Il '68 ed il rifiuto della paternità (da S. Picciaredda)
(da Il ’68 dei cattolici, di Stefano Picciaredda, pubblicato sulla Rivista telematica www.statoechiese.it , maggio 2009)
dalla Memoria di Fiorella Farinelli, nel 1968 studentessa nell’Università di Roma, cit. da P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. II. Dal “miracolo economico” agli anni ’80, Einaudi, Torino 1989, p. 413.
La scritta più bella sui muri della mia facoltà me la ricordo in maniera nettissima, tra tutte quelle che c’erano: “Voglio essere orfano”. L’ho condivisa, l’ho fotografata, mi sono portata il manifesto a casa, era quella che a me piaceva di più.
da un ciclostilato, opera di un gruppo “provos” milanese, apparso su Che fare?, citato da F. Leonetti, Le scelte del Sessantotto, Associazione culturale Leoncavallo libri, Milano 1997, p. 49.
Non siamo figli né padri di nessuno, siamo uomini che non vogliono credere in niente e a nessuno: senza dio, senza famiglia, senza patria, senza religione, senza legge, senza governo, senza stato, senza polizia (…) Ecco, siamo dei bastardi.
Due citazioni che esprimono la volontà di orfananza di una parte dei giovani verso la fine degli anni ’60. Tale volontà rappresenta una delle caratteristiche essenziali del movimento del ’68: lo strappo dai padri e dalle madri, dalle dipendenze verticali, dalle istituzioni, dalle tradizioni, dalle eredità. Strappare e cambiare. Tutto andava ripensato radicalmente: famiglia, Stato, Chiesa, autorità, abitudini di vita, di studio, di consumo, di lavoro, di socialità, di espressione della sessualità, contestando i modelli che la società proponeva a quella prima generazione di giovani cresciuti negli anni del miracolo economico italiano. Finiva – scrivono Flores e De Bernardi – quella “continuità di trasmissione generazionale di valori, ruoli, professioni, che configurava un destino della discendenza” (M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto, il Mulino, Bologna 1998, p. 167).
dalla Memoria di Fiorella Farinelli, nel 1968 studentessa nell’Università di Roma, cit. da P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. II. Dal “miracolo economico” agli anni ’80, Einaudi, Torino 1989, p. 413.
La scritta più bella sui muri della mia facoltà me la ricordo in maniera nettissima, tra tutte quelle che c’erano: “Voglio essere orfano”. L’ho condivisa, l’ho fotografata, mi sono portata il manifesto a casa, era quella che a me piaceva di più.
da un ciclostilato, opera di un gruppo “provos” milanese, apparso su Che fare?, citato da F. Leonetti, Le scelte del Sessantotto, Associazione culturale Leoncavallo libri, Milano 1997, p. 49.
Non siamo figli né padri di nessuno, siamo uomini che non vogliono credere in niente e a nessuno: senza dio, senza famiglia, senza patria, senza religione, senza legge, senza governo, senza stato, senza polizia (…) Ecco, siamo dei bastardi.
Due citazioni che esprimono la volontà di orfananza di una parte dei giovani verso la fine degli anni ’60. Tale volontà rappresenta una delle caratteristiche essenziali del movimento del ’68: lo strappo dai padri e dalle madri, dalle dipendenze verticali, dalle istituzioni, dalle tradizioni, dalle eredità. Strappare e cambiare. Tutto andava ripensato radicalmente: famiglia, Stato, Chiesa, autorità, abitudini di vita, di studio, di consumo, di lavoro, di socialità, di espressione della sessualità, contestando i modelli che la società proponeva a quella prima generazione di giovani cresciuti negli anni del miracolo economico italiano. Finiva – scrivono Flores e De Bernardi – quella “continuità di trasmissione generazionale di valori, ruoli, professioni, che configurava un destino della discendenza” (M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto, il Mulino, Bologna 1998, p. 167).