La Disperazione è la morte stessa dello spirito (da Vladimir Soloviev)
C’è un solo peccato mortale: lo scoraggiamento, perché da esso nasce la disperazione e la disperazione in sostanza non è già un peccato, ma è la morte stessa dello spirito...
Due anacoreti avevano cercato la salvezza dell’anima nel deserto di Nitra. Le loro grotte non erano distanti l’una dall’altra, ma essi non avevano mai parlato assieme, forse talvolta si erano soltanto scambiati il canto dei salmi. Così passarono essi molti anni e la loro fama prese a diffondersi nell’Egitto e nei paesi vicini. Ed ecco che un giorno il diavolo ebbe ad insinuare nell’anima di tutti e due ad un tempo, lo stesso proposito; ed essi senza dirsi una parola, si accinsero al loro lavoro, cioè intessere canestri e stuoie con foglie e ramoscelli di palma. Quindi si diressero insieme alla volta di Alessandria. Laggiù essi vendettero i loro prodotti e poi per tre giorni e per tre notti si dettero a far baldoria con gli ubriaconi e le prostitute, dopodiché tornarono indietro al loro deserto. Uno di essi piangeva amaramente pieno di afflizione.
- Sono definitivamente perduto io maledetto! Per una simile frenesia, per tali brutture indarno potrò implorare Iddio. Tutti i miei digiuni, le mie sofferenze, le mie preghiere sono svanite indarno, tutto in una volta è andato irreparabilmente in rovina!
L’altro invece camminava al suo fianco e con voce piena di letizia cantava i salmi.
- E che sei forse impazzito?
- Perché?
- Perché non sei afflitto?
- E perché dovrei affliggermi?
- Come! Laggiù in Alessandria?
- Che c’entra Alessandria? Sia lode all’Altissimo che protegge questa famosa e pia città!
- Ma noi che cosa abbiamo fatto in Alessandria?
- Quello che abbiamo fatto è noto: abbiamo venduto i canestri, siamo andati a rendere omaggio a San Marco, abbiamo visitato altri templi, siamo passati al palazzo del pio governatore della città, abbiamo conversato con donna Leonilda ammiratrice dei monaci...
- E non abbiamo forse passata la notte in un bordello?
- Dio ce ne guardi! Noi abbiamo passata la sera e la notte alla corte del patriarca.
- Santi martiri! Egli ha perduto la ragione... E il vino dove l’abbiamo bevuto?
- Noi abbiamo assaggiato vino e vivande alla tavola del patriarca in occasione della festa della Presentazione al tempio della Santissima Madre di Dio.
- Disgraziato! Con chi ci siamo baciati, per tacere del peggio?
- Ci onorò di un santo abbraccio il padre dei padri, il beatissimo arcivescovo della grande città di Alessandria, di tutto l’Egitto, della Libia e della Pentapoli e giudice universale, padre Timoteo, con tutti i padri e fratelli del suo clero eletto da Dio.
- E che dunque, ti vuoi forse burlare di me? Oppure per le turpitudini di ieri, il diavolo in persona si è insediato in te? Hai baciato delle abominevoli prostitute, maledetto!
- Be’, non so in chi di noi due si sia insediato il diavolo: in me forse che mi rallegro dei doni di Dio e della benevolenza verso di noi degli alti prelati della chiesa e lodo il Creatore insieme con tutte le creature, oppure in te che farnetichi e chiami bordello la casa del nostro beatissimo padre e pastore e bolli di infamia lui in persona e il suo clero prediletto da Dio, come fossero delle prostitute?
- Ah tu, eretico! Progenie di Ario! Bocca maledetta di un esecrando Apollinare!
E l’anacoreta desolato per la sua caduta in peccato si scagliò contro il compagno e prese a picchiarlo con tutte le sue forze. Dopo di ciò se ne andarono in silenzio alle loro grotte. L’uno manifestò la sua afflizione per tutta la notte, riempiendo il deserto di gemiti e lamenti, strappandosi i capelli, gettandosi a terra, picchiando la testa contro il suolo; l’altro, invece, tranquillo e lieto cantava i salmi. Quando giunse il mattino, all’anacoreta pentito venne in mente un pensiero: “Poiché con lunghi anni di vita ascetica avevo ormai acquistata la grazia particolare dello Spirito Santo la quale cominciava a manifestarsi in me con miracoli e segni diversi, allora dopo quel fatto, io che mi sono abbandonato alle turpitudini della carne ho commesso un peccato contro lo Spirito Santo, peccato che, secondo la parola di Dio, non viene perdonato né in questa né nell’altra vita. Io ho gettato le perle della purezza celeste ai porci della mia mente cioè ai diavoli, essi le hanno calpestate sotto i piedi e adesso certamente si sono rivolti contro di me e mi straziano. Ma se in ogni caso io sono irrimediabilmente perduto, che ci starò a fare qui nel deserto?” Ed egli andò ad Alessandria e si abbandonò ad una vita dissoluta. Una volta che aveva bisogno di denaro, con la complicità di altri dissoluti della sua risma, uccise e depredò un ricco mercante. Il misfatto fu scoperto ed egli, sottoposto al tribunale della città e condannato alla pena di morte, morì senza confessione. E intanto il suo antico compagno, continuando nella sua vita ascetica, raggiunse un altissimo grado di santità e divenne famoso per grandi miracoli, sicché bastava una sua parola perché delle donne sterili in età avanzata riprendessero a partorire figli di sesso maschile. Quando giunse il giorno del trapasso, il suo corpo smunto e rinsecchito a un tratto parve rifiorire di bellezza e di gioventù, emanò come una luce e riempì l’aria di un gradevole profumo. Dopo la sua morte, sopra le sue miracolose reliquie fu eretto un monastero e il suo nome passo dalla chiesa di Alessandria a Bisanzio, di là poi andò a finire sui calendari di Kiev e di Mosca. “Significa dunque che io dico la verità, aggiungeva Varsanofio, nell’asserire che i peccati non sono una disgrazia eccetto uno solo: lo scoraggiamento; essi avevano commesso insieme tutti gli altri peccati, ma uno solo si perdette: quello che si era lasciato prendere dallo scoraggiamento”.
(da Vladimir Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Secondo dialogo, Marietti, 2007, p.52; 55-59)
Due anacoreti avevano cercato la salvezza dell’anima nel deserto di Nitra. Le loro grotte non erano distanti l’una dall’altra, ma essi non avevano mai parlato assieme, forse talvolta si erano soltanto scambiati il canto dei salmi. Così passarono essi molti anni e la loro fama prese a diffondersi nell’Egitto e nei paesi vicini. Ed ecco che un giorno il diavolo ebbe ad insinuare nell’anima di tutti e due ad un tempo, lo stesso proposito; ed essi senza dirsi una parola, si accinsero al loro lavoro, cioè intessere canestri e stuoie con foglie e ramoscelli di palma. Quindi si diressero insieme alla volta di Alessandria. Laggiù essi vendettero i loro prodotti e poi per tre giorni e per tre notti si dettero a far baldoria con gli ubriaconi e le prostitute, dopodiché tornarono indietro al loro deserto. Uno di essi piangeva amaramente pieno di afflizione.
- Sono definitivamente perduto io maledetto! Per una simile frenesia, per tali brutture indarno potrò implorare Iddio. Tutti i miei digiuni, le mie sofferenze, le mie preghiere sono svanite indarno, tutto in una volta è andato irreparabilmente in rovina!
L’altro invece camminava al suo fianco e con voce piena di letizia cantava i salmi.
- E che sei forse impazzito?
- Perché?
- Perché non sei afflitto?
- E perché dovrei affliggermi?
- Come! Laggiù in Alessandria?
- Che c’entra Alessandria? Sia lode all’Altissimo che protegge questa famosa e pia città!
- Ma noi che cosa abbiamo fatto in Alessandria?
- Quello che abbiamo fatto è noto: abbiamo venduto i canestri, siamo andati a rendere omaggio a San Marco, abbiamo visitato altri templi, siamo passati al palazzo del pio governatore della città, abbiamo conversato con donna Leonilda ammiratrice dei monaci...
- E non abbiamo forse passata la notte in un bordello?
- Dio ce ne guardi! Noi abbiamo passata la sera e la notte alla corte del patriarca.
- Santi martiri! Egli ha perduto la ragione... E il vino dove l’abbiamo bevuto?
- Noi abbiamo assaggiato vino e vivande alla tavola del patriarca in occasione della festa della Presentazione al tempio della Santissima Madre di Dio.
- Disgraziato! Con chi ci siamo baciati, per tacere del peggio?
- Ci onorò di un santo abbraccio il padre dei padri, il beatissimo arcivescovo della grande città di Alessandria, di tutto l’Egitto, della Libia e della Pentapoli e giudice universale, padre Timoteo, con tutti i padri e fratelli del suo clero eletto da Dio.
- E che dunque, ti vuoi forse burlare di me? Oppure per le turpitudini di ieri, il diavolo in persona si è insediato in te? Hai baciato delle abominevoli prostitute, maledetto!
- Be’, non so in chi di noi due si sia insediato il diavolo: in me forse che mi rallegro dei doni di Dio e della benevolenza verso di noi degli alti prelati della chiesa e lodo il Creatore insieme con tutte le creature, oppure in te che farnetichi e chiami bordello la casa del nostro beatissimo padre e pastore e bolli di infamia lui in persona e il suo clero prediletto da Dio, come fossero delle prostitute?
- Ah tu, eretico! Progenie di Ario! Bocca maledetta di un esecrando Apollinare!
E l’anacoreta desolato per la sua caduta in peccato si scagliò contro il compagno e prese a picchiarlo con tutte le sue forze. Dopo di ciò se ne andarono in silenzio alle loro grotte. L’uno manifestò la sua afflizione per tutta la notte, riempiendo il deserto di gemiti e lamenti, strappandosi i capelli, gettandosi a terra, picchiando la testa contro il suolo; l’altro, invece, tranquillo e lieto cantava i salmi. Quando giunse il mattino, all’anacoreta pentito venne in mente un pensiero: “Poiché con lunghi anni di vita ascetica avevo ormai acquistata la grazia particolare dello Spirito Santo la quale cominciava a manifestarsi in me con miracoli e segni diversi, allora dopo quel fatto, io che mi sono abbandonato alle turpitudini della carne ho commesso un peccato contro lo Spirito Santo, peccato che, secondo la parola di Dio, non viene perdonato né in questa né nell’altra vita. Io ho gettato le perle della purezza celeste ai porci della mia mente cioè ai diavoli, essi le hanno calpestate sotto i piedi e adesso certamente si sono rivolti contro di me e mi straziano. Ma se in ogni caso io sono irrimediabilmente perduto, che ci starò a fare qui nel deserto?” Ed egli andò ad Alessandria e si abbandonò ad una vita dissoluta. Una volta che aveva bisogno di denaro, con la complicità di altri dissoluti della sua risma, uccise e depredò un ricco mercante. Il misfatto fu scoperto ed egli, sottoposto al tribunale della città e condannato alla pena di morte, morì senza confessione. E intanto il suo antico compagno, continuando nella sua vita ascetica, raggiunse un altissimo grado di santità e divenne famoso per grandi miracoli, sicché bastava una sua parola perché delle donne sterili in età avanzata riprendessero a partorire figli di sesso maschile. Quando giunse il giorno del trapasso, il suo corpo smunto e rinsecchito a un tratto parve rifiorire di bellezza e di gioventù, emanò come una luce e riempì l’aria di un gradevole profumo. Dopo la sua morte, sopra le sue miracolose reliquie fu eretto un monastero e il suo nome passo dalla chiesa di Alessandria a Bisanzio, di là poi andò a finire sui calendari di Kiev e di Mosca. “Significa dunque che io dico la verità, aggiungeva Varsanofio, nell’asserire che i peccati non sono una disgrazia eccetto uno solo: lo scoraggiamento; essi avevano commesso insieme tutti gli altri peccati, ma uno solo si perdette: quello che si era lasciato prendere dallo scoraggiamento”.
(da Vladimir Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Secondo dialogo, Marietti, 2007, p.52; 55-59)