Osanna: cosa significa? (da J. Ratzinger-Benedetto XVI)
da J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione, LEV, Città del Vaticano, 2011, pp. 16-17; 20-21
Questa acclamazione viene trasmessa da tutti e quattro gli evangelisti, anche se con le loro specifiche varianti. Di tali differenze non irrilevanti per la storia della trasmissione e per la visione teologica dei singoli evangelisti non dobbiamo occuparci in questo luogo. Cerchiamo soltanto di comprendere le essenziali linee di fondo, tanto più che la liturgia cristiana ha accolto questo saluto interpretandolo in base alla fede pasquale della Chiesa.
C’è innanzitutto l’esclamazione: «Osanna!». All’origine, questa era stata una parola di supplica, come: «Deh, aiutaci!». Nel settimo giorno della festa delle Capanne, i sacerdoti, girando sette volte intorno all’altare dell’incenso, l’avevano ripetuta in modo monotono come supplica per la pioggia. Ma così come la festa delle Capanne da festa di supplica si trasformò in una festa di gioia, la supplica divenne sempre di più un’esclamazione di giubilo (cfr Lohse, ThWNT, p. 682).
Probabilmente già ai tempi di Gesù, la parola aveva assunto anche un significato messianico. Possiamo così nell’esclamazione «osanna» riconoscere un’espressione dei molteplici sentimenti sia dei pellegrini venuti con Gesù sia dei suoi discepoli: una lode gioiosa a Dio nel momento di quell’ingresso; la speranza che fosse arrivata l’ora del Messia e al contempo la richiesta che si realizzasse nuovamente il regno di Davide e con esso il regno di Dio su Israele. [...]
Già nel testo liturgico post-pasquale più antico che conosciamo – nella DidachÄ“ (intorno all’anno 100) – prima della distribuzione dei Doni sacri appare l’«osanna» insieme col «Maranatha»: «Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna al Dio di Davide. Chi è santo, acceda; chi non lo è, si converta. Maranatha. Amen» (10,6).
Molto presto è stato inserito nella liturgia anche il Benedictus: per la Chiesa nascente la «Domenica delle Palme» non era una cosa del passato. Come allora il Signore era entrato nella città santa cavalcando l’asinello, così la Chiesa lo vedeva arrivare sempre di nuovo sotto le apparenze umili del pane e del vino.
La Chiesa saluta il Signore nella santa Eucaristia come Colui che viene ora, che è entrato in mezzo ad essa. E al contempo Lo saluta come Colui che rimane sempre il Veniente e ci prepara alla sua venuta. Come pellegrini andiamo verso di Lui; come pellegrino Egli ci viene incontro e ci coinvolge nella sua «ascesa» verso la croce e la resurrezione, verso la Gerusalemme definitiva che, nella comunione col suo Corpo, già si sta sviluppando in mezzo a questo mondo.