In preparazione all’incontro Francesco d’Assisi: il bello
è lo splendore del vero che p.Pietro Messa, Preside della Scuola Superiore di Studi
Medievali e Francescani del Pontifico Ateneo Antonianum di Roma, terrà nella parrocchia
di S.Melania il martedì 13 dicembre 2005, ripresentiamo on-line due suoi articoli, per
permettere a tutti una preparazione in vista di quel giorno. Il primo, Natale con San
Francesco: Gesù ci mostra il Padre, è stato scritto in occasione del Natale
2005, per mostrare l’identità cristologica della testimonianza
francescana.
Ad esso abbiamo posto in appendice il testo integrale della Prima Ammonizione, uno
degli scritti sicuramente autentici di Francesco d’Assisi, che, nell’articolo
stesso, viene commentata.
Il secondo articolo, Francesco d'Assisi: un uomo di pace formato dalla liturgia,
è apparso su 30giorni, anno XXIII, numero 9, settembre 2005, alle pagg.66-71.
La stessa rivista accompagna questo secondo studio di Pietro Messa con una sua
citazione:
“Spesso persino la Bibbia, e quindi il Vangelo, è presente negli scritti di
Francesco mediata dalla liturgia [...]. Ciò che appare a uno studio più
approfondito è che conobbe la Scrittura mediante la liturgia, ossia grazie alla
mediazione della Chiesa”. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la
sua messa a disposizione on-line sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi
diritto.
L’Areopago
Francesco d'Assisi attinge moltissimo dalla Bibbia – soprattutto
mediante la liturgia – tanto che a volte i suoi scritti sono delle vere e proprie
concatenazioni di citazioni bibliche o commenti di versetti della stessa. Un esempio eclatante
di ciò è l'Ammonizione prima in cui parla del "corpo del Signore" e quindi
dell'Incarnazione.
Riprendendo la richiesta di Filippo a Gesù riportata nel Vangelo secondo Giovanni,
Francesco afferma: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Quindi vedere il Padre è la
risposta adeguata alla domanda dell'uomo, proprio come diceva sant'Agostino: "Il mio cuore
è inquieto finché non riposa in te". Se vedere il Padre è il compimento
dei desideri umani, tuttavia con grande realismo Francesco riconosce che "il Padre abita una
luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio". Questa affermazione
è di un'importanza fondamentale perché fa un vero ripulisti di ogni proiezione
umana, idolatria religiosa e strumentalizzazione di Dio come purtroppo avviene spesso nel
fondamentalismo, integralismo e fanatismo religioso.
Ciò però non conduce Francesco ad una sorta di agnosticismo, ma anzi gli fa
riconoscere che Gesù è la via al Padre dal momento che egli ha detto: "Io sono la
via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". Quindi
Gesù è colui che evangelizza Dio, ossia dice la bella notizia che Dio è
Padre; in questo modo rivelando chi è Dio, rivela l'uomo all'uomo cioè la
dignità di figli. Ma anche in questo caso Francesco non prende scorciatoie
semplicistiche ed è costretto a riconoscere che "anche il Figlio, in ciò che
è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il
Padre né da come si vede lo Spirito Santo". Infatti molti riconoscono la grandezza di
Gesù, considerandolo un profeta, o un filantropo, o un rivoluzionario; definizioni tutte
che in sé non sono totalmente erronee, ma sicuramente riduttive. Per questo motivo
Francesco prende atto che certamente è essenziale vedere Gesù "secondo
l'umanità" – anche perché è il modo con cui è dato a noi
uomini di conoscere – ma per giungere a vedere e credere "secondo lo Spirito e la
divinità". Questo tipo di conoscenza, che non elimina il vedere, ma lo approfondisce,
richiede quindi la presenza dello Spirito perché, dice Francesco, "lo Spirito del
Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del
Signore". Di conseguenza, guidati dallo Spirito Santo, anche noi possiamo essere come gli
apostoli che vedendo Gesù "con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di
lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio". In questo
modo gli apostoli, animati dallo Spirito Santo, vedendo l'umanità di Gesù,
vedevano e credevano alla sua divinità; ciò permise a loro di seguire Gesù
via che rende accessibile la luce di Dio, ossia di vederlo nel suo essere Padre. E la vista di
questa paternità di Dio basta, ossia è l'unica risposta adeguata alle domande
dell'uomo: infatti, riconosce Francesco, "in tal modo il Signore è sempre con i suoi
fedeli", cioè è l'Emmanuele, il "Dio con noi".
Se con un realismo direi estremo Francesco deve prendere atto che comunque a noi non è
dato di vedere l'umanità di Gesù come avvenne per gli apostoli, tuttavia egli
afferma che possiamo vedere il pane consacrato posto sull'altare nelle mani del sacerdote.
Vedendo quel pane con occhi spirituali possiamo riconoscervi la presenza del corpo di
Gesù che, come avvenne per gli apostoli, ci mostra il Padre. L'Eucarestia quindi
è il luogo storico dove è possibile all'uomo di incontrare il volto di Dio,
proprio come avvenne al momento dell'Incarnazione; per questo motivo Francesco volle a Greccio,
nella notte di Natale, celebrare l'Eucarestia sulla greppia e ciò non tanto per
ricordare una cosa del passato, ma contemplare, ossia fermarsi a guardare e credere con stupore
che nell'umiltà del pane consacrato ogni giorno Dio diventa l'Emmanuele, cioè
"Dio con noi". Questa Presenza che fa nuove tutte le cose, è ciò che stupì
anche coloro che vollero vivere il Vangelo sulle orme di san Francesco, come mostra l'esempio
di sant'Antonio da Padova raffigurato con Gesù bambino in braccio.
Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: “Io sono la via, la
verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per me. Se aveste conosciuto me,
conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto”.
Gli dice Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gesù gli dice:
“Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche
il Padre mio” (Gv. 14,6-9).
Il Padre abita una luce inaccessibile (cf. 1Tm. 6,16), e Dio è spirito, e nessuno ha
mai visto Dio (Gv. 4,24 e Gv. 1,18). Perciò non può essere visto che nello
spirito, poiché è lo spirito che da la vita; la carne non giova a nulla (Gv.
6,64). Ma anche il Figlio, in ciò per cui è uguale al Padre, non può
essere visto da alcuno in maniera diversa dal Padre e in maniera diversa dallo Spirito
Santo.
Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l’umanità,
ma non videro né credettero, secondo lo spirito e la divinità, che egli è
il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tutti quelli che vedono il
sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l’altare nelle
mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo
spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del
Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché è l’Altissimo
stesso che ne dà testimonianza, quando dice: “Questo è il mio corpo e il
mio sangue della nuova alleanza [che sarà sparso per molti] (Mc. 14,22.24), e ancora:
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna” (cf. Gv.
6,55).
Per cui lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il
santissimo corpo e il sangue del Signore. Tutti gli altri, che non partecipano dello stesso
Spirito e presumono ricevere il santissimo corpo e il sangue del Signore, mangiano e bevono la
loro condanna (cf. 1Cor. 11,29). Perciò: Figli degli uomini, fino a quando sarete duri
di cuore? (Sal. 4,3). Perché non conoscete la verità e non credete nel Figlio di
Dio? (cf Gv. 9,35).
Ecco, ogni giorno egli si umilia (cf. Fil. 2,8), come quando dalla sede regale (cf. Sap.
18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza
umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. E
come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi
nel pane consacrato. E come essi con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di
lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello spirito, credevano che egli era lo stesso Dio,
così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere
fermamente che questo è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero.
E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come egli stesso dice:
“Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo” (Mt. 28,20).
Non si può non riconoscere che in un certo qual senso Francesco
d’Assisi ha avuto una fortuna invidiabile rispetto ad altri santi: dichiarato nel 1992
dal Time Magazine uno degli uomini più rappresentativi del secondo millennio,
studiato da centri di ricerca universitari laici e non, innumerevoli pubblicazioni scientifiche
e divulgative inerenti alla sua storia, diversi film a lui dedicati, riconosciuto come
riferimento ideale da persone di diverse culture e religioni. A tutto ciò si aggiunga la
scelta di Assisi, la città di san Francesco, da parte di Giovanni Paolo II per la
storica giornata del 27 ottobre 1986 che diede inizio al cosiddetto “spirito di
Assisi”, ossia quel movimento interreligioso in favore della pace; il Pontefice vi fece
ritorno ancora il 9 e il 10 gennaio 1993 e, nonostante le numerose riserve e perplessità
su tale opportunità, il 24 gennaio 2002, cioè dopo gli atti terroristici
dell’11 settembre 2001.
Quindi un san Francesco molto valorizzato e anche se il giorno della sua festa, il 4 ottobre,
in Italia non è diventato festa nazionale, il suo nome è comunque sinonimo di
dialogo interculturale e interreligioso. Tuttavia sappiamo tutti che il confine tra aver
successo ed essere inflazionati è molto sottile, e questo vale anche per il santo di
Assisi.
Gli studi francescani hanno vagliato le fonti inerenti alla sua esperienza cristiana, mentre
innumerevoli studiosi continuano a cercare di perfezionare la conoscenza di tali fonti onde
scoprire il volto di questo santo, al di là di ogni immagine agiografica o manipolazione
ideologica. Si è approfondita la sua formazione culturale e spirituale, riconoscendovi
diverse stratificazioni, ossia: la cultura del figlio del mercante, una ideologia cavalleresca
che lo conduceva a indossare ideologicamente i panni dei cavalieri, la cultura cortese che
rimase anche dopo la conversione, l’elemento evangelico e perfino le reminiscenze delle
antiche vite dei Padri del deserto[1]. Davanti a questi innumerevoli studi, i cui inizi si
riconoscono in Paul Sabatier, sembra che ormai su frate Francesco d’Assisi, il figlio del
mercante Pietro di Bernardone, non ci sia altro da approfondire. L’immagine maggiormente
divulgata però appare non solo inflazionata, a volte si ha la sensazione che sia monca
di qualche aspetto importante, quando non è vittima di qualche operazione ideologica
strumentalizzante. Certamente, come avviene per ogni uomo, anche la vicenda di Francesco
d’Assisi rimarrà sempre in un certo qual senso un mistero. Riconoscere questo non
impedisce però di continuare ad approfondirla, grazie anche ai risultati già
raggiunti fin qui. Proprio in questa prospettiva si sta riconoscendo il ruolo importante, per
non dire fondamentale, della liturgia nella vicenda di Francesco.
Il tempo in cui visse Francesco furono anni di grandi cambiamenti e
trasformazioni culturali: lo sviluppo dei comuni, la nascita delle università,
l’incentivo agli scambi commerciali, il sorgere di nuove esigenze religiose spesso
sfociate nell’eresia ma anche in movimenti pauperistici. Tutti questi aspetti normalmente
vengono presi in considerazione dagli studiosi più avveduti, quando inquadrano
storicamente la vicenda di Francesco d’Assisi. Tuttavia quasi totalmente trascurata
è la considerazione che quegli anni furono uno dei momenti nevralgici della storia della
liturgia. Infatti se si prende un qualsiasi manuale di storia della liturgia, si può
constatare che Innocenzo III diede inizio a una riforma della liturgia della Curia romana i cui
esiti proprio tramite i Frati minori si diffusero ovunque, tanto da essere ancora oggi
l’elemento caratterizzante la liturgia latina di rito romano.
Agli inizi del Duecento a Roma esistevano fondamentalmente quattro tipi di liturgia:
quella della Curia romana, che risiedeva nel Palazzo del Laterano, quella della
vicina Basilica di San Giovanni, quella della Basilica di San Pietro e quella
cosiddetta dell’Urbe, ossia della città di Roma. Innocenzo III
nel suo programma di riforma, che vide uno dei suoi momenti di massima espressività
nel Concilio Lateranense IV del 1215, non escluse la liturgia. Della riforma
della liturgia uno dei frutti più prestigiosi fu il breviario. Accostando,
integrando e adeguando alla vita della Curia romana, spesso soggetta a trasferimenti,
testi che precedentemente erano distribuiti in libri diversi, Innocenzo III
fornì uno strumento maneggevole soprattutto a coloro che erano spesso
in viaggio. Tale breviario, proprio per la sua fruibilità, venne presto
adottato anche da alcune diocesi, tra cui quella di Assisi. In questo modo Francesco
e la fraternitas minoritica ebbero accesso a un libro liturgico che presto
si rivelò conforme alle loro esigenze di persone itineranti che vivevano
da “stranieri e pellegrini”[2].
Così i Frati minori fecero propria la preghiera liturgica e specificatamente
quella della Curia romana, ossia del pontefice.
Adottare un libro liturgico o l’altro non era indifferente. Lo aveva
già compreso precedentemente papa Gregorio VII che vedeva con timore una
disparità liturgica perché in alcuni casi conduceva non solo a una
disparità giurisdizionale, ma anche dottrinale, vale a dire all’eresia. Ad
esempio, adottare il breviario della Curia romana riformato da Innocenzo III significava
accogliere tutta una tradizione precedente. La disposizione in esso delle diverse feste, la
scelta di determinate letture, l’assemblaggio di passi biblici per formare antifone,
versetti e responsorii, la presenza di innumerevoli letture sia patristiche che degli antichi
martirologi, erano fondamentalmente il risultato della riflessione ecclesiale e del vissuto
soprattutto monastico di tutto il millennio precedente. Quindi, nel far proprio il breviario,
Francesco e la fraternitas minoritica si inserirono in una storia che li aveva preceduti
e che era stata trasmessa lungo i secoli. Ciò non significa che essi si sentirono oppure
agirono come fossero prigionieri di quella tradizione: infatti, come annota una fonte,
Francesco non mancò di affermare la propria peculiarità respingendo alcuni
modelli a lui precedenti.
Comunque, accogliendo la preghiera del breviario, essi si inserirono dentro
quella tradizione spirituale e teologica maturata lungo i secoli nella Chiesa,
come si può constatare nella lettura degli scritti di Francesco, in cui
le reminiscenze liturgiche sono innumerevoli. Tali reminiscenze, che tecnicamente
sono definite casi di “intertestualità e interdiscorsività”
– cioè citazioni vere e proprie o semplici rimandi concettuali
–, spesso sono una trasmissione di testi patristici interiorizzati dal
santo. Se ciò appare sorprendente, soprattutto rispetto a una certa storiografia
che ha presentato Francesco di Assisi come il Santo del solo Vangelo –
quasi una sorta di precursore della riforma protestante –, ancora più
ricco di conseguenze è il fatto che spesso persino la Bibbia, e quindi
il Vangelo, è presente nei suoi scritti mediata dalla liturgia. Ciò,
naturalmente, conduce a rivedere certe descrizioni dell’esperienza spirituale
di Francesco che lo presentano come uno che ha avuto un rapporto immediato,
senza mediazioni, con la Scrittura. Invece ciò che appare a uno studio
più approfondito è che egli conobbe la Scrittura mediante la liturgia,
ossia grazie alla mediazione della Chiesa. E la liturgia è essa stessa
una spiegazione della Scrittura, cioè un’esegesi: infatti anche
semplicemente la collocazione di una determinata lettura in una festa piuttosto
che in un’altra dice già della chiave di lettura e quindi della
comprensione di quel determinato brano. Così la lettura del capitolo
11 di Isaia in cui si parla del germoglio che spunta dal tronco di Iesse nel
Comune della Vergine Maria è già in sé stessa una prospettiva
mariana data a quel determinato brano, accresciuta notevolmente se poi al posto
di virga, cioè germoglio – come dovrebbe essere –
vi è virgo, cioè Vergine, come risulta esserci nel breviario
appartenuto a san Francesco d’Assisi: «Spunterà la Vergine
dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici, su di
lui si poserà lo spirito del Signore»[3].
L’importanza della liturgia nella fraternitas minoritica e
nella vicenda di Francesco d’Assisi è testimoniata non solo dalla Regola dei Frati
minori confermata da papa Onorio III nel 1223, ma soprattutto da un codice conservato tra le
reliquie del protomonastero Santa Chiara presso l’omonima Basilica in Assisi. Come
testimonia una scritta autografa di frate Leone, cioè di uno dei compagni nonché
testimoni del Santo, questo codice fu usato dallo stesso Francesco: «Il beato Francesco
procurò questo breviario per i suoi compagni frate Angelo e frate Leone, poiché,
mentre era in salute, volle sempre dire l’ufficio, come è contenuto nella Regola;
e nel tempo della sua malattia invece, non potendo recitarlo, voleva ascoltarlo; e questo
continuò a fare finché visse»[4].
Il codice, denominato Breviarium sancti Francisci, consiste fondamentalmente in un
breviario, il salterio e l’evangeliario; la prima parte è la più
consistente ed è costituita dal breviario della Curia romana riformato da Innocenzo III.
L’antichità del testo, che lo rende un testimone privilegiato di tale riforma e
quindi della storia dei libri liturgici in generale, è confermata dalla presenza,
soprattutto nelle solennità mariane o di santi legati al ministero pontificio, come
Pietro, Paolo e Gregorio Magno, di letture tratte dai sermoni dello stesso Innocenzo III; tali
letture dopo la sua morte nel 1216 saranno rese facoltative dal successore, papa Onorio III, e
immediatamente scompariranno dal breviario[5]. Infatti il Breviario di san Francesco è l’unico
breviario vero e proprio che contiene tali letture per esteso. Questo codice fu usato da
Francesco e certamente cooperò a formare in lui una seppur rudimentale cultura teologica
che gli permise di esprimere la sua spiritualità e il suo pensiero in alcuni scritti,
tre dei quali sono ancora oggi in nostro possesso in formato autografo[6].
Considerato questo ruolo svolto dalla liturgia nella formazione culturale e spirituale di
Francesco, essa deve essere tenuta nel dovuto conto quando si cerca di comprendere il messaggio
del santo d’Assisi. Quindi, soprattutto il contenuto di tale codice va tenuto presente
ogniqualvolta si voglia approfondire una tematica particolare del suo pensiero; così il
ruolo di Maria Vergine, nel suo pensiero, diventerà maggiormente intelligibile nella
misura in cui si leggeranno i suoi scritti tenendo conto dell’Ufficio della Beata Vergine
e delle quattro feste mariane contenute nel suddetto codice, cioè la Presentazione di
Gesù al Tempio, il 2 febbraio; l’Annunciazione, il 25 marzo; l’Assunzione
con la sua ottava, dal 15 al 22 agosto; e la Nascita di Maria, l’8 settembre. Anche se le
prime due feste, ossia la Presentazione al Tempio e l’Annunciazione, celebrano due
misteri della vita di Gesù Cristo, già da secoli avevano assunto una forte
connotazione mariana, tanto che la prima è denominata nel suddetto Breviarium
come festa della Purificazione di Maria Vergine[7].
L’importanza del Breviarium sancti Francisci fu riconosciuta e testimoniata dallo
stesso frate Leone che lo diede alla badessa Benedetta del monastero Santa Chiara in Assisi
perché lo conservasse come un testimone privilegiato della santità di Francesco.
Tuttavia, prima di consegnarlo, egli segnò nel calendario diversi giorni anniversari di
defunti, tra cui quelli di Innocenzo III e di Gregorio IX. Dopo ancora alcuni anni durante i
quali fu usato come libro liturgico, il breviario del Santo fu definitivamente collocato tra le
reliquie del suddetto monastero, dove ancora oggi si può ammirare. Proprio a causa di
tale importanza, nel Seicento la sua copertina fu decorata con due ornamentazioni
d’argento raffiguranti san Francesco e santa Chiara.
Uno degli argomenti più dibattuti nella storiografia francescana
è il rapporto di Francesco con la Chiesa. C’è chi ha parlato di Francesco
come di una sorta di rivoluzionario, chi invece, non potendo contraddire le fonti, ha cercato
la ragione della sua obbedienza alla gerarchia nella sua scelta di vivere nella
minorità: sia in un senso che nell’altro, il suo è sempre un atteggiamento
visto in un modo che possiamo definire distaccato, estrinseco. La considerazione
dell’importanza della liturgia nella vicenda di Francesco può aiutare a
comprendere meglio il suo rapporto con la Chiesa: egli visse l’inserimento, certamente
non in modo passivo, in una storia che lo precedeva e che si era espressa anche mediante
determinate formule liturgiche. La preghiera e la meditazione di testi a lui precedenti,
espressione della vita e della santità della Chiesa lungo i secoli, divennero per
Francesco il luogo di comunione con la storia della salvezza. Proprio per questo egli fu molto
determinato contro coloro che non volevano recitare l’Ufficio, come è testimoniato
da quanto scrive nel suo testamento: «E sebbene io sia semplice e infermo, tuttavia
voglio sempre avere un chierico che mi reciti l’Ufficio così come è
prescritto nella Regola. E tutti gli altri frati siano tenuti a obbedire così ai loro
guardiani e a dire l’Ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non
dicessero l’Ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero
cattolici, tutti i frati, ovunque siano, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero
qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove
l’avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo
severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto
di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia
fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano
giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di
Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la
fraternità»[8].
Tale trafila che si conclude con la consegna al “signore di Ostia”, cioè al
cosiddetto cardinal protettore dell’Ordine minoritico, è stata considerata una
delle “durezze” di frate Francesco che tanto contrasta con una certa sua immagine
irenica; e tale durezza è nei confronti di coloro che non recitano il breviario.
Ciò è dovuto al fatto che quella determinata preghiera, e quindi anche il suo
rifiuto, era direttamente correlata all’ortodossia o meno della persona e della
comunità.
L’assioma lex orandi, lex credendi, lex vivendi lo possiamo constatare vissuto da
Francesco e anche ritenuto dallo stesso, anche se non esplicitamente, uno dei riferimenti della
sua esperienza cristiana. La modalità con cui Francesco ha pregato, e che ha voluto
fosse anche quella della fraternitas minoritica, ossia la recita del breviario, è
espressione della sua fede, quella della Chiesa rappresentata dal pontefice, che si è
espressa nel suo vissuto concreto. Quindi, se si vuole comprendere appieno il vissuto del santo
di Assisi e della sua predicazione di pace – con il significato che ha assunto lungo la
storia e soprattutto grazie al pontificato di Giovanni Paolo II – non può essere
trascurata la sua fede espressa mediante la preghiera, soprattutto liturgica, e la recita del
breviario.
Dalle Ceneri al fuoco (ritiro per
la Quaresima)
Francesco d´Assisi: il bello
è lo splendore del vero. La liturgia e la sua spiritualità alle
origini dell´esperienza francescana
Dalla storia del movimento francescano
lo stimolo a vivere l´economia nella logica del bene comune
[1] J. Dalarun, Francesco: un passaggio. Donna e donne negli scritti e nelle leggende di Francesco d’Assisi, postfazione di G. Miccoli, Roma 1994.
[2] P. Messa, Un testimone dell’evoluzione liturgica della fraternitas francescana primitiva: il Breviarium sancti Francisci, in Revirescunt Chartae, codices documenta textus; miscellanea in honorem fr.Caesaris Cenci, OFM, ed. A.Cacciotti-P.Sella, vol.I, Romae 2002, pp. 5-141.
[3] P.Messa, L’Officium mortuorum e l’Officium beatae Mariae virginis nel Breviarium sancti Francisci, in Franciscana. Bollettino della Società internazionale di studi francescani, 4 (2002), pp. 111-149.
[4] Frate Leone d’Assisi, Nota al Breviario di san Francesco, in Fonti Francescane, a cura di Ernesto Caroli, Padova 2004, p. 2696.
[5] P.Messa, I sermoni di Innocenzo III nel Breviarium sancti Francisci, in Archivium Franciscanum Historicum, 95 (2002), pp. 249-265.
[6] P.Messa, Le fonti patristiche negli scritti di Francesco di Assisi, prefazione di G.Miccoli, Assisi 1999.
[7] P.Messa, Le feste mariane nel Breviarium sancti Francisci, in L’Immacolata Concezione. Il contributo dei francescani. Atti del Congresso mariologico francescano in occasione del 150° anniversario della proclamazione dogmatica (Santa Maria degli Angeli-Assisi, 4-8 dicembre 2003), Città del Vaticano 2005.
[8] Francesco d’Assisi, Testamento, 29-33, in Fonti Francescane, op.cit., pp. 125-126.