Il rischio di una catechesi frantumata: creazione, cristologia, peccato originale (da J. Ratzinger)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /04 /2012 - 14:53 pm | Permalink | Homepage
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dall’intervista di V. Messori a J. Ratzinger, Rapporto sulla fede, Paoline, Cinisello Balsamo, 1985, pp. 72-79

[Il cardinale J. Ratzinger] dice: «Poiché la teologia non sembra più poter trasmettere un modello comune della fede, anche la catechesi è esposta alla frantumazione, a esperimenti che mutano continuamente. Alcuni catechismi e molti catechisti non insegnano più la fede cattolica nel suo complesso armonico - dove ogni verità presuppone e spiega l'altra - ma cercano di rendere umanamente “interessanti” (secondo gli orientamenti culturali del momento) alcuni elementi del patrimonio cristiano. Alcuni passi biblici vengono messi in rilievo perché considerati “più vicini alla sensibilità contemporanea”; altri, per il motivo opposto, vengono accantonati. Dunque, non più una catechesi che sia formazione globale alla fede, ma riflessi e spunti di esperienze antropologiche parziali, soggettive».

[...]

«Certamente. Ogni cattolico deve avere il coraggio di credere che la sua fede (in comunione con quella della Chiesa) supera ogni nuovo magistero” degli esperti, degli intellettuali. Le ipotesi di costoro possono essere utili per capire la genesi dei libri della Scrittura, ma è un pregiudizio di derivazione evoluzionistica che si capisca il testo solo studiando come si è sviluppato e creato. La regola di fede, oggi come ieri, non è costituita dalle scoperte (vere o ipotetiche che siano) sulle fonti e sugli strati biblici, ma dalla Bibbia come sta, come è stata letta nella Chiesa, dai Padri a oggi. È la fedeltà a questa lettura della Bibbia che ci ha dato i santi, spesso illetterati e comunque spesso inesperti di complessità esegetiche. Eppure, sono loro quelli che meglio l’hanno capita».

[...]

Dice dunque: «Temendo, naturalmente a torto, che l'attenzione sul Padre Creatore possa oscurare il Figlio, certa teologia tende oggi a risolversi in sola cristologia. Ma è una cristologia spesso sospetta, dove si sottolinea in modo unilaterale la natura umana di Gesù, oscurando o tacendo o esprimendo in modo insufficiente la natura divina che convive nella stessa persona del Cristo. Si direbbe il ritorno in forze dell'antica eresia ariana. Difficile, naturalmente, trovare un teologo “cattolico” che dica di negare l'antica formula che confessa Gesù come “Figlio di Dio”. Tutti diranno di accettarla, aggiungendo però “in quale senso” quella formula dovrebbe secondo loro essere intesa. Ed è qui che si operano distinzioni che portano spesso a riduzioni della fede in Cristo come Dio. Come già dicevo, sganciata da una ecclesiologia che sia anche soprannaturale, non solo sociologica, la cristologia tende essa stessa a perdere la dimensione del Divino, tende a risolversi nel “progetto-Gesù”, in un progetto cioè di salvezza solo storica, umana».

«Quanto al Padre come prima Persona della Trinità - continua -, la sua “crisi” presso certa teologia è spiegabile in una società che dopo Freud diffida di ogni padre e di ogni paternalismo. Si oscura l'idea del Padre Creatore anche perché non si accetta l'idea di un Dio al quale rivolgersi in ginocchio: si ama parlare solo di partnership, di rapporto di amicizia, quasi tra uguali, da uomo a uomo, con l'uomo Gesù. Si tende poi a mettere da parte il problema di Dio Creatore anche perché si temono (e dunque si vorrebbero evitare) i problemi sollevati dal rapporto tra fede nella creazione e scienze naturali, a cominciare dalle prospettive aperte dall'evoluzionismo. Così, ci sono nuovi testi per la catechesi che partono non da Adamo, dal principio del libro della Genesi; ma partono dalla vocazione di Abramo o dall'Esodo. Ci si concentra cioè solo sulla storia evitando di confrontarsi con l'essere. In questo modo, però - se ridotto al solo Cristo, magari solo all'uomo Gesù - Dio non è più Dio. E difatti, sembra proprio che una certa teologia non creda più a un Dio che può entrare nelle profondità della materia; c'è come il ritorno dell'indifferenza, quando non dell'orrore della gnosi per la materia. Da qui i dubbi sugli aspetti “materiali” della rivelazione, come la presenza reale del Cristo nell'eucaristia, la verginità perpetua di Maria, la risurrezione concreta e reale di Gesù, la risurrezione dei corpi promessa a tutti alla fine della storia. Non è certo per caso che il Simbolo apostolico comincia confessando: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Questa fede primordiale nel Dio creatore (dunque, un Dio che sia davvero Dio) costituisce come il chiodo a cui tutte le altre verità cristiane sono appese. Se qui si vacilla, tutto il resto cade».

[...]

Dice al proposito: «Se la Provvidenza mi libererà un giorno da questi miei impegni, vorrei dedicarmi proprio a scrivere sul “peccato originale” e sulla necessità di riscoprirne la realtà autentica. In effetti, se non si capisce più che l'uomo è in uno stato di alienazione non solo economica e sociale (dunque un'alienazione non risolvibile con i suoi soli sforzi), non si capisce più la necessità del Cristo redentore. Tutta la struttura della fede è così minacciata. L'incapacità di capire e presentare il “peccato originale” è davvero uno dei problemi più gravi della teologia e della pastorale attuali».