Ricerca e scoperta di Dio (da Romano Penna)
da Romano Penna, Dialettica tra ricerca e scoperta di Dio nell’epistolario paolino, in Penna Romano, L’apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pp. 593-629 (articolo in cui il prof. Penna si sofferma su 1 Cor 1,20, Dov’è il ricercatore di questo mondo?, e su Rm 10,20=Is 65,1, Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano)
Nell’epistolario, il vocabolario di ricerca (ζητεω, επιζητεω, εκζητεω, συζητεω, ζητησις) non presenta mai «Dio» come oggetto dell’azione di ricerca; anzi, quando i due termini sono accostati è per negare esplicitamente la possibilità o almeno la fruttuosità di una tale ricerca. Certo, il concetto viene espresso pure con un altro e abbondante lessico del ricercare, ma esso riguarda normalmente non più il Dio «naturale», bensì quello «rivelato», «cristiano»; allora, la ricerca qualifica lo stato postbattesimale e pistico del cristiano. La stessa osservazione vale analogamente per il correlativo vocabolario del ritrovamento (ευρισκω, καταλαμβανω, επιτυγχανω ecc.).
(p. 593)
La ricerca di Dio, che pur è una dimensione connaturale all’uomo, fallisce il risultato perché, imprevedibilmente, lo specifico Dio cristiano si colloca al di fuori della sua prospettiva (cfr. Rom 9,16). Egli viene scoperto solo per autorivelazione, non per ricerca. La sua attingibilità è essa stessa un fatto gratuito.
(p. 612)
Nelle lettere paoline ricorre sette volte questa formula [εις αυτον; ad es. «per lui sono tutte le cose» e «noi siamo per lui»]
[...] Lo εις αυτον afferma che l’autorivelazione di Dio presuppone e si innesta proprio su quella nativa capacità, anche se essa da sola resta improduttiva.
Veniamo pertanto a costatare, nel pensiero dell’Apostolo, l’esistenza di un’originale dialettica tra ricerca e scoperta; essa si configura come segue.
Il primo momento che è dato rilevare consiste nello sforzo umano, apparentemente autonomo, di porsi alla ricerca di Dio, della sua natura o della sua volontà; tale movimento, però, si svolge in termini inadeguati rispetto alla «sapienza di Dio misteriosa, nascosta, da lui predeterminata prima dei secoli» (1Cor 2,7); quindi, anche ciò che viene trovato risulta inadeguato sia ai progetti di Dio sia alla vera liberazione dell’uomo.
Il secondo momento (logico, ma anche cronologico) consiste in una autonoma autorivelazione di Dio, il quale, con una insospettata proposta non solo di se stesso quanto anche del proprio piano salvifico (incentrato sulla giustificazione dell’empio mediante la fede nella fecondità del sangue di Cristo), supera e sconfigge l’a priori della ricerca umana facendosi vedere ben più grande dei suoi presupposti e delle sue possibilità sia intellettuali che ascetiche; Dio diventa così, a sorpresa, oggetto di una scoperta donata (cfr. Rom 10,20).
A un dono siffatto, tuttavia, come terzo momento, consegue non la stasi soddisfatta di chi può cullarsi nella contemplazione passiva di un possesso ormai tranquillamente padroneggiato. La ricerca, infatti, non è interrotta, ma solo prosegue in termini nuovi: davanti al cristiano stanno pur sempre «le profondità di Dio», che il Pneuma battesimale aiuta a indagare (1Cor 2,9-10), con una preoccupazione non di fuga ma di inserzione delle «cose di lassù» nella comune cornice della vita quotidiana (Col 3,1 e contesto). Ogni momento dell’esistenza cristiana, in questo modo, può rappresentare una possibilità di accesso al Dio che, mediante Cristo e nello Spirito, ha sconvolto i nostri modi naturali di tensione verso di lui soltanto per venirci incontro nella sua vera identità di Salvatore storico e gratuito, quale l’uomo da solo avrebbe fallito. Potremmo dire, in un certo senso, che il nativo εις αυτον si tramuta semplicemente nel più preciso e biblico προς τον θεον.
Ma rimane ancora sempre una scoperta da fare, poiché Dio (non solo il Dio naturale ma anche e ancor più il Dio cristiano) è «insondabile e ininvestigabile» (Rom 11,33). Si giustifica quindi ogni cammino anche a tentoni della fede stessa: credere, infatti, tutt’altro che disporre boriosamente di Dio, significa solo collocarsi con umiltà nell’onda del suo mistero. Non per nulla, l’autore paolino di Ef prega «affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi conceda uno Spirito di sapienza e di illuminazione per conoscere… quale sia la traboccante grandezza della sua potenza verso di noi credenti» (1,17.19; cfr. 3,18).
(pp. 628-629).
Occorre sempre ribadire che la ricerca cristiana (paolina) di Dio non è mai una fuga dal mondo. Questo tema invece percorre tutta l’antica letteratura extrabiblica: da Platone (Teet. 176a: «Ecco dunque tale sforzo si impone: dal basso, di qui verso l’alto fuggire al più presto; e la fuga è assimilazione a Dio nella misura del possibile») fino a Plotino (cfr. la conclusione delle Enneadi VI 9,11: «Ecco la vita degli dèi e degli uomini divini e beati: separazione dalle restanti cose di quaggiù, vita cui non aggrada più cosa terrena, fuga di solo a Solo»), passando soprattutto per lo gnosticismo e la sua nota svalutazione del mondo. Esso, però, si può dire estraneo al NT e a Paolo in particolare, dove l’a priori kerigmatico non è la tensione dell’uomo fuori di sé verso il divino, ma la ricerca agapica operata da Dio stesso nei confronti dell’uomo, che è visto e lasciato nella sua realtà «mondana» solo purificata dal peccato (cfr. Rom 5,8-9; 1Cor 7,20-24; Col 2,20-22) ed esposta alla svolta escatologica (cfr. Rom 8,19-25; 1Cor 7,29-31).
(p. 629)
Nell’epistolario, il vocabolario di ricerca (ζητεω, επιζητεω, εκζητεω, συζητεω, ζητησις) non presenta mai «Dio» come oggetto dell’azione di ricerca; anzi, quando i due termini sono accostati è per negare esplicitamente la possibilità o almeno la fruttuosità di una tale ricerca. Certo, il concetto viene espresso pure con un altro e abbondante lessico del ricercare, ma esso riguarda normalmente non più il Dio «naturale», bensì quello «rivelato», «cristiano»; allora, la ricerca qualifica lo stato postbattesimale e pistico del cristiano. La stessa osservazione vale analogamente per il correlativo vocabolario del ritrovamento (ευρισκω, καταλαμβανω, επιτυγχανω ecc.).
(p. 593)
La ricerca di Dio, che pur è una dimensione connaturale all’uomo, fallisce il risultato perché, imprevedibilmente, lo specifico Dio cristiano si colloca al di fuori della sua prospettiva (cfr. Rom 9,16). Egli viene scoperto solo per autorivelazione, non per ricerca. La sua attingibilità è essa stessa un fatto gratuito.
(p. 612)
Nelle lettere paoline ricorre sette volte questa formula [εις αυτον; ad es. «per lui sono tutte le cose» e «noi siamo per lui»]
[...] Lo εις αυτον afferma che l’autorivelazione di Dio presuppone e si innesta proprio su quella nativa capacità, anche se essa da sola resta improduttiva.
Veniamo pertanto a costatare, nel pensiero dell’Apostolo, l’esistenza di un’originale dialettica tra ricerca e scoperta; essa si configura come segue.
Il primo momento che è dato rilevare consiste nello sforzo umano, apparentemente autonomo, di porsi alla ricerca di Dio, della sua natura o della sua volontà; tale movimento, però, si svolge in termini inadeguati rispetto alla «sapienza di Dio misteriosa, nascosta, da lui predeterminata prima dei secoli» (1Cor 2,7); quindi, anche ciò che viene trovato risulta inadeguato sia ai progetti di Dio sia alla vera liberazione dell’uomo.
Il secondo momento (logico, ma anche cronologico) consiste in una autonoma autorivelazione di Dio, il quale, con una insospettata proposta non solo di se stesso quanto anche del proprio piano salvifico (incentrato sulla giustificazione dell’empio mediante la fede nella fecondità del sangue di Cristo), supera e sconfigge l’a priori della ricerca umana facendosi vedere ben più grande dei suoi presupposti e delle sue possibilità sia intellettuali che ascetiche; Dio diventa così, a sorpresa, oggetto di una scoperta donata (cfr. Rom 10,20).
A un dono siffatto, tuttavia, come terzo momento, consegue non la stasi soddisfatta di chi può cullarsi nella contemplazione passiva di un possesso ormai tranquillamente padroneggiato. La ricerca, infatti, non è interrotta, ma solo prosegue in termini nuovi: davanti al cristiano stanno pur sempre «le profondità di Dio», che il Pneuma battesimale aiuta a indagare (1Cor 2,9-10), con una preoccupazione non di fuga ma di inserzione delle «cose di lassù» nella comune cornice della vita quotidiana (Col 3,1 e contesto). Ogni momento dell’esistenza cristiana, in questo modo, può rappresentare una possibilità di accesso al Dio che, mediante Cristo e nello Spirito, ha sconvolto i nostri modi naturali di tensione verso di lui soltanto per venirci incontro nella sua vera identità di Salvatore storico e gratuito, quale l’uomo da solo avrebbe fallito. Potremmo dire, in un certo senso, che il nativo εις αυτον si tramuta semplicemente nel più preciso e biblico προς τον θεον.
Ma rimane ancora sempre una scoperta da fare, poiché Dio (non solo il Dio naturale ma anche e ancor più il Dio cristiano) è «insondabile e ininvestigabile» (Rom 11,33). Si giustifica quindi ogni cammino anche a tentoni della fede stessa: credere, infatti, tutt’altro che disporre boriosamente di Dio, significa solo collocarsi con umiltà nell’onda del suo mistero. Non per nulla, l’autore paolino di Ef prega «affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi conceda uno Spirito di sapienza e di illuminazione per conoscere… quale sia la traboccante grandezza della sua potenza verso di noi credenti» (1,17.19; cfr. 3,18).
(pp. 628-629).
Occorre sempre ribadire che la ricerca cristiana (paolina) di Dio non è mai una fuga dal mondo. Questo tema invece percorre tutta l’antica letteratura extrabiblica: da Platone (Teet. 176a: «Ecco dunque tale sforzo si impone: dal basso, di qui verso l’alto fuggire al più presto; e la fuga è assimilazione a Dio nella misura del possibile») fino a Plotino (cfr. la conclusione delle Enneadi VI 9,11: «Ecco la vita degli dèi e degli uomini divini e beati: separazione dalle restanti cose di quaggiù, vita cui non aggrada più cosa terrena, fuga di solo a Solo»), passando soprattutto per lo gnosticismo e la sua nota svalutazione del mondo. Esso, però, si può dire estraneo al NT e a Paolo in particolare, dove l’a priori kerigmatico non è la tensione dell’uomo fuori di sé verso il divino, ma la ricerca agapica operata da Dio stesso nei confronti dell’uomo, che è visto e lasciato nella sua realtà «mondana» solo purificata dal peccato (cfr. Rom 5,8-9; 1Cor 7,20-24; Col 2,20-22) ed esposta alla svolta escatologica (cfr. Rom 8,19-25; 1Cor 7,29-31).
(p. 629)