Simbolo degli Apostoli (da Manlio Simonetti)
da M. Simonetti, Introduzione a Rufino, Spiegazione del credo, Città nuova, Roma, 1993, pp. 13-16
Il testo del Simbolo in uso nella Chiesa di Roma (= R) ci è stato tramandato da Rufino in latino e da Marcello d’Ancira in greco (340 ca.). Nonostante differisca solo leggermente dal Simbolo degli apostoli, per comodità del lettore ne diamo la traduzione italiana:
Credo in Dio Padre onnipotente;
e in Cristo Gesù suo unico Figlio, nostro Signore,
che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine;
che sotto Ponzio Pilato fu crocifisso e sepolto,
il terzo giorno è risuscitato dai morti,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre,
donde verrà a giudicare i vivi e i morti;
e nello Spirito Santo;
la santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne.
Come si rileva a prima vista, la struttura di questa professione di fede non è molto armonica: infatti nella ripartizione in tre articoli («Credo nel Padre... nel Figlio... nello Spirito Santo») il secondo articolo è molto più esteso degli altri due. Per spiegare l’origine di questa asimmetria, bisogna rifarsi a [...] l’esistenza di embrionali e non ancora ben fissate formulazioni di fede, che potevano essere o soltanto cristologiche, oppure in forma binaria e ternaria, a seconda che menzionavano o il Padre e il Figlio o tutte e tre le persone trinitarie. Dato questo stato di cose, è opinione ormai generalizzata fra gli studiosi che R abbia tratto origine da una formula ternaria nella quale il secondo membro sarebbe stato ampiamente dilatato mediante l’inserzione di una formula cristologica. Il motivo dell’inserzione andrebbe ravvisato nell’esigenza di far fronte, mediante il maggiore sviluppo della sezione cristologica della formula, alle dottrine erronee che [...] nei tempi più antichi avevano per oggetto soprattutto la reale umanità di Cristo: si spiega in tal senso l’insistenza del Simbolo sulla vicenda terrena di Gesù. Nulla sappiamo di preciso circa il luogo e il tempo in cui sarebbe stata operata questa fusione: possiamo con prudenza ipotizzare nei primi decenni del II secolo in Asia Minore, luogo di origine delle dottrine di tipo doceta.
Perché poi questa formula di fede diventata ufficiale nella Chiesa di Roma sia stata chiamata Simbolo (symbolon, -lum), non risulta molto chiaro. Le spiegazioni che Rufino dà nel c. 2 della sua Spiegazione del Simbolo non convincono gli studiosi moderni. Si è pensato ad un influsso delle religioni misteriche dove sembra che stereotipate formule di fede fossero chiamate appunto symbola. Ma forse non è molto lontana dal vero una delle due spiegazioni proposte da Rufino, quella cioè che considera il Simbolo come un signum, un segno, un emblema distintivo della religione cristiana.
La testimonianza di Marcello e di Rufino circa l’uso di R a Roma ci riporta al IV e al V secolo; ma noi siamo sicuri che tale uso era molto più antico (1).
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Note al testo
(1) Fino alla metà del III secolo la lingua ufficiale della liturgia romana fu il greco: perciò il testo originario di R fu certamente redatto in questa lingua; ma anche la traduzione in latino dovette essere molto antica, per venire incontro a coloro che tale lingua ignoravano.
Il testo del Simbolo in uso nella Chiesa di Roma (= R) ci è stato tramandato da Rufino in latino e da Marcello d’Ancira in greco (340 ca.). Nonostante differisca solo leggermente dal Simbolo degli apostoli, per comodità del lettore ne diamo la traduzione italiana:
Credo in Dio Padre onnipotente;
e in Cristo Gesù suo unico Figlio, nostro Signore,
che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine;
che sotto Ponzio Pilato fu crocifisso e sepolto,
il terzo giorno è risuscitato dai morti,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre,
donde verrà a giudicare i vivi e i morti;
e nello Spirito Santo;
la santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne.
Come si rileva a prima vista, la struttura di questa professione di fede non è molto armonica: infatti nella ripartizione in tre articoli («Credo nel Padre... nel Figlio... nello Spirito Santo») il secondo articolo è molto più esteso degli altri due. Per spiegare l’origine di questa asimmetria, bisogna rifarsi a [...] l’esistenza di embrionali e non ancora ben fissate formulazioni di fede, che potevano essere o soltanto cristologiche, oppure in forma binaria e ternaria, a seconda che menzionavano o il Padre e il Figlio o tutte e tre le persone trinitarie. Dato questo stato di cose, è opinione ormai generalizzata fra gli studiosi che R abbia tratto origine da una formula ternaria nella quale il secondo membro sarebbe stato ampiamente dilatato mediante l’inserzione di una formula cristologica. Il motivo dell’inserzione andrebbe ravvisato nell’esigenza di far fronte, mediante il maggiore sviluppo della sezione cristologica della formula, alle dottrine erronee che [...] nei tempi più antichi avevano per oggetto soprattutto la reale umanità di Cristo: si spiega in tal senso l’insistenza del Simbolo sulla vicenda terrena di Gesù. Nulla sappiamo di preciso circa il luogo e il tempo in cui sarebbe stata operata questa fusione: possiamo con prudenza ipotizzare nei primi decenni del II secolo in Asia Minore, luogo di origine delle dottrine di tipo doceta.
Perché poi questa formula di fede diventata ufficiale nella Chiesa di Roma sia stata chiamata Simbolo (symbolon, -lum), non risulta molto chiaro. Le spiegazioni che Rufino dà nel c. 2 della sua Spiegazione del Simbolo non convincono gli studiosi moderni. Si è pensato ad un influsso delle religioni misteriche dove sembra che stereotipate formule di fede fossero chiamate appunto symbola. Ma forse non è molto lontana dal vero una delle due spiegazioni proposte da Rufino, quella cioè che considera il Simbolo come un signum, un segno, un emblema distintivo della religione cristiana.
La testimonianza di Marcello e di Rufino circa l’uso di R a Roma ci riporta al IV e al V secolo; ma noi siamo sicuri che tale uso era molto più antico (1).
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Note al testo
(1) Fino alla metà del III secolo la lingua ufficiale della liturgia romana fu il greco: perciò il testo originario di R fu certamente redatto in questa lingua; ma anche la traduzione in latino dovette essere molto antica, per venire incontro a coloro che tale lingua ignoravano.