Macro-economia e micro-economia, giustizia ed essere giusti (da Benedetto XVI)
(dalle risposte del papa Benedetto XVI ai sacerdoti nell’incontro con i parroci ed il clero della diocesi di Roma, giovedì 26 febbraio 2009, nell’Aula delle Benedizioni)
Adesso questa questione [della crisi economica] che tocca il nervo dei problemi del nostro tempo. Io distinguerei due livelli. Il primo è il livello della macroeconomia, che poi si realizza e va fino all'ultimo cittadino, il quale sente le conseguenze di una costruzione sbagliata. Naturalmente, denunciare questo è un dovere della Chiesa. Come sapete, da molto tempo prepariamo un'Enciclica su questi punti. E nel cammino lungo vedo com'è difficile parlare con competenza, perché se non è affrontata con competenza una certa realtà economica non può essere credibile.
E, d'altra parte, occorre anche parlare con una grande consapevolezza etica, diciamo creata e svegliata da una coscienza formata dal Vangelo. Quindi bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria. Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, «mammona».
Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione. E, naturalmente, per poterlo fare è necessaria la conoscenza di questa verità e la buona volontà di tutti.
Qui siamo al punto forte: esiste realmente il peccato originale? Se non esistesse potremmo far appello alla ragione lucida, con argomenti che a ognuno sono accessibili e incontestabili, e alla buona volontà che esiste in tutti. Semplicemente così potremmo andare avanti bene e riformare l'umanità. Ma non è così: la ragione — anche la nostra — è oscurata, lo vediamo ogni giorno. Perché l'egoismo, la radice dell'avarizia, sta nel voler soprattutto me stesso e il mondo per me. Esiste in tutti noi. Questo è l'oscuramento della ragione: essa può essere molto dotta, con argomenti scientifici bellissimi, e tuttavia è oscurata da false premesse. Così va con grande intelligenza e con grandi passi avanti sulla strada sbagliata.
Anche la volontà è, diciamo, curvata, dicono i Padri: non è semplicemente disponibile a fare il bene ma cerca soprattutto se stesso o il bene del proprio gruppo. Perciò trovare realmente la strada della ragione, della ragione vera, è già una cosa non facile e si sviluppa difficilmente in un dialogo. Senza la luce della fede, che entra nelle tenebre del peccato originale, la ragione non può andare avanti. Ma proprio la fede trova poi la resistenza della nostra volontà. Questa non vuol vedere la strada, che costituirebbe anche una strada di rinuncia a se stessi e di una correzione della propria volontà in favore dell'altro e non per se stessi.
Perciò occorre, direi, la denuncia ragionevole e ragionata degli errori, non con grandi moralismi, ma con ragioni concrete che si fanno comprensibili nel mondo dell'economia di oggi. La denuncia di questo è importante, è un mandato per la Chiesa da sempre. Sappiamo che nella nuova situazione creatasi con il mondo industriale, la dottrina sociale della Chiesa, cominciando da Leone XIII, cerca di fare queste denunce — e non solo le denunce, che non sono sufficienti — ma anche di mostrare le strade difficili dove, passo per passo, si esige l'assenso della ragione e l'assenso della volontà, insieme alla correzione della mia coscienza, alla volontà di rinunciare in un certo senso a me stesso per poter collaborare a quello che è il vero scopo della vita umana, dell'umanità.
Detto questo, la Chiesa ha sempre il compito di essere vigilante, di cercare essa stessa con le migliori forze che ha le ragioni del mondo economico, di entrare in questo ragionamento e di illuminare questo ragionamento con la fede che ci libera dall'egoismo del peccato originale. È compito della Chiesa entrare in questo discernimento, in questo ragionamento, farsi sentire, anche ai diversi livelli nazionali e internazionali, per aiutare e correggere. E questo non è un lavoro facile, perché tanti interessi personali e di gruppi nazionali si oppongono a una correzione radicale. Forse è pessimismo, ma a me sembra realismo: fino a quando c'è il peccato originale non arriveremo mai a una correzione radicale e totale. Tuttavia dobbiamo fare di tutto per correzioni almeno provvisorie, sufficienti per far vivere l'umanità e per ostacolare la dominazione dell'egoismo, che si presenta sotto pretesti di scienza e di economia nazionale e internazionale.
Questo è il primo livello. L'altro è essere realisti. E vedere che questi grandi scopi della macroscienza non si realizzano nella microscienza — la macroeconomia nella microeconomia — senza la conversione dei cuori. Se non ci sono i giusti, anche la giustizia non c'è. Dobbiamo accettare questo. Perciò l'educazione alla giustizia è uno scopo prioritario, potremmo dire anche la priorità. Perché san Paolo dice che la giustificazione è l'effetto dell'opera di Cristo, non è un concetto astratto, riguardante peccati che oggi non ci interessano, ma si riferisce proprio alla giustizia integrale. Dio solo può darcela, ma ce la dà con la nostra cooperazione su diversi livelli, in tutti i livelli possibili.
La giustizia non si può creare nel mondo solo con modelli economici buoni, che sono necessari. La giustizia si realizza solo se ci sono i giusti. E i giusti non ci sono se non c'è il lavoro umile, quotidiano, di convertire i cuori. E di creare giustizia nei cuori. Solo così si estende anche la giustizia correttiva. Perciò il lavoro dei parroco è così fondamentale non solo per la parrocchia, ma per l'umanità. Perché se non ci sono i giusti, come ho detto, la giustizia rimane astratta. E le strutture buone non si realizzano se si oppone l'egoismo anche di persone competenti.
Questo nostro lavoro, umile, quotidiano, è fondamentale per arrivare ai grandi scopi dell'umanità. E dobbiamo lavorare insieme su tutti i livelli. La Chiesa universale deve denunciare, ma anche annunciare che cosa si può fare e come si può fare. Le conferenze episcopali e i vescovi devono agire. Ma tutti dobbiamo educare alla giustizia. Mi sembra che sia ancora oggi vero e realistico il dialogo di Abramo con Dio (Genesi, 18, 22-33), quando il primo dice: davvero distruggerai la città? forse ci sono cinquanta giusti, forse dieci giusti. E dieci giusti sono sufficienti per far sopravvivere la città. Ora, se mancano dieci giusti, con tutta la dottrina economica, la società non sopravvive. Perciò dobbiamo fare il necessario per educare e garantire almeno dieci giusti, ma se possibile molti di più. Proprio con il nostro annuncio facciamo sì che ci siano tanti giusti, che sia realmente presente la giustizia nel mondo.
Come effetto, i due livelli sono inseparabili. Se, da una parte, non annunciamo la macrogiustizia quella micro non cresce. Ma, d'altra parte, se non facciamo il lavoro molto umile della microgiustizia anche quella macro non cresce. E sempre, come ho detto nella mia prima Enciclica, con tutti i sistemi che possono crescere nel mondo, oltre la giustizia che cerchiamo rimane necessaria la carità. Aprire i cuori alla giustizia e alla carità è educare alla fede, è guidare a Dio.
Adesso questa questione [della crisi economica] che tocca il nervo dei problemi del nostro tempo. Io distinguerei due livelli. Il primo è il livello della macroeconomia, che poi si realizza e va fino all'ultimo cittadino, il quale sente le conseguenze di una costruzione sbagliata. Naturalmente, denunciare questo è un dovere della Chiesa. Come sapete, da molto tempo prepariamo un'Enciclica su questi punti. E nel cammino lungo vedo com'è difficile parlare con competenza, perché se non è affrontata con competenza una certa realtà economica non può essere credibile.
E, d'altra parte, occorre anche parlare con una grande consapevolezza etica, diciamo creata e svegliata da una coscienza formata dal Vangelo. Quindi bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria. Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, «mammona».
Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione. E, naturalmente, per poterlo fare è necessaria la conoscenza di questa verità e la buona volontà di tutti.
Qui siamo al punto forte: esiste realmente il peccato originale? Se non esistesse potremmo far appello alla ragione lucida, con argomenti che a ognuno sono accessibili e incontestabili, e alla buona volontà che esiste in tutti. Semplicemente così potremmo andare avanti bene e riformare l'umanità. Ma non è così: la ragione — anche la nostra — è oscurata, lo vediamo ogni giorno. Perché l'egoismo, la radice dell'avarizia, sta nel voler soprattutto me stesso e il mondo per me. Esiste in tutti noi. Questo è l'oscuramento della ragione: essa può essere molto dotta, con argomenti scientifici bellissimi, e tuttavia è oscurata da false premesse. Così va con grande intelligenza e con grandi passi avanti sulla strada sbagliata.
Anche la volontà è, diciamo, curvata, dicono i Padri: non è semplicemente disponibile a fare il bene ma cerca soprattutto se stesso o il bene del proprio gruppo. Perciò trovare realmente la strada della ragione, della ragione vera, è già una cosa non facile e si sviluppa difficilmente in un dialogo. Senza la luce della fede, che entra nelle tenebre del peccato originale, la ragione non può andare avanti. Ma proprio la fede trova poi la resistenza della nostra volontà. Questa non vuol vedere la strada, che costituirebbe anche una strada di rinuncia a se stessi e di una correzione della propria volontà in favore dell'altro e non per se stessi.
Perciò occorre, direi, la denuncia ragionevole e ragionata degli errori, non con grandi moralismi, ma con ragioni concrete che si fanno comprensibili nel mondo dell'economia di oggi. La denuncia di questo è importante, è un mandato per la Chiesa da sempre. Sappiamo che nella nuova situazione creatasi con il mondo industriale, la dottrina sociale della Chiesa, cominciando da Leone XIII, cerca di fare queste denunce — e non solo le denunce, che non sono sufficienti — ma anche di mostrare le strade difficili dove, passo per passo, si esige l'assenso della ragione e l'assenso della volontà, insieme alla correzione della mia coscienza, alla volontà di rinunciare in un certo senso a me stesso per poter collaborare a quello che è il vero scopo della vita umana, dell'umanità.
Detto questo, la Chiesa ha sempre il compito di essere vigilante, di cercare essa stessa con le migliori forze che ha le ragioni del mondo economico, di entrare in questo ragionamento e di illuminare questo ragionamento con la fede che ci libera dall'egoismo del peccato originale. È compito della Chiesa entrare in questo discernimento, in questo ragionamento, farsi sentire, anche ai diversi livelli nazionali e internazionali, per aiutare e correggere. E questo non è un lavoro facile, perché tanti interessi personali e di gruppi nazionali si oppongono a una correzione radicale. Forse è pessimismo, ma a me sembra realismo: fino a quando c'è il peccato originale non arriveremo mai a una correzione radicale e totale. Tuttavia dobbiamo fare di tutto per correzioni almeno provvisorie, sufficienti per far vivere l'umanità e per ostacolare la dominazione dell'egoismo, che si presenta sotto pretesti di scienza e di economia nazionale e internazionale.
Questo è il primo livello. L'altro è essere realisti. E vedere che questi grandi scopi della macroscienza non si realizzano nella microscienza — la macroeconomia nella microeconomia — senza la conversione dei cuori. Se non ci sono i giusti, anche la giustizia non c'è. Dobbiamo accettare questo. Perciò l'educazione alla giustizia è uno scopo prioritario, potremmo dire anche la priorità. Perché san Paolo dice che la giustificazione è l'effetto dell'opera di Cristo, non è un concetto astratto, riguardante peccati che oggi non ci interessano, ma si riferisce proprio alla giustizia integrale. Dio solo può darcela, ma ce la dà con la nostra cooperazione su diversi livelli, in tutti i livelli possibili.
La giustizia non si può creare nel mondo solo con modelli economici buoni, che sono necessari. La giustizia si realizza solo se ci sono i giusti. E i giusti non ci sono se non c'è il lavoro umile, quotidiano, di convertire i cuori. E di creare giustizia nei cuori. Solo così si estende anche la giustizia correttiva. Perciò il lavoro dei parroco è così fondamentale non solo per la parrocchia, ma per l'umanità. Perché se non ci sono i giusti, come ho detto, la giustizia rimane astratta. E le strutture buone non si realizzano se si oppone l'egoismo anche di persone competenti.
Questo nostro lavoro, umile, quotidiano, è fondamentale per arrivare ai grandi scopi dell'umanità. E dobbiamo lavorare insieme su tutti i livelli. La Chiesa universale deve denunciare, ma anche annunciare che cosa si può fare e come si può fare. Le conferenze episcopali e i vescovi devono agire. Ma tutti dobbiamo educare alla giustizia. Mi sembra che sia ancora oggi vero e realistico il dialogo di Abramo con Dio (Genesi, 18, 22-33), quando il primo dice: davvero distruggerai la città? forse ci sono cinquanta giusti, forse dieci giusti. E dieci giusti sono sufficienti per far sopravvivere la città. Ora, se mancano dieci giusti, con tutta la dottrina economica, la società non sopravvive. Perciò dobbiamo fare il necessario per educare e garantire almeno dieci giusti, ma se possibile molti di più. Proprio con il nostro annuncio facciamo sì che ci siano tanti giusti, che sia realmente presente la giustizia nel mondo.
Come effetto, i due livelli sono inseparabili. Se, da una parte, non annunciamo la macrogiustizia quella micro non cresce. Ma, d'altra parte, se non facciamo il lavoro molto umile della microgiustizia anche quella macro non cresce. E sempre, come ho detto nella mia prima Enciclica, con tutti i sistemi che possono crescere nel mondo, oltre la giustizia che cerchiamo rimane necessaria la carità. Aprire i cuori alla giustizia e alla carità è educare alla fede, è guidare a Dio.