Sai, figliola, chi sei tu e chi sono io? Tu sei quella che non è; io, invece, Colui che sono (da Santa Caterina da Siena)
dalla Legenda Maior di Santa Caterina da Siena, scritta dal beato Raimondo da Capua, Cantagalli, Siena, 1994, pp. 97-106
Capitolo X. Sapienza di Caterina
92. - Messo adunque, con la grazia del Signore, il fondamento della credibilità, assistiti da Colui che è la Pietra angolare, passiamo ora alla costruzione dell'edificio spirituale.
Come è vero che le anime fedeli sono vivificate dalla parola del Signore e che vivono di essa, così prendiamo le mosse dalla straordinaria dottrina data a questa santa vergine dal Creatore di tutte le cose e suo straordinario Maestro.
Raccontava dunque la santa vergine ai suoi confessori, tra i quali, senza merito, sono stato anch'io, che all'inizio delle visioni di Dio, cioè quando il Signore Gesù Cristo cominciò ad apparirle, una volta, mentre pregava, le comparve davanti e le disse: «Sai, figliola, chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose, sarai beata. Tu sei quella che non è; io, invece, Colui che sono. Se avrai nell'anima tua tale cognizione, il nemico non potrà ingannarti e sfuggirai da tutte le sue insidie; non acconsentirai mai ad alcuna cosa contraria ai miei comandamenti, e acquisterai senza difficoltà ogni grazia, ogni verità e ogni lume».
Oh, parola piccolina e grande! Oh, breve dottrina e in corto qual modo infinita! Oh sapienza racchiusa in così poche sillabe! Chi mi darà ch'io possa intenderti? Chi mi aprirà i tuoi sigilli? Chi mi condurrà a scrutare l'abisso della tua profondità? Sei forse tu quella lunghezza e larghezza, quella altezza e profondità, che l'Apostolo Paolo desiderava di comprendere con tutti i santi di Efeso?[1]. O sei forse una cosa sola con la Carità di Cristo, la quale trascende ogni umano sapere?
93. - Lettore carissimo, arrestati. Non passiamo oltre all'incomparabile tesoro che troviamo nel campo di questa santa vergine. Scaviamo risoluti il terreno, perché i segni che appariscono, ci ripromettono una sterminata ricchezza.
Disse l'infallibile Verità: «Se tu saprai queste due cose, sarai salva». E aggiunse: «Se avrai nell'anima tua questa cognizione, il nemico non potrà ingannarti», e le altre cose che abbiamo dette sopra. E buono davvero mi sembra starcene qui: facciamo qui tre tabernacoli: uno, ad onore di Gesù che insegna, penetrando noi con la mente le sue parole; l'altro, ad amore e devozione della vergine Caterina, che riceve questi insegnamenti, muovendoci verso di lei con riverente affetto; il terzo, a profitto di ciascuno di noi, che qui troviamo la vita, imprimendo tutto nella nostra memoria. Così potremo scavare e far nostre le ricchezze spirituali, per non esser costretti a mendicare nella vergogna.
«Tu sei, disse il Signore, quella che non sei». E non è forse così? Ogni creatura fu fatta dal nulla dal Creatore, perché il creare è fare una cosa dal nulla; e la creatura, abbandonata a se stessa, tende a ritornare nel nulla. Se, dunque, il Creatore cessasse anche un istante di conservarla, subito di essa non se ne parlerebbe più. Quando la creatura commette il peccato, che è il nulla, sempre si accosta al nulla; né, secondo l'Apostolo, da sé sola può fare o pensare alcuna cosa[2]. Niente meraviglia, perché da sé non può essere, né da sé può conservarsi nell'essere. Onde il medesimo Apostolo dice: «Chi si stima qualche cosa, essendo nulla, ecc.»[3].
94. - Vedi, adunque, o lettore, quanto ogni creatura è circondata dal nulla! Tratta dal nulla, tende naturalmente al nulla; col peccato si riduce al nulla, come dice Agostino; niente può fare da sé, come afferma la stessa Verità incarnata, che dice: «Senza di me niente potete fare»[4].
Quindi si può concludere che la creatura non è. Chi avrà il coraggio di affermare che quella cosa sia, quando essa è niente? Quali e quante le conclusioni veridiche e utili ad allontanare ogni vizio se ne deducano, le conobbero pienamente i santi uomini di Dio, i quali, ammaestrati dallo Spirito santo, furono ripieni di questa sapienza.
Che piaga di superbia può entrare in quell'anima, che sa di essere nulla? Chi si può gloriare di un'opera fatta, se sa che non è la sua? Come reputarsi superiore agli altri se nell'intimo del cuore saprà di non essere? In qual maniera disprezzerà gli altri o li invidierà, chi disprezza se stesso fino al nulla? Come potrà gloriarsi delle ricchezze terrene, chi ha già disprezzato la propria gloria? Dice la Sapienza incarnata: «Se io glorifico me stesso, la mia gloria è un niente»[5]. Di più: come oserà dire sue le cose del mondo, chi sa benissimo che non gli appartengono, e che sono di Colui che le fece? Ammesso ciò, quale anima potrà dilettarsi nei piaceri dei sensi, se annienta se stessa con questa considerazione? Chi vorrà restarsene pigro, conoscendo che l'essere suo non è suo, ma cerca di mendicarlo da altri?
Da queste cose, sia pure dette in breve, tu puoi comprendere, o lettore, che tutti i vizi vengono scacciati da queste tre parole: «Tu non sei». Certo potremmo tirare il discorso più a lungo, se non lo impedisse la narrazione della vita, che io intendo scrivere.
95. - Non dobbiamo però tralasciare la seconda parte di questa eccellente dottrina.
Disse dunque la stessa Verità: «Io sono Colui che sono»[6]. È forse questa una dottrina nuova? È nuova e antica. Il Signore stesso che parla, la disse dal roveto ardente a Mosè. Tutti gli interpreti delle sacre Scritture ne hanno sapientemente trattato, ed in realtà hanno insegnato che Colui soltanto è, al quale conviene l'essere per essenza; nel quale non vi è distinzione fra la Sua essenza e l'esistenza; il quale da nessun altro ha l'essere, se non da Sé, e che da Lui proviene e procede ogni altro essere. Solo Lui adunque può dire con proprietà una simile proposizione. Per usare le parole dell'Apostolo, non è in Lui come nelle creature est et non, ma soltanto est[7]. Infatti Egli stesso comanda a Mosè di dire: «Mi manda Colui che è»[8]. Né fa meraviglia, perché, se si studia attentamente la definizione della creazione, se ne deduce infallibilmente questa dottrina.
Se il creare non è altro che fare una cosa dal nulla, è evidente che qualunque essere procede dallo stesso solo Creatore, né può da altra parte in alcun modo provenire, perché egli solo è la fonte di ogni essere. Ammesso questo, ne segue che la creatura niente ha da sé, ma tutto riceve dal Creatore, e che lo stesso Creatore ha tutta l'infinita perfezione dell'essere non da altri che da se stesso. Se non avesse in sé l'infinita virtù dell'essere non potrebbe fare alcuna cosa dal nulla. Questo è tutto ciò che il sommo Re e Maestro volle insegnare alla sua sposa quando le disse: «Conosci dall'intimo del tuo cuore che io sono veramente il tuo Creatore e sarai beata».
96. - Il Signore disse le stesse parole ad un'altra Caterina[9], quando accompagnato da un coro di Angeli e di Santi, andò a visitarla nella prigione. Le disse: «Conosci, o figliola, il tuo Creatore». Da questo conoscimento procede indubbiamente ogni perfezione di virtù ed ogni buona ordinazione della mente creata.
Chi, se non uno che non ragiona o che è stolto, non si assoggetta spontaneamente e di buona voglia a Colui dal quale riconosco avere ogni cosa? Chi non amerà con tutto il cuore e con tutta la mente un così grande e ricco benefattore, che concede il bene a piene mani? Chi non si accenderà sempre più di amore verso un così amabile Amante, il quale, senza alcun merito precedente, e non mosso altro che dall'eterna bontà, amò le creature anche prima d'averle create? Chi ormai non temerà e non sarà preso continuamente dal timore e tremore di offendere o di perdere un sì grande e tremendo Creatore, un sì potente e meraviglioso Donatore, un sì ardente e grazioso Amante? Chi non sopporterà ogni pena per amore di Colui dal quale ha ricevuto e riceve ogni bene e confida di riceverne in avvenire? Chi si stancherà per le fatiche o si affliggerà nelle malattie per piacere ad una simile Maestà? Chi non riceverà con riverenza, non ascolterà con attenzione e non conserverà nel tesoro di una tenace memoria le parole di Lui con le quali parla benignamente alle sue creature? Chi, secondo le proprie forze, non ubbidirà con animo lieto ai suoi comandamenti?
Tutte queste cose scaturiscono da quella perfetta cognizione, con la quale si dice: «Conosci che tu sei quella che non sei, ed io sono Colui che sono». Oppure, con altre parole: «Conosci, o figliola, il tuo Creatore».
Valuta ora, o lettore, quale fondamento abbia messo il Signore sul principio, per caparra della sua sposa. Non ti pare esso bastante per tener su una costruzione di qualunque perfezione spirituale, sì che né dai vènti né dalle tempeste possa essere atterrata né mossa?
Io, per quanto me lo concesse il Signore, ti parlai già del fondamento della credibilità; ora poi tu vedi chiaramente qual fondamento abbia posto il Sommo Architetto nell'animo di Caterina. Rassicurato, dunque, da questo duplice fondamento, tu non potrai restare nell'incertezza. Stai in una ferma e costante fedeltà; non essere incredulo ma fedele.
97. - Alla eccellente dottrina esposta, il Signore ne aggiunge un'altra, degna di nota, la quale, se non sbaglio, è una conseguenza della prima. Le riapparve infatti più tardi e le disse: «Figliuola, pensa a me: se lo farai, io penserò subito a te». Ricordati, o lettore, la parola che il Salmista grida ad ogni giusto: «Getta nel seno del Signore la tua ansietà ed egli ti sostenterà: non farà che il giusto ondeggi per sempre»[10]. Vediamo ora come la santa vergine interpretasse queste parole.
Discorrendone con me in segretezza, mi diceva che il Signore le aveva allora comandato di scacciare dal suo cuore ogni altro pensiero e di ritenervi solo quello di Lui. E perché nessun affanno temporale o spirituale la distogliesse dalla pace di questo pensiero, soggiunse: «Io penserò a te», come se le avesse voluto dire: non ti preoccupare, o figliola, della salute dell'anima e del corpo, perché ci voglio pensare io, che so e posso, e voglio provvederci con premura. Cerca solo di pensare a me e di comprendermi, perché in questo consiste la tua perfezione e il tuo ultimo fine.
O bontà increata, che cosa ti si aggiunge se questa tua vergine sposa, o qualunque altra creatura, ti pensa o ti medita? Te ne può forse venire qualcosa di più? Perché chiedi con tanto affetto che si pensi e si ripensi a te, se non perché sei sommamente buona e sei sempre disposta a venire a noi per attirarci a te?
98. - La vergine del Signore da questa dottrina concludeva che dal momento che ci siamo dati a Dio con il battesimo e poi con la vita sacerdotale o monastica, non dobbiamo assolutamente esser solleciti di noi, ma solo dobbiamo aver fretta di pensare come piacere al Signore, al quale abbiamo dato noi stessi. E ciò non in vista del premio, ma dell'unione, perché quanto più restiamo attaccati a Lui, tanto più gli piacciamo. Il premio non deve desiderarsi se non in quanto ci unisce col nostro Principio infinitamente perfetto.
Allorquando perciò io, o altri frati, temevamo qualche pericolo, lei soleva dirci: «Perché vi preoccupate? Lasciate fare alla Provvidenza divina: quando più avete paura, essa ha sempre gli occhi sopra di voi e non smette mai di provvedere alla vostra salute».
Tanta fiducia nel suo Sposo la concepì, dopo che gli ebbe sentito dire: «Io penserò a te»; ed ebbe un concetto così alto della Provvidenza divina, che non faceva che parlarne continuamente, tanto che nel Libro[11] che scrisse, non omise di discorrerne in un lungo trattato e per molti capitoli, come chiunque, leggendolo, può sincerarsi.
99. - Mi ricordo che una volta, essendo in molti in mare con Caterina, verso la metà della notte, cessò il vento favorevole alla navigazione e il timoniere cominciò a impaurirsi perché diceva di trovarci in un luogo molto pericoloso e che, se si fosse levato il vento di fianco, per forza bisognava dirigersi in parti lontane, o appoggiarsi alle isole. Udito ciò, parlai con lei, e con trepidazione le dissi: «O mamma (tutti la chiamavamo con questo nome), non vedi in che pericolo siamo». Ed ella mi rispose subito: «Che avete da farci voi?». E così mi chetò la voce e la paura.
Poco dopo cominciò a tirare il vento contrario e il timoniere avvertì essere costretto a tornare indietro. Lo riferii alla vergine, ed ella mi rispose: «Volti mano nel nome del Signore e vada come il Signore manda il vento». Il timoniere voltò la direzione e ritornammo indietro; ma abbassando lei il capo e pregando, non avevamo fatto un percorso quanto è lungo un tiro di balestra, che riprese a soffiare il vento di prima, e conducendoci il Signore, compiuta l'ora di mattutino, ci ritrovammo con allegrezza nel porto, al quale eravamo diretti. E cantammo ad alta voce: «Te Deum laudamus».
Questo l'ho raccontato qui non per ordine di storia, ma per uniformità di materia.
Questa seconda dottrina, come sopra ho detto, qualunque persona intelligente capisce che deriva dalla prima, perché se l'anima conosce che di per sé non è nulla, e che tutto deve al Signore, ne viene che non confida nelle sue operazioni, ma, solo in quelle di Dio. Per questo l'anima ripone tutta la sua sollecitudine in Lui, e questo è a mio vedere dirigere il pensiero nel Signore, come dice il Salmista. L'anima, però, non tralascia di fare quel che può, poiché derivando tale confidenza dall'amore e l'amore causando necessariamente all'amante il desiderio della cosa amata, (il quale desiderio non vi può essere se l'anima non fa quelle opere che le sono possibili), ne nasce che ella opera in ragione dell'amore. Non per questo confida nella sua operazione come cosa sua, ma come operazione del Creatore, la qual cosa perfettamente le insegna il conoscimento del suo niente e la perfezione dello stesso Creatore.
100. - Fra le cose meravigliose, di Caterina io stimo che si debba tenere in gran conto la sua sapienza; perciò non posso non aggiungere gli altri suoi insegnamenti, che sono una derivazione della dottrina già esposta.
La santa vergine discorreva spesso con me dello stato in cui si trova un'anima che ama il suo Creatore e diceva che quest'anima non vede né ama se stessa né alcun altro; dimentica sé e ogni altra creatura. Le chiesi di essere più chiara, e lei: «L'anima che vede la sua nullità e conosce che tutto il suo bene sta nel Creatore, abbandona se stessa con tutte le sue facoltà e tutte le creature, e tutta si immerge nel suo Creatore; cosicché indirizza a Lui principalmente e totalmente le sue operazioni, né vuole in alcun modo allontanarsi da Lui nel quale si accorge di aver trovato ogni bene ed ogni perfezione di felicità. Per questa unione amorosa, che ogni giorno aumenta, l'anima si trasforma in un certo modo in Dio talmente, che non può pensare, intendere e amare se non Iddio, e non aver presente altro che Iddio. Se stessa e le altre creature non vede se non in Dio, né ricorda se stessa e gli altri, se non precisamente in Dio. Le succede dunque come a colui che s'immerge nel mare e nuota sott'acqua: non vede né tocca che l'acqua e quello che sta nell'acqua; e di ciò che è fuori dell'acqua nulla vede, né tocca, né palpa. Se gli oggetti che sono fuori dell' acque vi si riflettono, allora li vede, ma soltanto nell'acqua e come essi vi si proiettano e non altrimenti. Questa, diceva è la vera e retta dilezione di sé e di tutte le creature, nella quale non si sbaglia mai, perché, necessariamente governata dalle regole divine, per essa non si desidera alcuna cosa fuori di Dio, perché si esercita in Dio e in Lui rimane».
Non so se son riuscito a rendere bene il suo pensiero perché lei certe cose le aveva imparate dall'esperienza come un altro Doroteo, il quale è ricordato da Dionisio, ma io (me ne dispiace) tanto poco esperto in materia, non ho tutte le qualità per ridirle bene. Tu, o lettore, meditale, o ricevile secondo la grazia che Dio ti ha donato. So però che quanto più sarai unito a Dio, tanto più intenderai questa profonda dottrina.
101. - Da una simile conclusione, questa maestra della scienza divina, ne deduceva un'altra, che non si stancava di ripetere a coloro che voleva indirizzare nella via di Dio.
Un'anima congiunta a Dio nel modo che abbiamo detto, quanto amore ha di Dio, tanto odio santo ha dei propri sensi. Dall'amore di Dio naturalmente procede l'odio della colpa, che si commette contro Dio; per cui l'anima, vedendo che il fomite di ogni colpa regna nella parte sensitiva, e che in essa ha le radici, spinta ad un grande odio contro la parte sensitiva, fa tutti gli sforzi non per distruggere i sensi, ma per annientare in essi il fomite che vi è radicato; e ciò non si può fare senza un grave risentimento dei sensi. Ma perché è difficile che non vi rimanga qualche radice di colpa, sia pur piccola, secondo la parola di San Giovanni: «Se diremo che non abbiam colpa, noi inganniamo noi stessi e non è in noi verità»[12], l'anima comincia ad avere un certo dispiacere di se stessa, dal quale origina l'odio santo e il disprezzo di se stessa, odio e disprezzo che la difendono dalle insidie del demonio e da quelle degli uomini.
Non vi è nulla che tenga l'anima tanto sicura e forte, quanto quel santo odio, cui voleva alludere l'apostolo, dicendo: «Quando sono debole, allora sono potente»[13].
«O eterna bontà di Dio, diceva Caterina, che cosa hai fatto? Dalla colpa procede la virtù, dalla debolezza la forza, dall'offesa la clemenza, dal dolore il piacere. Abbiate sempre in voi, o figlioli, questo odio santo, perché vi farà umili e vi sentirete umili sempre. Avrete la pazienza nelle avversità, sarete moderati nell'abbondanza, ornati d'ogni onesto costume, grati e diletti a Dio e agli uomini». E aggiungeva: «Guai e poi guai a chi non ha quest' odio santo, perché dove esso manca, regna necessariamente l'amor proprio, che è la sentina di tutti i peccati, la radice e la causa di ogni pessima cupidigia».
102. - Queste e simili parole diceva quotidianamente ai suoi per raccomandar loro quell'odio santo e incitarli a combattere l'amor proprio.
Quando avvertiva in qualcuno di loro, o anche negli altri, qualche difetto o colpa, mossa a pietà, diceva: «Questo lo fa quell'amor proprio, che stimola la superbia e gli altri vizi». Dio mio, quante e quante volte ho sentito ripetere a me misero: «Fate tutti gli sforzi per sradicare dal vostro cuore l'amor proprio e per piantarvi quell'odio santo; perché questa è infallibilmente la via reale per la quale si arriva ad ogni perfezione, e ci si emenda d'ogni difetto». Devo però confessare che né allora né ora ho mai voluto capire la profondità e l'utilità delle sue parole, né ho cercato di metterle in pratica.
Carissimo lettore, se ti rammenti di quelle due città - nominate da Agostino nel libro della Città di Dio -[14], delle quali una è costituita dall'amor proprio e arriva fino al disprezzo di Dio, e l'altra dall'amor di Dio e giunge fino al disprezzo di sé, subito arrivi a capire questo insegnamento; e se intendi il senso dell'Apostolo quando dice: «La potenza si compie nella debolezza»[15] come egli si sentì dire dal cielo mentre pregava, perché gli fosse allontanato la tentazione e concludeva: «Volentieri mi glorierò nelle mie infermità, affinché abiti in me la potenza di Cristo»[16], tu vedrai che i fondamenti dottrinali di questa santa vergine son gettati sopra la solida pietra della Verità che è Cristo, il quale è chiamato anche Pietra[17].
Basta per ora quel che abbiam detto intorno alla sua dottrina, data a lei dalla Verità e da lei trasmessa a noi.
Così porrò fine al capitolo, per il quale non occorre citare testimoni, perché quanto vi si contiene l'ho inteso io uscire dalla bocca di Caterina.
Ammonisco però chiunque legga, di considerare di qual merito sia stata davanti a Dio questa santa vergine e come le si debba credere anche nelle altre cose, se fu illuminata da tanta luce di Verità.
[1] Agli Efesini, 3, 18.
[2] II ai Corinti, 3, 5.
[3] Ai Galati, 6, 13.
[4] Giovanni, 15, 5.
[5] Giovanni, 8, 54.
[6] Esodo, 3, 14.
[7] II ai Corinti, 1, 18.
[8] Esodo, 3, 14.
[9] Santa Caterina di Alessandria, vergine e martire.
[10] Salmo, 54, 23.
[11] Il Dialogo della Divina Dottrina.
[12] I Giovanni, 1, 8.
[13] II Corinti, 12, 10.
[14] Città di Dio, cap. XIX. (Edizione «Classici Cristiani»).
[15] II Corinti, 12, 9.
[16] II Corinti, 12, 9.
[17] I Corinti, 10, 4.