Liturgia africana (da Benedetto XVI)
dal discorso di Benedetto XVI nell’udienza alla Curia romana del 21/12/2009
In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle Celebrazioni liturgiche [in Camerun ed Angola]. Le Celebrazioni della Santa Eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente plasmava, per così dire, ogni singolo gesto. Il Signore è presente – il Creatore, Colui al quale tutto appartiene, dal quale noi proveniamo e verso il quale siamo in cammino.
In modo spontaneo mi venivano in mente le parole di san Cipriano, che nel suo commento al Padre Nostro scrive: "Ricordiamoci di essere sotto lo sguardo di Dio rivolto su di noi. Dobbiamo piacere agli occhi di Dio, sia con l’atteggiamento del nostro corpo che con l’uso della nostra voce" (De dom. or. 4 CSEL III 1 p 269). Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano "sobria ebrietas": l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole.
In modo particolarmente profondo si è impresso nella mia memoria il ricordo delle Celebrazioni liturgiche [in Camerun ed Angola]. Le Celebrazioni della Santa Eucaristia erano vere feste della fede. Vorrei menzionare due elementi che mi sembrano particolarmente importanti. C’era innanzitutto una grande gioia condivisa, che si esprimeva anche mediante il corpo, ma in maniera disciplinata ed orientata dalla presenza del Dio vivente. Con ciò è già indicato il secondo elemento: il senso della sacralità, del mistero presente del Dio vivente plasmava, per così dire, ogni singolo gesto. Il Signore è presente – il Creatore, Colui al quale tutto appartiene, dal quale noi proveniamo e verso il quale siamo in cammino.
In modo spontaneo mi venivano in mente le parole di san Cipriano, che nel suo commento al Padre Nostro scrive: "Ricordiamoci di essere sotto lo sguardo di Dio rivolto su di noi. Dobbiamo piacere agli occhi di Dio, sia con l’atteggiamento del nostro corpo che con l’uso della nostra voce" (De dom. or. 4 CSEL III 1 p 269). Sì, questa consapevolezza c’era: noi stiamo al cospetto di Dio. Da questo non deriva paura o inibizione, neppure un’obbedienza esteriore alle rubriche e ancor meno un mettersi in mostra gli uni davanti agli altri o un gridare in modo indisciplinato. C’era piuttosto ciò che i Padri chiamavano "sobria ebrietas": l’essere ricolmi di una gioia che comunque rimane sobria ed ordinata, che unisce le persone a partire dall’interno, conducendole nella lode comunitaria di Dio, una lode che al tempo stesso suscita l’amore del prossimo, la responsabilità vicendevole.