Barbaro o scita, Col 3,11 (da Giancarlo Biguzzi)
da Giancarlo Biguzzi, Avanti Cristo, dopo Cristo: Dionigi il piccolo e l’invenzione dell’era cristiana Avanti Cristo, dopo Cristo: Dionigi il piccolo e l'invenzione dell'era cristiana, originariamente pubblicato in “Eteria”, 2000.
La Scizia (Scytia Minor, o Dobrugia, nell’attuale Romania meridionale) che fin dai tempi di Eschilo, di Plutarco e dell’apostolo Paolo ha però avuto cattiva fama. Eschilo adopera l’espressione “popolino scita” per indicare quello che noi diremmo “un branco d’ignoranti” (Prometheus vinctus 417), Plutarco usa il termine “scita” come equivalente di “rozzo” («Diogene diceva di Demostene che nelle parole era uno scita, mentre in guerra era un uomo fine», Vitae decem oratorum 847.F.61) e l’apostolo Paolo mette gli “Sciti” in coppia con i “barbari” (Colossesi 3,11). Si può aggiungere che presso un grammatico del secondo secolo a.C. il “bere alla scita” è proverbiale così che “parlare in lingua scita” significa parlare come un ubriaco (cf. Ateneo, 221, e 499).
La Scizia (Scytia Minor, o Dobrugia, nell’attuale Romania meridionale) che fin dai tempi di Eschilo, di Plutarco e dell’apostolo Paolo ha però avuto cattiva fama. Eschilo adopera l’espressione “popolino scita” per indicare quello che noi diremmo “un branco d’ignoranti” (Prometheus vinctus 417), Plutarco usa il termine “scita” come equivalente di “rozzo” («Diogene diceva di Demostene che nelle parole era uno scita, mentre in guerra era un uomo fine», Vitae decem oratorum 847.F.61) e l’apostolo Paolo mette gli “Sciti” in coppia con i “barbari” (Colossesi 3,11). Si può aggiungere che presso un grammatico del secondo secolo a.C. il “bere alla scita” è proverbiale così che “parlare in lingua scita” significa parlare come un ubriaco (cf. Ateneo, 221, e 499).