ama, ti vuole bene con la tua cenere, si prende cura di te, si
china sulle tue ferite. Veramente è appassionato della tua povertà, della tua
miseria, ti cura con olio e vino, con il suo amore misericordioso. Ma la cosa importante
è che Lui non solo ti ama come sei, ma non ti lascia come sei perché il suo
è un amore trasformante. Tutti ne facciamo esperienza: l’amore trasforma,
trasfigura. Una giornata uggiosa, un cielo plumbeo, una giornata di mestizia, dove ad un certo
punto arriva un sorriso, una telefonata di un amico, un gesto di amore... e quella giornata
diventa straordinaria. Pensate alla vita di un ragazzo. Io conoscevo un ragazzo che vestiva
sempre di nero. Un giorno inizia a vestirsi in modo colorato, addirittura con colori
sgargianti. Cosa era successo? Aveva conosciuto una ragazza.
Tutti facciamo l’esperienza che l’amore cambia... una giornata, una festa, i
vestiti. Cambia! Pensate quanto può essere trasformante l’amore di Dio. Allora
dobbiamo consegnare queste ceneri, queste ossa aride, questa povertà, all’amore
misericordioso di Dio perché Lui lo trasforma.
E come lo trasforma? Nel primo brano che vi ho dato c’è il samaritano che si china
su un uomo ferito e gli cura le ferite e questo buon samaritano che è Gesù cura
le nostre ferite. E come fa a curarci? Prendendo su di sé il male. Lui è quello
che prende su di sé il male del mondo. Quelle ferite diventano le sue ferite.
Ecco Gesù sulla croce, quelle ferite dei chiodi, della lancia, della corona di spine:
quelle ferite sono le mie ferite, le tue ferite, che Gesù ha preso su di sé.
Gesù diventa lui peccato perché noi possiamo diventare persone che vivono nella
misericordia. Allora questa cenere presentata a Dio è trasformata dal suo amore
misericordioso. Qual è l’esito di questa trasformazione? Certamente la
conformazione a Gesù. Gesù ci ama, ci trasforma, ci conforma a sé. Ci
dà la sua forma, la sua vita. E qual è la vita di Gesù che lui vuole
comunicare a noi, perché nell’adesione a quella vita lì c’è la
pienezza della nostra vita? C’è una bellissima frase del profeta Geremia (Ger
15,16):
Quando le tue parole mi vennero incontro,
le divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore,
perché io portavo il tuo nome.
Quando Gesù, che è la parola di Dio, il logos, viene incontro a noi, ecco che il
desiderio, la domanda profonda del nostro cuore trova la risposta in Gesù. Perché
noi portiamo il suo nome. Siamo stati creati in vista di Gesù, in vista del grande
mistero, come dice S.Paolo. Allora questo amore trasformante ci conforma a
Gesù.
E qual è questa vita di Gesù che era nascosta? Fondamentalmente la vita di
Gesù è l’Eucaristia, quella che ci ha descritto S.Paolo nella 1Cor che
trovate come terzo brano che vi ho indicato. Nell’Eucaristia è sintetizzata tutta
la vita di Gesù. Infatti nell’Eucaristia Gesù “prese il pane, rese
grazie”. Questo rendere grazie, la gratitudine, la consapevolezza di essere amati,
la gratitudine per ogni dono. Ogni cosa è un dono. Il dono della salute, della famiglia,
di essere qui in questo momento. Quanti doni abbiamo continuamente. In Gesù e con
Gesù possiamo acquisire questa consapevolezza di essere amati dal Padre e quindi la
gratitudine, questo rendere grazie. E’ molto importante la gratitudine, saper dire
grazie.
Anche perché dire grazie significa fare un passaggio, vuol dire passare dal dono al
donatore. E’ fondamentale educare un bambino a dire grazie. Perché quando dici
grazie riconosci che quel dono, per esempio la scatola di cioccolatini, la dolcezza del
cioccolato, è soltanto espressione dell’amore di un donatore. E quello che sente
il cuore di un uomo non è certamente la dolcezza dei cioccolatini, ma la dolcezza
dell’amore espresso attraverso quei cioccolatini. Capite allora l’importanza del
dire grazie?
Tutti i santi dicevano: “Il più grande inganno delle persone che fanno un cammino
del Vangelo è che a un certo punto si affezionano al dono di Dio e non al Dio del
dono”. In poche parole non dicono grazie. In Gesù e con Gesù questa
gratitudine diventa gratuità, capacità di donare, di dare la vita. Questo
passaggio dalla gratitudine alla gratuità è un amore ordinato - l’amore
eucaristico - è un amore bello e rende le cose belle.
Perché dico è un amore ordinato? Spesso succede, e soprattutto in gente
che fa un cammino di fede, che si veda un amore disordinato, che non è un amore
eucaristico e che quindi non trasmette fascino, bellezza. Non è un amore trasfigurante e
trasfigurato. Questo amore disordinato si verifica quando c’è la gratuità
non preceduta dalla gratitudine. Quando uno spezza il pane senza prima aver reso grazie. Quando
uno si dona senza aver avuto prima la gioia di qualcuno che si sia donato a lui.
Succede spesso. Per esempio in famiglia o in parrocchia o nel quartiere, quando uno si
dà da fare, si sacrifica. E allora sentiamo frasi del tipo “Possibile che nessuno
in questo quartiere si preoccupi degli altri, che in questa parrocchia non si trovi uno
disponibile?” Quando uno dice queste frasi sta vivendo un amore disordinato. E’
fuori strada, parla con rabbia, c’è dentro qualcosa che non funziona.
L’amore eucaristico coniuga due parole che noi nella nostra mentalità abbiamo
dissociato: amore e sacrificio. Ma se noi operiamo una disgiunzione tra queste due parole
cosa succede? L’amore senza sacrificio è romanticismo. Un esempio è il
ragazzo che al telefono con la sua ragazza le dice: “Ti amo tantissimo, sei tutto per me,
darei la mia vita! Ci vediamo domani... se non piove”. Se quella ragazza è
intelligente risponderà: “Stai a casa tua... pure se non piove!”. Un amore
che non si sacrifica sono chiacchiere, è romanticismo.
D’altra parte un sacrificio senza amore porta a frasi del tipo: “Io qui per
te faccio tanto!”. Il sacrificio senza amore fa essere frustrati, arrabbiati, grigi,
pieni di voglia di fartela pesare. L’amore eucaristico è un amore che si esprime
con il sacrificio, un sacrificio motivato dall’amore. In fondo chi fa morire Gesù
sulla croce non sono i romani, non è chi lo tradisce, ecc. ecc., ma l’amore! Un
sacrificio motivato dall’amore, un amore che si sacrifica. Una persona che ama
così diventa veramente un altro Gesù. Un esempio è S.Francesco. Le fonti
antiche dicono che la gente che vedeva passare Francesco vedeva Gesù. Giovanni Paolo II
diceva che Francesco ha rappresentato Gesù alla società del XIII secolo. Anche
noi se ci lasciamo trasformare dall’amore trasformante di Gesù diventiamo memoria
vivente di Gesù, testimoni (in greco martiri). Oggi leggevo su Avvenire l’ultima
lettera che don Andrea Santoro ha scritto e pensavo che quest’uomo è stato memoria
vivente di Gesù. Un uomo che aveva grande gratitudine per la vita che aveva ricevuto,
diventata gratuità, donarsi. Il donarsi si è poi concretizzato completamente nel
dare la vita. Ma ognuno di noi se presenta la sua cenere, la sua polvere, il suo cuore
contraddittorio a Gesù, ecco che Gesù lo ama, lo trasfigura, lo trasforma, lo
introduce in un amore ordinato, eucaristico, un amore bello. Questo amore è il fuoco che
non si consuma. C’è un salmo (84,8) che dice:
Cresce lungo il cammino il suo vigore.
Di solito è il contrario. Due si sposano pieni di un entusiasmo che poi va scemando.
Tempo fa sono stato ad un matrimonio e al momento del lancio del bouquet una donna si è
allontanata dicendo: “Potete tenervelo! Se volete vi regalo il mio!”. Questa
disillusione che subentra all’iniziale entusiasmo! Chi si lascia trasfigurare da
questa vita di Gesù vedrà invece crescere il suo vigore. Più va avanti
più cresce l’entusiasmo. E’ un fuoco che non si consuma perché
è la vita stessa di Dio.
Come concretamente vivere questo? Prima di tutto consegnare la nostra cenere a Gesù.
Come si fa concretamente? Confessandosi. Mettetelo nei vostri programmi: prima di Pasqua una
bella confessione dove tu vai da un prete e presenti tutta la tua cenere. La confessione
è il luogo della misericordia. Anzi datevi come regola quella di confessarvi una
volta al mese. A volte sento dire: “Io cerco un prete che mi dica una parola
buona”. Ogni prete ti dice due paroline buone: “Io ti assolvo dai tuoi
peccati”, parole più belle di queste non le puoi trovare.
Il secondo punto è lasciarci trasformare dalla parola e dall’Eucaristia. Questa
familiarità con la Parola di Dio. Ogni giorno leggere un brano del vangelo.
Possibilmente quello che viene donato dalla Chiesa nella liturgia. Io ho degli amici che la
mattina quando arrivano in ufficio per prima cosa dopo aver acceso il computer vanno su un sito
internet dove possono leggere il vangelo. Poi non sempre se lo ricordano, ma magari ricordano
una parola che li accompagna tutto il giorno. Familiarità dunque con la Parola di Dio e
con l’Eucaristia, andare a messa la domenica o anche a volte durante la settimana.
Terzo aspetto è chiedersi dove il Signore ci chiama a vivere questo amore
eucaristico. Forse studiando all’università, coinvolgendomi in un fidanzamento,
fissando la data per il matrimonio, o prendendomi cura dei miei nipoti. Chiedermi qual è
la mia vocazione, dove Gesù mi chiama a vivere questo amore eucaristico.
Chiediamo allo Spirito Santo di guidarci, di aiutarci a comprendere ossia a
prendere con noi questa Parola che è una parola di vita. Lo stesso Spirito Santo che ha
guidato gli autori sacri quando hanno composto questa parola, sia lui stesso a guidarci alla
comprensione. Parlerò soprattutto a voi, più piccoli, sperando che capiscano
anche i genitori, i grandi, perché – sapete - voi andate a scuola, mentre i nonni
non ci vanno più! Sapete perché non ci vanno più? Non perché ormai
hanno imparato tante cose - perché ci sono tante cose che i nonni non sanno e sarebbe
bene che sapessero. Per esempio immagino che non sappiano il cinese, o l’arabo.
Probabilmente non sanno usare il computer. E non soltanto i nonni, ma anche i genitori. E
sapete perché non vanno più a scuola? Perché non sono più capaci
di imparare. Quindi la cosa più difficile è far imparare le cose agli
adulti.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato di Noè. Noè era uno che viveva tranquillo
con la sua famiglia. Ad un certo punto è arrivato il diluvio e il Signore ha detto a
Noè di costruirsi un’arca. Provate ad immaginare: quando Noè ha iniziato a
costruire questa grande barca per farci salire tutti gli animali, probabilmente era una bella
giornata, con il sole, tutti andavano in giro, in campagna, a delle feste. Lui stava a
costruire l’arca. Tutti lo deridevano, dicevano: “Ma questo è matto!
Stare a costruire un’arca - e così grande! - con un sole così bello, con
delle belle giornate di primavera!”. E tutti dicevano che era matto. Come spesso
capita anche a noi di vedere una persona un po’ strana, che fa il contrario di quello che
fanno tutti e di dire: “Ma quello è matto, è stupido!”. Così
succedeva con Noè, poi è cominciato a piovere. All’inizio qualcuno prende
l’ombrello, poi piove di più e qualcuno chiude il garage per evitare che si
inondi. Poi è piovuto ancora di più e si è allagato tutto. Quelli che
deridevano Noè sono annegati tutti, mentre Noè che sembrava pazzo è
l’unico ad essersi salvato.
Questo racconto ci vuole dire una verità profonda: ad ascoltare la parola di
Gesù, di Dio, si è considerati pazzi, matti, da questo mondo. “Ma tu vai
ancora a messa? Vai ancora a catechismo? Ma tu a Natale fai il presepe?” Sei considerato
una persona pazza, antiquata. Invece nel momento della prova - che nella vita c’è
sempre - si vede che Noè, che ascolta il Signore, non è un pazzo, ma è
saggio, anzi è l’unica persona veramente saggia.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato che Dio fa un’alleanza con Noè. Poi, nel
brano del vangelo, abbiamo ascoltato di Gesù che va nel deserto. Il deserto è
una zona senza acqua, quindi non ci sono fontane, i giardini, un luogo dove far festa.
E’ un luogo inospitale, dove c’è aridità, non ci sono animali tranne
i serpenti. Cosa significa che Gesù va nel deserto? Che Gesù va in un luogo dove
c’è la sofferenza, dove c’è la prova, dove le persone soffrono, dove
le persone piangono. E questo è il luogo dove spesso siamo noi.
Quindi questo brano vuol dire che Gesù viene a trovarci, viene in mezzo a noi. Ma non
quando c’è una festa. Voi bambini lo vedete, quando è il vostro compleanno
e voi fate una festa vengono tutti. Quando siete contenti e tutto va bene tutti
arrivano. Quando invece soffrite, state male, allora le persone si allontanano. Quando
c’è un bel quartiere con belle case, con i bei giardini, tutti cercano di andare
ad abitarci. In un quartiere dove ci sono tanti ladri, con le strade piene di buche, con case
fatiscenti nessuno vuole andare, tutti cercano di allontanarsi. Gesù fa l’opposto,
va nel deserto, va a trovare quelli che piangono, che sono nella sofferenza, nella
povertà, condivide la loro vita.
Nel deserto Gesù combatte colui che è l’origine del male, che ispira
il male, che è il diavolo, è Satana. C’è qualcuno nella storia che
continua ad incentivare il male, l’odio, le guerre, i rancori, ad incentivare la rabbia.
Quante volte sentite anche in famiglia qualcuno che parla male di un altro per i soldi, per
l’eredità. Dietro questo modo di fare c’è qualcuno che istiga al
male, che incentiva al male, a diventare cattivi. Questo qualcuno è il diavolo.
Gesù nel deserto va a combattere contro il diavolo. Noi sappiamo che lui vince e se lui
ha vinto il diavolo, quando siamo vicini a Gesù non dobbiamo aver paura di niente
perché Gesù è vittorioso.
Gesù dice ad ognuno di noi: “Il tempo è compiuto”. Siamo arrivati
ad un momento favorevole, un tempo particolare. Per esempio noi oggi siamo alla prima
domenica di Quaresima, un tempo particolare. “Il regno di Dio è vicino”. Il
regno di Dio è Dio stesso, è Gesù che è in mezzo a noi.
“Convertitevi e credete al vangelo”. Cosa significa convertirsi? Dietro
c’è una parola ebraica che vuol dire “cambiare strada”. In fondo ad
una strada che sembrava bellissima c’è il precipizio. Gesù ci dice di
cambiare direzione, di tornare indietro. Sapete che questa mattina – lo dicevo ai grandi
all’inizio del ritiro - io ed alcuni seminaristi siamo venuti qui all’AXA. Per la
maratonina avevano chiuso la Cristoforo Colombo, questa grande strada che congiunge il vostro
quartiere al centro di Roma. Abbiamo girato più di un’ora per trovare l’AXA.
Ogni tanto incontravamo un vigile e chiedevamo: “Dove sta l’AXA?” E ognuno ci
indicava una direzione diversa. Abbiamo fatto le stesse strade tre o quattro volte. Ognuno ci
diceva dove sta la strada. Anche noi siamo un po’ così, ognuno ci dice dove sta la
strada per la felicità. Qualcuno dice: “La strada per la felicità sta
nell’avere tanti soldi”. Un altro dice: “Avere successo, vincere
Sanremo”. Un altro dice: “La strada per la felicità è avere una bella
macchina”. Gesù ci dice che la strada per la felicità è credere
al vangelo, aderire al vangelo, seguirlo. E qual è la strada che ci indica
Gesù? Consiste in due punti.
Con Gesù scoprire che noi siamo amati, Dio ci ama sempre. Anche quando siamo deboli e
fragili, è un grande amico. L’altro punto è non solo la gioia di essere
amati, ma amare. Allora Dio ci dice che se ascoltiamo questa parola saremo uomini felici,
contenti. Ci sono tanti esempi che potrei portarvi, tutte le persone che hanno aderito alla
parola del vangelo sono sempre state persone gioiose. Seguiamo Gesù, Lui è una
via sicura. Se lo seguiamo arriveremo alla felicità e saremo segni di gioia e
felicità per tanti altri. Sapete una cosa bambini? Chi segue Gesù diventa una
persona simpatica! E’ vero! Ogni tanto ci sono persone un po’ antipatiche,
arrabbiate, con le quali non è bello stare. Chi segue Gesù invece è sempre
una persona simpatica, bella, gioiosa, luminosa, affascinante. Noi dobbiamo diventare
così e per questo dobbiamo seguire Gesù che ha vinto il male, ha vinto
Satana.
Lc 10 29Un dottore della legge, volendo giustificarsi, disse a
Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 30Gesù
riprese:
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo
spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per
caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre
dall'altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò
oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e
n'ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi
olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese
cura di lui. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore,
dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al
mio ritorno. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che
è incappato nei briganti?». 37Quegli rispose: «Chi ha avuto
compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo
stesso».
Gv 13 1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di
passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò
sino alla fine. 2Mentre cenavano, quando gia il diavolo aveva messo in cuore a Giuda
Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3Gesù sapendo che il Padre gli
aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si
alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.
5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei
discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. 6Venne dunque da
Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?».
7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo
capirai dopo». 8Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i
piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con
me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le
mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non
ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non
tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti
siete mondi».
12Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e
disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? 13Voi mi chiamate Maestro e
Signore e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro,
ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. 15Vi
ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 16In
verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo
padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.
17Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. 18Non
parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura:
Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. 19Ve
lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che
Io Sono. 20In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io
manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
1Cor 11 17Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le
vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto
sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo
credo. 19E' necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si
manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. 20Quando dunque vi
radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore.
21Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e
così uno ha fame, l'altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case
per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi
non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il
Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo
aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è
per voi; fate questo in memoria di me». 25Allo stesso modo, dopo aver cenato,
prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue;
fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti
che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore
finché egli venga. 27Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o
beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.
28Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo
calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore,
mangia e beve la propria condanna. 30E' per questo che tra voi ci sono molti
ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se però ci esaminassimo
attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal
Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo.
33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni
gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a
vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.
Francesco d'Assisi: il bello è lo splendore del
vero
La centralità di Cristo e
della Chiesa nella spiritualità francescana
Dalla storia del movimento francescano lo stimolo
a vivere l´economia nella logica del bene comune