Cristocentrismo è teocentrismo (da J. Ratzinger)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /04 /2011 - 14:29 pm | Permalink | Homepage
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da J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, p. 39, 39-40, 41, 42-43

Il puro gesuismo è un’evasione senza prospettive, è il plagio di un cristocentrismo che non raggiunge il suo scopo. Ciò che Cristo ha messo in risalto è Dio, la sua filiazione divina. Se, in lui, Dio è veramente divenuto uomo, allora egli rimane determinante per tutti i tempi. Allora, e solo allora, egli è insostituibile. E, in questo caso, acquista importanza anche il suo essere uomo. Infatti, questo suo essere uomo mostra chi è Dio; quest’uomo allora è una via. Il Cristo, il Figlio di Dio, fa di Gesù, dell’uomo, qualcosa di prezioso e unico nel suo genere. Dimenticare quest’aspetto divino non significa scoprire l’uomo Gesù, ma dissolverlo per amore di propri ideali. Pertanto, un cristocentrismo ha senso solo se riconosce in Gesù il Cristo, se è teocentrismo. [...]

Oggi, in opposizione a vuoti ed inutili gesuismi, appare evidente che qualcosa è accaduto solo se è vero che Gesù è Figlio di Dio. Proprio quest’essere è l’evento da cui tutto dipende. Tutto il resto – imprese, pensieri, programmi – può essere oggetto della rassegnata affermazione del predicatore: «Niente di nuovo sotto il sole». Ma se questo «è» si è veramente verificato, se realmente Dio è divenuto uomo, abbiamo una irruzione la cui drammaticità non può essere superata. Solo allora Dio ha operato. L'essere-Dio di Gesù è l'agire di Dio, il suo atto, che costituisce il fondamento dell'"attualità" della predicazione; finché essa si basa su quest'atto, conserva un interesse oggettivo. Se lo abbandona, diventa insignificante, anche se è resa soggettivamente interessante. [...]

In tal modo, l’identità della chiesa si fonda sull’identità del suo Signore, che nei sacramenti la crea in maniera sempre nuova. Ma riappare allora una realtà dalla doppia faccia: senza chiesa Cristo scompare nel passato; senza Cristo, il Risorto, il Figlio di Dio, la chiesa diviene una semplice organizzazione priva di unità interna. [...]

Quindi, nel Nuovo Testamento, resta fermo il fatto che Dio è l’unico (1Cor 8,4); ma, contemporaneamente, troviamo l’altro fatto, che esiste un «Figlio di Dio», nel quale Dio è divenuto il «Dio con noi», che agisce ed opera in noi e grazie al quale veniamo introdotti nell’interiorità di Dio. Risalendo da questa duplice serie di fatti, risulta che Dio è uno e trino, porta in sé il momento della Trinità senza perdere l'unità. Nel Nuovo Testamento, quindi, non si parla della Trinità in modo speculativo, ma se ne parla in quanto è diventata la forma della nostra esistenza, o, viceversa, si tratta della nostra esistenza in quanto questa è divenuta trinitaria: nello Spirito, per opera di Cristo, la nostra vita è sulla via che va al Padre. Ciò significa che la predicazione trinitaria della Scrittura prende avvio dalla persona storica di Gesù Cristo e dal fatto storico dell'effusione dello Spirito Santo. In altre parole, la predicazione trinitaria della Scrittura si identifica con il suo cristocentrismo, con il suo messaggio dell'agire di Dio nei confronti del mondo e dell'uomo. Anche qui vale quanto detto in cristologia: il carattere ontologico della Trinità è centrale per il contenuto di realtà del cristianesimo, ma non è contro l'evento, perché si dischiude proprio nell'evento dell'azione di Dio nei nostri confronti.

Il riconoscere che la Scrittura è il fondamento di ogni predicazione [questione che J. Ratzinger affronta e specifica più avanti nel libro], per il nostro problema comporta quanto segue: la predicazione della Trinità deve essere predicazione basata sulla storia della salvezza. La nostra predicazione allora è giustamente trinitaria, quando annuncia l'effettiva determinatezza dell'esistenza umana, fondata sulla Trinità, se essa sgorga perciò dalla realtà del nostro essere in Cristo per opera dello Spirito Santo e del nostro andare al Padre per opera di Gesù Cristo. Essa è trinitaria quando si articola con una struttura che concorda con la forma strutturale che Paolo ha dato all'esistenza cristiana: «Per lui abbiamo, in un medesimo Spirito, accesso al Padre» (Ef 2,18). Non sarebbe invece trinitaria, se sapesse diffondersi in speculazioni sulla Trinità e si scordasse, oltre che della profonda intimità della vita trinitaria in se stessa, dell'inserimento del cristiano nella Trinità. Anche qui vale quanto detto in cristologia: il carattere ontologico della Trinità è centrale per il contenuto di realtà del cristianesimo, ma esso non è contro l'evento, perché si dischiude proprio nell'evento dell'azione di Dio nei nostri confronti. Una seconda tesi [la prima è che il cristocentrismo presuppone l'evento dell'incarnazione e, in ultima analisi, non è altro che teocentrismo] potrebbe quindi suonare così: una predicazione trinitaria equivale ad una predicazione cristocentrica; è cioè interpretazione del cammino dell’esistenza cristiana verso il Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito.