Invidia nella Divina Commedia di Dante Alighieri (da Vittorio Sermonti)
da Vittorio Sermonti, Il Purgatorio di Dante, canto XIII, Rizzoli, Milano, 2004, p. 243
I lessici medievali sanzionano: «‘ti invidio’ vale ‘non ti vedo’, cioè ‘non sopporto di vedere il tuo bene’». E, in effetti, ‘invidiare’, alla radice, designa un’alterazione malevola e funesta della funzione visiva...
Gli Invidiosi, che non hanno tollerato di vedere la felicità del prossimo, che gliel’hanno iettata (‘gufata’ si direbbe oggi), perché in quella accusavano una diminuzione della propria, eccoli qua, vestiti di livido contro il lividore della roccia a espiazione di vecchi livori (altro mezzo circuito etimologico), affastellati quasi a crescere l’uno sull’altro, con le palpebre cucite. Ma riescono a piangere: e proprio questo pianto faticoso e buio promette a questi ciechi il recupero del bene della vista, la restituzione del sole.
“O gente sicura/ (...) di veder l’alto lume/ che ’l disio vostro solo ha in cura”, li interpella il pellegrino Dante...
I lessici medievali sanzionano: «‘ti invidio’ vale ‘non ti vedo’, cioè ‘non sopporto di vedere il tuo bene’». E, in effetti, ‘invidiare’, alla radice, designa un’alterazione malevola e funesta della funzione visiva...
Gli Invidiosi, che non hanno tollerato di vedere la felicità del prossimo, che gliel’hanno iettata (‘gufata’ si direbbe oggi), perché in quella accusavano una diminuzione della propria, eccoli qua, vestiti di livido contro il lividore della roccia a espiazione di vecchi livori (altro mezzo circuito etimologico), affastellati quasi a crescere l’uno sull’altro, con le palpebre cucite. Ma riescono a piangere: e proprio questo pianto faticoso e buio promette a questi ciechi il recupero del bene della vista, la restituzione del sole.
“O gente sicura/ (...) di veder l’alto lume/ che ’l disio vostro solo ha in cura”, li interpella il pellegrino Dante...