È una risposta che fa pena, la mia, ma è sincera. Non ci ricordiamo di Gesù (da Diego Fabbri)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /04 /2011 - 18:20 pm | Permalink | Homepage
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da Processo a Gesù, di Diego Fabbri

ELIA (agli spettatori): Lo vedo, lo vedo bene! Ma come mai, finora, eravate tutti rimasti indifferenti, o quasi? Io debbo dire francamente che non supponevo che molti di voi nascondessero nel cuore una fede cosi tenace in Gesù di Nazareth. Me ne rendo conto in questo momento, e ne sono turbato... sì, scosso. Perché — vi domando, o egregi ascoltatori — perché con la certezza che custodite in fondo al cuore, perché con lo slancio, direi quasi con la violenza, che avete manifestato adesso contro di noi, che volevamo, sia pure simbolicamente, condannarlo ancora, perché non siete stati capaci di cambiare il mondo? Perché non lo cambiate? Che cosa vi manca? Perché nascondete, invece di manifestarlo, quel che avete di prezioso dentro di voi? Ditemelo!

LA BIONDA (fervida, ma abbandonata, con un tono del tutto diverso da prima): Lei ha toccato il punto giusto, signor giudice. E io darò la mia risposta. Posso?

ELIA: Dica, dica pure.

LA BIONDA (sospira): È una risposta che fa pena, la mia, ma è sincera. (Pausa, più piano:) Non ci pensiamo. Non ce ne ricordiamo. È — come dice lei — dentro, in fondo, sepolto... Non viene su... E facciamo tutto... come se quel sentimento non fosse in noi... — giornate intere, sa, mesi... talvolta anche anni, senza pensarci...

IL PROVINCIALE (incalzando): E quelle poche volte che ci pensiamo...ci vergogniamo. Sì, sì, ci vergogniamo!

LA BIONDA: È verissimo! Stasera è stato un caso. Non so dove l'abbiamo trovato — tutti — il coraggio di saltar su, d'infiammarci in questo modo! Non lo so proprio!

IL PROVINCIALE (pacato): Ci vergogniamo di Gesù detto il Nazzareno... (e si segna con il suo gesto rapido e un po' furtivo). Ecco, secondo me, eccola la ragione perché non cambiamo il mondo. Noi almeno. Come facciamo a cambiarlo se non abbiamo nemmeno il coraggio di dire che lo conosciamo. Lei, signor giudice, lei e i suoi seguaci, non hanno fatto altro, ci ha detto, che discutere e affannarsi per anni e anni intorno a Gesù detto il Nazzareno: noi, i cristiani, ce ne ricordiamo sì e no, veramente, sul punto di morte. È la vergogna, signore mio, la stessa vergogna che deve aver provato san Pietro quando ha detto: «Non lo conosco... mai visto...» — e stavano per ammazzarlo.

Io, perché son capitato, qui, stasera? Non lo so davvero. Io, alla sera, vado altrove: al cinema… insomma, altrove... Stasera mi sono infilato qui, a caso... Ingresso libero, ho letto. Non sapevo nemmeno che cosa si facesse. Sarà comunque uno spettacolo, mi son detto. Vi debbo anzi confessare che se avessi saputo che c'era di mezzo un discorso su Gesù detto il Nazzareno, io, di certo, avrei tirato diritto.

SACERDOTE: Perché?

IL PROVINCIALE (lo guarda fissamente, poi piano): È timore. Non si ha mica il coraggio di imbattersi frequentemente in questo Gesù detto il Nazzareno. Io preferisco stare un po' alla larga. Bisogna sbattergli proprio la faccia contro... allora si deve affrontarlo. Allora, in un istante, accade quello che non è avvenuto in tanti anni... Si prende fuoco... si urla... si piange... ci si batte il petto... si osa parlare in pubblico... come me, adesso: non so chi me l'abbia dato questo coraggio.

Chi ci sente, adesso, io e la signora (indica la bionda) sembriamo dei... dei missionari, e invece siamo quello che siamo, siamo niente, proprio niente...

ELIA (caparbio, rivolgendosi ai Sacerdote): Lo, sa, la capisco la loro testimonianza, il loro controsenso di essere e di non voler essere; praticamente, di essere cristiani a loro insaputa, e bisogna quasi prenderli a tradimento per farli sbottare... — è perfino commovente: personaggi evangelici, direi; come se incontrassero la prima volta Gesù di Nazareth. Li capisco. (...)