The Other (da Ruth Fainlight)
The Other, di Ruth Fainlight (traduzione di Antonio Spadaro)
Se mi metto a cercare, quel che trovo non sarà la cosa giusta.
Devo aspettare: la prova più dura, sedersi
passivo, ricettivo, e paziente, vuoto
di ogni richiesta e desiderio, finché
quell’altro, quell’essere che io avrei mai trovato
anche se avessi speso l’intera mia vita nella ricerca, muoverà.
E questo sarà il compito più lungo: dare attenzione,
aprirmi. Distillare la mia energia
è più difficile che usarla.
Eppure di certo a rivelarne la presenza
sarà il suo andare contro le vene della mia natura
che sempre invoca una scelta. Lo sento, sarà doloroso
e forte come una nascita in cui non c’è pausa.
Devo trattenermi da qualunque richiamo all’azione
per lasciare che mi si accosti, un cauto sorriso sul viso,
un braccio alzato per salutarmi o guardarsi da un attacco
(non posso decifrare quel gesto incerto).
Devo quasi controllare il ritmo del mio respiro
finché la sua orbita sia vicina abbastanza
che io possa catturare la nota della sua esile acuta voce.
E allora come nei sogni, quando una lingua non parlata
dai tempi prima dell’infanzia viene richiamata
(quando ero timida come lei, mia sorella dimenticata,
la sua presenza come completamento e ricompensa),
comincio a capire, a frammenti, il messaggio
che ha atteso così tanto a consegnarmi. Se l’amo imparerò,
alla fine, lo stesso mio segreto dalle parole della sua canzone.
Se mi metto a cercare, quel che trovo non sarà la cosa giusta.
Devo aspettare: la prova più dura, sedersi
passivo, ricettivo, e paziente, vuoto
di ogni richiesta e desiderio, finché
quell’altro, quell’essere che io avrei mai trovato
anche se avessi speso l’intera mia vita nella ricerca, muoverà.
E questo sarà il compito più lungo: dare attenzione,
aprirmi. Distillare la mia energia
è più difficile che usarla.
Eppure di certo a rivelarne la presenza
sarà il suo andare contro le vene della mia natura
che sempre invoca una scelta. Lo sento, sarà doloroso
e forte come una nascita in cui non c’è pausa.
Devo trattenermi da qualunque richiamo all’azione
per lasciare che mi si accosti, un cauto sorriso sul viso,
un braccio alzato per salutarmi o guardarsi da un attacco
(non posso decifrare quel gesto incerto).
Devo quasi controllare il ritmo del mio respiro
finché la sua orbita sia vicina abbastanza
che io possa catturare la nota della sua esile acuta voce.
E allora come nei sogni, quando una lingua non parlata
dai tempi prima dell’infanzia viene richiamata
(quando ero timida come lei, mia sorella dimenticata,
la sua presenza come completamento e ricompensa),
comincio a capire, a frammenti, il messaggio
che ha atteso così tanto a consegnarmi. Se l’amo imparerò,
alla fine, lo stesso mio segreto dalle parole della sua canzone.