Tragicità dell’ateismo (da Bruno Forte)
dalla relazione di mons. Bruno Forte, La Lettera ai cercatori di Dio: genesi e presentazione, 16 giugno 2009, al Convegno Nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani, Reggio Calabria, 2009, dal titolo “La nostra lettera siete voi... (2 Cor 3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo, condividere l’incontro con Cristo”
Il cosiddetto ateo, quando lo è non per semplice qualificazione esteriore, ma per le sofferenze di una vita che lotta con Dio senza riuscire a credere in Lui, vive in una [...] condizione di ricerca, di viva e spesso dolorosa attesa. La non credenza non è la facile avventura di un rifiuto, che ti lascia come ti ha trovato. La non credenza seria - non negligente e banale - è passione e sofferenza, militanza di una vita che paga di persona l’amaro coraggio di non credere. Lo mostra, ad esempio, il celebre aforisma 125 della Gaia Scienza, dove Nietzsche racconta del folle che nella chiara luce del mattino andò sulla piazza del mercato, tenendo accesa la lucerna e gridando: “Cerco Dio, cerco Dio”. “Dov’è Dio? Si è addormentato o si è perso come un bambino?” - domandano gli altri, prendendosi gioco di lui. E lui grida le parole, che segnano il destino di un’epoca: “Dio è morto... e noi lo abbiamo ucciso!” Ma subito dopo quelle parole aggiunge: “Saremo noi degni della grandezza di questa azione?”. E denuncia la verità del dolore infinito di non credere, il senso di una notte che è sempre più notte, di un abbandono, che è percezione di un’infinita orfananza. Questa pagina mostra come il non credere, se serio, sia tragico nella sua consapevolezza, indissociabile dall’infinito dolore dell’assenza, da un senso di solitudine e d’abbandono, quale solo la morte di Dio può creare nel cuore dell’uomo, nella storia del mondo. Il non credente pensoso, come il credente non negligente, è per questo un uomo che lotta con Dio [...].
Il cosiddetto ateo, quando lo è non per semplice qualificazione esteriore, ma per le sofferenze di una vita che lotta con Dio senza riuscire a credere in Lui, vive in una [...] condizione di ricerca, di viva e spesso dolorosa attesa. La non credenza non è la facile avventura di un rifiuto, che ti lascia come ti ha trovato. La non credenza seria - non negligente e banale - è passione e sofferenza, militanza di una vita che paga di persona l’amaro coraggio di non credere. Lo mostra, ad esempio, il celebre aforisma 125 della Gaia Scienza, dove Nietzsche racconta del folle che nella chiara luce del mattino andò sulla piazza del mercato, tenendo accesa la lucerna e gridando: “Cerco Dio, cerco Dio”. “Dov’è Dio? Si è addormentato o si è perso come un bambino?” - domandano gli altri, prendendosi gioco di lui. E lui grida le parole, che segnano il destino di un’epoca: “Dio è morto... e noi lo abbiamo ucciso!” Ma subito dopo quelle parole aggiunge: “Saremo noi degni della grandezza di questa azione?”. E denuncia la verità del dolore infinito di non credere, il senso di una notte che è sempre più notte, di un abbandono, che è percezione di un’infinita orfananza. Questa pagina mostra come il non credere, se serio, sia tragico nella sua consapevolezza, indissociabile dall’infinito dolore dell’assenza, da un senso di solitudine e d’abbandono, quale solo la morte di Dio può creare nel cuore dell’uomo, nella storia del mondo. Il non credente pensoso, come il credente non negligente, è per questo un uomo che lotta con Dio [...].