Noi viviamo nel mondo insieme a voi (da Tertulliano)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /04 /2009 - 20:26 pm | Permalink | Homepage
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(da Tertulliano, Apologetico, 37; 39; 42)

37. Se la nostra legge ci impone di amare anche i nemici, chi mai potremmo noi odiare? D’altra parte, se ci è proibito ricambiare l’offesa ricevuta, per non essere in tutto simili ai vostri offensori, a chi mai possiamo fare del male? Giudicate voi stessi.

Quante volte non avete infierito contro i cristiani, talvolta in ossequio alle vostre leggi, talvolta sotto la spinta dei vostri sentimenti? Quante volte, contro la vostra autorità, il popolo ostile non ci assale di sua iniziativa con pietre e fiamme? Invasata da un furore simile a quello che si scatena nei Baccanali, la folla non risparmia neppure i cristiani defunti: ma dalla pace dei sepolcri, quasi dall’asilo stesso della morte, essi, già alterati, già non integri, vengono tratti fuori, strappati, dispersi.

E che cosa avete tuttavia da imputare a della gente tanto concorde, quali riparazioni di offese verso degli esseri coraggiosi fino al supremo sacrificio, quando una sola notte e poche fiaccole, se a noi fosse consentito contraccambiare il male con il male, basterebbero a scatenare la più atroce delle vendette?

Ma sia lontano da noi il pensiero che lo spirito divino che anima la nostra fede affidi la sua vendetta al fuoco degli uomini o si dolga della sofferenza, in cui dà massimamente prova di sé.

Se noi volessimo agire, non dico da vendicatori occulti, ma da nemici dichiarati, ci mancherebbero forse battaglioni e truppe? Sono forse i Mauri, i Marcomanni, i Parti stessi, o qualunque altro popolo, stanziato tuttavia in un sol luogo e contenuto entro determinati confini, più numerosi di una gente disseminata in tutto il mondo? Siamo di ieri: eppure, abbiamo già invaso tutta la terra e i vostri domini, le città, le isole, le rocche, i municipi, le borgate, gli accampamenti stessi, le tribù, le decurie, la corte, il senato, il foro. A voi abbiamo lasciato solo i templi.

39. Descriverò ora, svelando in tal modo la verità, vita e costumi di quella che chiamate la setta dei cristiani, al fine di rigettare le accuse lanciate contro di noi e rilevare al tempo stesso quanto di bene essa faccia.

Noi costituiamo un solo organismo, che si nutre della consapevolezza di un’unica fede, di un’unica disciplina, di un unico vincolo di solidale speranza. Come schiera compatta ci stringiamo unanimi intorno a Dio per assediarlo con le nostre preghiere, poiché a Dio è grato questo nostro impeto.

Presiedono alle nostre adunanze anziani di provata virtù, giunti a tale onore non per mercede, ma per comune testimonianza dei loro meriti: non c’è infatti cosa divina che si valuti a prezzo. E se anche è tra noi una specie di cassa comune, essa non è costituita da largizioni onorarie, quale prezzo di una religione posta in vendita.

Ognuno vi apporta, quando voglia e se possa, il suo modesto contributo mensile: e ognuno offre spontaneamente, nessuno è costretto al versamento. Sono questi quasi i depositi della comune pietà. Non vi si attinge denaro per banchetti, bevute o inutili bagordi, ma per dare cibo e sepoltura ai bisognosi, per soccorrere fanciulli e fanciulle privi di sostentamento e di genitori, ed anche servi sfiniti dalla età e naufraghi. Inoltre, questa nostra comunità soccorre quanti, in nome della religione da essi professata, sono condannati alle miniere, o deportati nelle isole o relegati nelle carceri.

Ma proprio questo affetto fraterno, che ci rende l’uno sollecito all’altro, attira su di noi il biasimo e l’infamia di molti. «Vedi», essi dicono, «come si amano tra loro», mentre essi si detestano; «come sono pronti a morire l’uno per l’altro», ed essi invece sono più pronti ad uccidersi tra loro.

Anche il fatto che tra noi ci chiamiamo fratelli, non per altro motivo, io credo, li fa uscire di senno, se non perché ogni vincolo di parentela fu sempre per loro simulazione di affetto. In verità, siamo anche fratelli vostri, per diritto di natura, madre comune di tutti noi, sebbene voi siate poco uomini in quanto pessimi fratelli. Quanto più a buon diritto si chiamano e si sentono tra loro fratelli coloro che riconobbero Dio come unico padre, che si dissetarono ad un unico spirito di santità, che dalle tenebre della medesima ignoranza uscirono storditi alla luce abbagliante di una sola verità!

42. Ma c’è ancora un’altra accusa che rivolgete contro di noi: quella di essere improduttivi e del tutto inutili alla collettività. E come potremmo esserlo, dal momento che viviamo in mezzo a voi, che come voi ci nutriamo e ci vestiamo, e che abbiamo le vostre stesse esigenze di vita? Non siamo i brahamani o ginnosofisti indiani, abitanti delle foreste o transfughi della vita!

Sappiamo bene di dover essere grati a Dio, Signore e creatore di tutte le cose: non c’è frutto delle sue opere che noi ripudiamo, ma ci guardiamo dal farne uso smodato o dall’usarne a sproposito.

Pertanto, senza evitare il foro, i mercati, i bagni, le botteghe, le officine, gli alberghi, le vostre fiere e tutti gli altri luoghi ove si commercia, noi viviamo nel mondo insieme a voi. Con voi navighiamo, militiamo, coltiviamo la terra e commerciamo: con voi scambiamo i prodotti del nostro lavoro e li mettiamo a vostra disposizione. Come possiamo apparire inutili ai vostri affari, se in mezzo ad essi e di essi noi viviamo, non so davvero.