Il tratto decisivo della vera conversione non è la fatica, ma la gioia (da Benedetto XVI)
dall'omelia di Benedetto XVI, nella messa celebrata nel Parco San Giuliano a Mestre, 7/5/2011
[L'episodio di Emmaus] mostra le conseguenze che Gesù risorto opera nei due discepoli: conversione dalla disperazione alla speranza; conversione dalla tristezza alla gioia; e anche conversione alla vita comunitaria. Talvolta, quando si parla di conversione, si pensa unicamente al suo aspetto faticoso, di distacco e di rinuncia. Invece, la conversione cristiana è anche e soprattutto fonte di gioia, di speranza e di amore. Essa è sempre opera di Cristo risorto, Signore della vita, che ci ha ottenuto questa grazia per mezzo della sua passione e ce la comunica in forza della sua risurrezione.
[…] Voi vivete in un contesto nel quale il Cristianesimo si presenta come la fede che ha accompagnato, nei secoli, il cammino di tanti popoli, anche attraverso persecuzioni e prove molto dure. Di questa fede sono eloquente espressione le molteplici testimonianze disseminate ovunque: le chiese, le opere d’arte, gli ospedali, le biblioteche, le scuole; l’ambiente stesso delle vostre città, come pure delle campagne e delle montagne, tutte costellate di riferimenti a Cristo. Eppure, oggi questo essere di Cristo rischia di svuotarsi della sua verità e dei suoi contenuti più profondi; rischia di diventare un orizzonte che solo superficialmente - e negli aspetti piuttosto sociali e culturali -, abbraccia la vita; rischia di ridursi ad un cristianesimo nel quale l’esperienza di fede in Gesù crocifisso e risorto non illumina il cammino dell’esistenza, come abbiamo ascoltato nel Vangelo odierno a proposito dei due discepoli di Emmaus, i quali, dopo la crocifissione di Gesù, facevano ritorno a casa immersi nel dubbio, nella tristezza e nella delusione. Tale atteggiamento tende, purtroppo, a diffondersi anche nel vostro territorio: questo avviene quando i discepoli di oggi si allontanano dalla Gerusalemme del Crocifisso e del Risorto, non credendo più nella potenza e nella presenza viva del Signore. Il problema del male, del dolore e della sofferenza, il problema dell’ingiustizia e della sopraffazione, la paura degli altri, degli estranei e dei lontani che giungono nelle nostre terre e sembrano attentare a ciò che noi siamo, portano i cristiani di oggi a dire con tristezza: noi speravamo che il Signore ci liberasse dal male, dal dolore, dalla sofferenza, dalla paura, dall’ingiustizia.
È necessario, allora, per ciascuno di noi, come è avvenuto ai due discepoli di Emmaus, lasciarsi istruire da Gesù: innanzitutto, ascoltando e amando la Parola di Dio, letta nella luce del Mistero Pasquale, perché riscaldi il nostro cuore e illumini la nostra mente, e ci aiuti ad interpretare gli avvenimenti della vita e dare loro un senso. Poi, occorre sedersi a tavola con il Signore, diventare suoi commensali, affinché la sua presenza umile nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue ci restituisca lo sguardo della fede, per guardare tutto e tutti con gli occhi di Dio, nella luce del suo amore. Rimanere con Gesù che è rimasto con noi, assimilare il suo stile di vita donata, scegliere con lui la logica della comunione tra di noi, della solidarietà e della condivisione. L’Eucaristia è la massima espressione del dono che Gesù fa di se stesso ed è un invito costante a vivere la nostra esistenza nella logica eucaristica, come un dono a Dio e agli altri.