Mendicanti del cielo (da Bruno Forte)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /07 /2009 - 10:30 am | Permalink | Homepage
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dalla relazione di mons. Bruno Forte, La Lettera ai cercatori di Dio: genesi e presentazione, 16 giugno 2009, al Convegno Nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani, Reggio Calabria, 2009, dal titolo “La nostra lettera siete voi... (2 Cor 3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo, condividere l’incontro con Cristo”

Come osserva il giovane Heidegger in Essere e tempo, vivere significa essere “gettati verso la morte”: all’immediata evidenza la vita appare come un lungo viaggio verso le tenebre, dove tutto sembra affondare nell’ultimo silenzio della morte. Per questo la vita è impastata di dolore: e per questo la vera domanda, quella sulla quale sta o cade la verità di ogni risposta, è e resta la domanda del dolore. Ogni pensiero nasce dal dolore della lacerazione e della morte. Se non esistesse la morte non esisterebbe il pensiero, non esisterebbe la vita, cioè la vita del pensiero che è la dignità del vivere di ciascuno di noi. È il patire, il morire che suscita in noi la domanda, accende la sete di ricerca, lascia aperto il bisogno di senso. Senza dolore non ci sarebbe la dignità dell’uomo che si interroga. Il dolore rivela allora la vita a se stessa più fortemente della morte, che lo produce, perché insegna che noi non siamo semplicemente dei gettati verso la morte, ma dei chiamati alla vita: il dolore è la felicità da cui siamo tutti attratti nel segno del suo contrario.
Un grande pensatore ebreo del Novecento, Franz Rosenzweig, apre la sua grande opera La stella della redenzione [...] con le parole: Dalla morte. La stessa opera si chiude con le parole: Verso la vita. È questo l’itinerario del pensare. Dalla morte ci facciamo pellegrini verso la vita. Il cammino dell’uomo sta tutto in questo prendere sul serio la tragicità della morte, non fuggendola, non stordendosi rispetto ad essa né nascondendola, come ha fatto troppo spesso la modernità. Se guardiamo negli occhi la morte, allora si compie il miracolo: vivere non sarà più soltanto imparare a morire, ma sarà un lottare per dare senso alla vita. Dove nasce la domanda, dove l’uomo non si arrende di fronte al destino della necessità, e quindi alla morte che vince col suo silenzio tutte le cose, lì si rivela la dignità della vita, il senso e la bellezza di esistere. Lì l’essere umano capisce di non essere solo gettato verso la morte, ma chiamato alla vita: lì si riconosce come un “mendicante del cielo”. L’uomo è un cercatore di senso, qualcuno che cerca la parola che riesca a vincere l’ultimo orizzonte della morte e dia valore alle opere e ai giorni, offrendo dignità e bellezza alla tragicità del nostro vivere e del nostro morire. Perciò la condizione dell’essere umano è quella del pellegrino. L’uomo è un cercatore della patria lontana, che da questo orizzonte si lascia permanentemente provocare, interrogare, sedurre.
Se l’esodo è la condizione umana, se l’uomo è un pellegrino verso la vita e un mendicante del cielo, la grande tentazione sarà quella di fermare il cammino, di sentirsi arrivati, non più esuli in questo mondo, ma possessori, dominatori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. Una tradizione ebraica racconta di alcuni giovani, che chiedono a un vecchio rabbino quando sia cominciato l’esilio di Israele. “L’esilio di Israele - risponde il Maestro - cominciò il giorno in cui Israele non soffrì più del fatto di essere in esilio”. L’esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è più nel cuore la struggente nostalgia della patria. L’esilio è di chi ha dimenticato il destino, la meta più grande, il cielo del desiderio e della speranza. Heidegger, parlando della “notte del mondo” nella quale ci troviamo, dice che essa è l’assenza di patria, perché il dramma dell’uomo moderno non è la mancanza di Dio, ma il fatto che egli non soffra più di questa mancanza. Il dramma è di non avvertire più il bisogno di superare la morte, è di considerare dimora e patria, e non esilio, questo tempo presente. L’illusione di sentirsi arrivati, il pretendersi soddisfatti, compiuti nella propria vicenda, questa è la malattia mortale. Si è morti quando il cuore non vive più l’inquietudine e la passione del domandare, il desiderio del cercare ancora, di trovare per ancora domandare e cercare. Quando non lascerai più che a guidare i Tuoi passi sia la stella splendente nella notte, allora avrai perso la Tua lotta con la morte. [...]
Martin Lutero avrebbe detto sul letto di morte: “Wir sind Bettler: hoc est verum!” – “Siamo dei poveri mendicanti, questa è la verità”. [...]

Fra le considerazioni a braccio espresse da mons. Forte ricordiamo:

Per Heidegger, la morte è una imminenza, una presenza sorda, nascosta.
Nietzsche ha insegnato non l’allegro trionfo su Dio, ma l’infinita orfananza che ne è nata. “Noi, gli assassini di tutti gli assassini”.
All’opposto si colloca Hegel, con la sua Fenomenologia dello Spirito. Hegel è veramente il filosofo della gioia, quando lo Spirito giunge ad autocomprendersi ed a bere al calice della gioia.
È Maritain ad aver inventato l’espressione “mendicanti del cielo”.
La domanda è il grande strumento della lotta dell’uomo contro la morte.