Maranatha (da J. Ratzinger-Benedetto XVI)
da J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione, LEV, Città del Vaticano, 2011, pp. 320-321
Paolo pone alla fine della Prima Lettera ai Corinzi la stessa preghiera secondo la formulazione aramaica che, però, può essere divisa e quindi anche compresa in modi differenti: «Marana tha» («Vieni, Signore») o «Maran atha» («Il Signore è venuto»). In questa duplicità del modo di lettura è chiaramente visibile la peculiarità dell’attesa cristiana della venuta di Gesù. È al tempo stesso il grido: «Vieni!» e la certezza piena di gratitudine: «Egli è venuto».
Dalla DidachÄ“ (intorno all’anno 100) sappiano che questo grido faceva parte delle preghiere liturgiche della Celebrazione eucaristica dei primi cristiani, e qui si ha anche in concreto l’unità dei due modi di lettura. I cristiani invocano la venuta definitiva di Gesù e vedono al contempo con gioia e gratitudine che Egli già ora anticipa questa sua venuta, già ora entra in mezzo a noi.
Nella preghiera cristiana per il ritorno di Gesù è sempre contenuta anche l’esperienza della presenza. Questa preghiera non è mai riferita solamente al futuro. Vale, appunto, ciò che il Risorto ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Egli è adesso presso di noi, in modo particolarmente denso nella presenza eucaristica. Ma, inversamente, anche l’esperienza cristiana della presenza porta in sé la tensione verso il futuro, verso la presenza definitivamente compiuta: la presenza non è completa. Essa spinge al di là di se stessa. Ci mette in cammino verso la definitività.