Perché la croce di Cristo? (da Carlo Maria Martini)
da Carlo Maria Martini, Corriere della Sera 31 gennaio 2010
Caro Cardinale, perché Gesù per salvare l’uomo è dovuto morire e morire sulla croce? Fede a parte— non sono credente, ma ringrazio di essere nato cristiano — desidererei capire la logica che porta la religione a questa affermazione.
Paolo Spinoglio, Roma
Ho ricevuto da tempo questa lettera, ma l’ho sempre tenuta da parte, con altre simili, perché essa ci pone di fronte a un problema immenso, sul quale faccio fatica a esprimermi brevemente. Infatti tutta la teologia cristiana si muove attorno a questa domanda, formulata già in parte da S. Anselmo nel secolo XI: Cur Deus homo crucifixus? (perché Dio si è fatto uomo e si è lasciato crocifiggere?).
Come dice Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Fides et ratio (1998): «Impegno primario della teologia, in questo orizzonte, diventa l’intelligenza della kenosi (svuotamento) di Dio, vero grande mistero per la mente umana, alla quale appare insostenibile che la sofferenza e la morte possano esprimere l'amore che si dona senza nulla chiedere in cambio» (n. 93).
Questa domanda tiene in costante ebollizione il pensiero teologico. Un tempo si insisteva molto sulla gravità del peccato dell’uomo, che traspare in eccedenza dal volto di Cristo crocifisso. Oggi si pensa anche a un gesto di amore invincibile e insuperabile: amore e morte si richiamano a vicenda. Il Crocifisso è letto già nella Trinità. Non posso qui dire altro, ma è evidente che tale problema continuerà a occupare la teologia anche nel futuro. Ma beati coloro che fin d’ora si affidano a questa certezza, che non proviene da un ragionamento, ma da un fatto!
Caro Cardinale, perché Gesù per salvare l’uomo è dovuto morire e morire sulla croce? Fede a parte— non sono credente, ma ringrazio di essere nato cristiano — desidererei capire la logica che porta la religione a questa affermazione.
Paolo Spinoglio, Roma
Ho ricevuto da tempo questa lettera, ma l’ho sempre tenuta da parte, con altre simili, perché essa ci pone di fronte a un problema immenso, sul quale faccio fatica a esprimermi brevemente. Infatti tutta la teologia cristiana si muove attorno a questa domanda, formulata già in parte da S. Anselmo nel secolo XI: Cur Deus homo crucifixus? (perché Dio si è fatto uomo e si è lasciato crocifiggere?).
Come dice Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Fides et ratio (1998): «Impegno primario della teologia, in questo orizzonte, diventa l’intelligenza della kenosi (svuotamento) di Dio, vero grande mistero per la mente umana, alla quale appare insostenibile che la sofferenza e la morte possano esprimere l'amore che si dona senza nulla chiedere in cambio» (n. 93).
Questa domanda tiene in costante ebollizione il pensiero teologico. Un tempo si insisteva molto sulla gravità del peccato dell’uomo, che traspare in eccedenza dal volto di Cristo crocifisso. Oggi si pensa anche a un gesto di amore invincibile e insuperabile: amore e morte si richiamano a vicenda. Il Crocifisso è letto già nella Trinità. Non posso qui dire altro, ma è evidente che tale problema continuerà a occupare la teologia anche nel futuro. Ma beati coloro che fin d’ora si affidano a questa certezza, che non proviene da un ragionamento, ma da un fatto!