La chiesa è implicata nella rivelazione (da J. Ratzinger)
da J. Ratzinger, Un tentativo circa il problema del concetto di tradizione, in K. Rahner - J. Ratzinger, Rivelazione e Tradizione, Morcelliana, Brescia, 2006, pp. 40-42
La realtà effettiva che si fa evento nella rivelazione cristiana non è altro che Cristo stesso. Egli è, in senso vero e proprio, la rivelazione: «Chi vede me, vede il Padre », dice Cristo secondo il vangelo di Giovanni (14, 9). Ciò significa che accettazione della rivelazione equivale a entrare nella realtà di Cristo, da cui deriva quella duplice situazione che Paolo descrive alternativamente con le espressioni 'Cristo in noi' e ' noi in Cristo'.
In questo processo, la recezione di singole proposizioni è secondaria poiché esse hanno senso soltanto come esplicazioni dell'unico mistero di Cristo. E da ciò sgorga spontaneamente una luce che illumina il problema della sufficienza materiale della Scrittura, che dopo la pubblicazione degli scritti di Geiselmann ha tanto dominato la discussione. Ma a questo punto ci si dovrà chiedere: che cosa può significare, dal punto di vista cristiano, sufficienza materiale? «Sufficiente» è soltanto la realtà di Cristo. Materialmente, essa può più o meno esplicitarsi, ma ciò in fondo non è decisivo, e per questo motivo si possono dare certamente anche esplicitazioni materiali susseguenti alla Scrittura, cosa di cui si tratterà più in particolare subito.
La stessa situazione può essere considerata da diversi angoli visuali e ciò condurrà da sé un passo in avanti. L'accettazione della rivelazione, per cui la realtà di Cristo diviene nostra, nel linguaggio biblico è chiamata «fede». Da questo punto di vista si può comprendere forse più chiaramente perché, secondo il Nuovo Testamento, fede equivale a inabitazione di Cristo.
Se ammettiamo come dato di fatto che per la Scrittura la presenza della rivelazione sia equivalente alla presenza di Cristo, ne consegue che si può avanzare d'un altro passo. Noi scopriamo cioè che la presenza di Cristo nella Scrittura è indicata in due modi ben precisi. Da una parte, essa appare identica, come s'è già visto, con la fede (Eph. 3, 17), in cui il singolo incontra Cristo e in lui entra nella sfera d'azione della sua potenza salvifica. Ma essa si nasconde anche sotto l'espressione paolina «corpo di Cristo», che indica certamente che la comunità dei credenti - la Chiesa - rappresenta la presente e stabile permanenza l'“esserci” (An-Wesen) di Cristo nel mondo, nella quale egli riunisce gli uomini e mediante la quale li rende partecipi della sua potente presenza.
Questi due aspetti insieme indicano, secondo quanto s'è detto sopra, che la fede è entrare nella presenza di Cristo, nella presente realtà di Cristo di cui la Scrittura rende testimonianza, ma che non è assolutamente la Scrittura stessa. Da ciò consegue inoltre che la presenza della rivelazione è essenzialmente connessa con le realtà della «fede» e della «Chiesa», le quali a loro volta, come ora appare chiaramente, sono strettamente connesse tra loro. E questo ci riconduce a quanto abbiamo detto nella prima tesi, cioè che la rivelazione trascende la Scrittura in due direzioni: nella direzione verso Dio e in quella verso l'uomo che l'accetta.