Sacerdoti e vescovi nell’ottica di Cristo (da Benedetto XVI)
dalla Lectio divina su At 20,17-38 (il discorso di Mileto) di Benedetto XVI nell’incontro con i parroci e i sacerdoti della diocesi di Roma, 11/3/2011
"Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio" (v. 28). Qui due parole sono importanti. In primo luogo: "lo Spirito Santo vi ha costituiti"; cioè, il sacerdozio non è una realtà in cui uno trova un’occupazione, una professione utile, bella, che gli piace e che si sceglie. No! Siamo costituiti dallo Spirito Santo. Solo Dio può farci sacerdoti, solo Dio può scegliere i suoi sacerdoti e, se siamo scelti, siamo scelti da Lui. Qui appare chiaramente il carattere sacramentale del presbiterato e del sacerdozio, che non è una professione che deve essere svolta perché qualcuno deve amministrare le cose, deve anche predicare. Non è una cosa che facciamo noi, semplicemente. E’ un’elezione dello Spirito Santo e in questa volontà dello Spirito Santo, volontà di Dio, viviamo e cerchiamo sempre più di lasciarci prendere nelle mani dallo Spirito Santo, dal Signore stesso.
In secondo luogo: "costituiti come custodi, per essere pastori". La parola che qui, nella traduzione italiana, suona "custodi" è in greco "episkopos". San Paolo parla ai presbiteri, ma qui li chiama "episkopoi". Possiamo dire che, nell’evoluzione della realtà della Chiesa, i due ministeri non erano ancora chiaramente divisi e distinti, sono ancora evidentemente l’unico sacerdozio di Cristo ed essi, i presbiteri, sono anche "episkopoi". La parola "presbitero" viene soprattutto dalla tradizione ebraica, dove vigeva il sistema degli "anziani", dei "presbiteri", mentre la parola "episkopos" è stata creata – o trovata – nell’ambito della Chiesa dai pagani, e viene dal linguaggio dell’amministrazione romana. "Episkopoi" sono quelli che sorvegliano, che hanno una responsabilità amministrativa nel sorvegliare l’andamento delle cose. I cristiani hanno scelto questa parola nell’ambito pagano-cristiano per esprimere l’ufficio del presbitero, del sacerdote, ma naturalmente ciò ha cambiato subito il significato della parola.
La parola "episkopoi" è stata subito identificata con la parola "pastori". Cioè, sorvegliare è "pascolare", fare il lavoro del pastore: in realtà ciò è diventato subito "poimainein", "pascolare" la Chiesa di Dio; è pensato nel senso di questa responsabilità per gli altri, di questo amore per il gregge di Dio. E non dimentichiamo che, nell’antico Oriente, "pastore" era il titolo dei re: essi sono i pastori del gregge, che è il popolo. In seguito, il re-Cristo trasforma interiormente – essendo il vero re – questo concetto. E’ il Pastore che si fa agnello, il pastore che si fa uccidere per gli altri, per difenderli contro il lupo; il pastore il cui primo significato è amare questo gregge e così dare vita, nutrire, proteggere. Forse questi sono i due concetti centrali per questo ufficio del "pastore": nutrire facendo conoscere la Parola di Dio, non solo con le parole, ma testimoniandola per volontà di Dio; e proteggere con la preghiera, con tutto l’impegno della propria vita.
Pastori, l’altro significato che hanno percepito i Padri nella parola cristiana "episkopoi" è: uno che sorveglia non come un burocrate, ma come uno che vede dal punto di vista di Dio, cammina verso l’altezza di Dio e nella luce di Dio vede questa piccola comunità della Chiesa. Questo è importante anche per un pastore della Chiesa, per un sacerdote, un "episkopos": che veda dal punto di vista di Dio, cerchi di vedere dall’alto, nel criterio di Dio e non secondo le proprie preferenze, ma come giudica Dio. Vedere da questa altezza di Dio e così amare con Dio e per Dio.
"Essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio" (v. 28). Qui troviamo una parola centrale sulla Chiesa. La Chiesa non è un’organizzazione che man mano si è formata; la Chiesa è nata nella Croce. Il Figlio ha acquistato la Chiesa nella Croce e non solo la Chiesa di quel momento, ma la Chiesa di tutti i tempi. Ha acquistato con il suo sangue questa porzione del popolo, del mondo, per Dio. E questo mi sembra che debba farci pensare. Cristo, Dio ha creato la Chiesa, la nuova Eva, con il suo sangue. Così ci ama e ci ha amati, e questo è vero in ogni momento. E questo ci deve anche far capire come la Chiesa è un dono; essere felici che siamo chiamati ad essere Chiesa di Dio; avere gioia di appartenere alla Chiesa. Certo, ci sono anche sempre aspetti negativi, difficili, ma in fondo deve rimanere questo: è un dono bellissimo che posso vivere nella Chiesa di Dio, nella Chiesa che il Signore si è acquistata con il suo sangue. Essere chiamati a conoscere realmente il volto di Dio, conoscere la sua volontà, conoscere la sua Grazia, conoscere questo amore supremo, questa Grazia che ci guida e ci tiene per mano. Felicità di essere Chiesa, gioia di essere Chiesa. Mi sembra che dobbiamo re-imparare questo. La paura del trionfalismo ci ha fatto forse un po’ dimenticare che è bello essere nella Chiesa, e che questo non è trionfalismo, ma è umiltà, essere grati per il dono del Signore.