Umanità e semplicità della verità (da Benedetto XVI)
(dalle risposte del papa Benedetto XVI ai sacerdoti nell’incontro con i parroci ed il clero della diocesi di Roma, giovedì 26 febbraio 2009, nell’Aula delle Benedizioni)
Non è sufficiente predicare o fare pastorale con il bagaglio prezioso acquisito negli studi della teologia. Questo è importante e fondamentale, ma deve essere personalizzato: da conoscenza accademica, che abbiamo imparato e anche riflettuto, in visione personale della mia vita, per arrivare alle altre persone. In questo senso vorrei dire che è importante, da una parte, concretizzare con la nostra esperienza personale della fede, nell'incontro con i nostri parrocchiani, la grande parola della fede, ma anche non perdere la sua semplicità.
Naturalmente parole grandi della tradizione — come sacrificio di espiazione, redenzione del sacrificio del Cristo, peccato originale — sono oggi come tali incomprensibili. Non possiamo semplicemente lavorare con formule grandi, vere, ma non più contestualizzate nel mondo di oggi. Dobbiamo, tramite lo studio e quanto ci dicono i maestri della teologia e la nostra esperienza personale con Dio, concretizzare, tradurre queste grandi parole, così che devono entrare nell'annuncio di Dio all'uomo nell'oggi.
E, direi, dall'altra parte, non dovremmo coprire la semplicità della Parola di Dio in valutazioni troppo pesanti di avvicinamenti umani. Mi ricordo un amico che, dopo aver ascoltato prediche con lunghe riflessioni antropologiche per arrivare insieme al Vangelo, diceva: ma non mi interessano questi avvicinamenti, io vorrei capire che cosa dice il Vangelo! E mi sembra spesso che invece di lunghi cammini di avvicinamento, sarebbe meglio — io l'ho fatto quanto ero ancora nella mia vita normale — dire: questo Vangelo non ci piace, siamo contrari a quanto dice il Signore! Ma che cosa vuole dire? Se io dico sinceramente che a prima vista non sono d'accordo, abbiamo già l'attenzione: si vede che io vorrei, come uomo di oggi, capire che cosa dice il Signore.
Così possiamo senza lunghi circuiti entrare nel vivo della Parola. E dobbiamo anche tener presente, senza false semplificazioni, che i dodici apostoli erano pescatori, artigiani, di questa provincia, la Galilea, senza particolare preparazione, senza conoscenza del grande mondo greco e latino. Eppure sono andati in tutte le parti dell'impero, anche fuori l'impero, fino all'India, e hanno annunciato Cristo con semplicità e con la forza della semplicità di quello che è vero. E mi sembra anche questo importante: non perdiamo la semplicità della verità. Dio c'è e Dio non è un essere ipotetico, lontano, ma è vicino, ha parlato con noi, ha parlato con me. E così diciamo semplicemente che cosa è e come si può e si deve naturalmente spiegare e sviluppare. Ma non perdiamo il fatto che noi non proponiamo riflessioni, non proponiamo una filosofia, ma proponiamo l'annuncio semplice del Dio che ha agito. E che ha agito anche con me.
E poi per la contestualizzazione culturale, romana — che è assolutamente necessaria — direi che il primo aiuto è la nostra esperienza personale. Non viviamo sulla luna. Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi, essendo uno che vive con i mass media di oggi, con i dialoghi, con le realtà dell'economia, con tutto, se io stesso prendo sul serio la mia esperienza e cerco di personalizzare in me questa realtà. Così siamo proprio nel cammino di farci capire anche dagli altri.
San Bernardo di Chiaravalle ha detto nel suo libro di considerazioni al suo discepolo Papa Eugenio: considera di bere dalla tua propria fonte, cioè dalla tua propria umanità. Se sei sincero con te e cominci a vedere con te che cosa è la fede, con la tua esperienza umana in questo tempo, bevendo dal tuo proprio pozzo, come dice san Bernardo, anche agli altri puoi dire quanto si deve dire. E in questo senso mi sembra importante essere attenti realmente al mondo di oggi, ma anche essere attenti al Signore in me stesso: essere un uomo di questo tempo e nello stesso tempo un credente di Cristo, che in sé trasforma il messaggio eterno in messaggio attuale.
E chi conosce meglio gli uomini di oggi che il parroco? La canonica non è nel mondo, è invece nella parrocchia. E qui, dal parroco, vengono gli uomini spesso, normalmente, senza maschera, non con altri pretesti, ma nella situazione della sofferenza, della malattia, della morte, delle questioni in famiglia. Vengono nel confessionale senza maschera, con il loro proprio essere. Nessun'altra professione, mi sembra, dà questa possibilità di conoscere l'uomo com'è nella sua umanità e non nel suo ruolo che ha nella società. In questo senso, possiamo realmente studiare l'uomo come è nella sua profondità, fuori dai ruoli, e imparare anche noi stessi l'essere umano, l'essere uomo sempre alla scuola di Cristo. In questo senso direi che è assolutamente importante imparare l'uomo, l'uomo di oggi, in noi e con gli altri, ma anche sempre nell'ascolto attento al Signore e accettando in me il seme della Parola, perché in me si trasforma in frumento e diventa comunicabile agli altri.
Non è sufficiente predicare o fare pastorale con il bagaglio prezioso acquisito negli studi della teologia. Questo è importante e fondamentale, ma deve essere personalizzato: da conoscenza accademica, che abbiamo imparato e anche riflettuto, in visione personale della mia vita, per arrivare alle altre persone. In questo senso vorrei dire che è importante, da una parte, concretizzare con la nostra esperienza personale della fede, nell'incontro con i nostri parrocchiani, la grande parola della fede, ma anche non perdere la sua semplicità.
Naturalmente parole grandi della tradizione — come sacrificio di espiazione, redenzione del sacrificio del Cristo, peccato originale — sono oggi come tali incomprensibili. Non possiamo semplicemente lavorare con formule grandi, vere, ma non più contestualizzate nel mondo di oggi. Dobbiamo, tramite lo studio e quanto ci dicono i maestri della teologia e la nostra esperienza personale con Dio, concretizzare, tradurre queste grandi parole, così che devono entrare nell'annuncio di Dio all'uomo nell'oggi.
E, direi, dall'altra parte, non dovremmo coprire la semplicità della Parola di Dio in valutazioni troppo pesanti di avvicinamenti umani. Mi ricordo un amico che, dopo aver ascoltato prediche con lunghe riflessioni antropologiche per arrivare insieme al Vangelo, diceva: ma non mi interessano questi avvicinamenti, io vorrei capire che cosa dice il Vangelo! E mi sembra spesso che invece di lunghi cammini di avvicinamento, sarebbe meglio — io l'ho fatto quanto ero ancora nella mia vita normale — dire: questo Vangelo non ci piace, siamo contrari a quanto dice il Signore! Ma che cosa vuole dire? Se io dico sinceramente che a prima vista non sono d'accordo, abbiamo già l'attenzione: si vede che io vorrei, come uomo di oggi, capire che cosa dice il Signore.
Così possiamo senza lunghi circuiti entrare nel vivo della Parola. E dobbiamo anche tener presente, senza false semplificazioni, che i dodici apostoli erano pescatori, artigiani, di questa provincia, la Galilea, senza particolare preparazione, senza conoscenza del grande mondo greco e latino. Eppure sono andati in tutte le parti dell'impero, anche fuori l'impero, fino all'India, e hanno annunciato Cristo con semplicità e con la forza della semplicità di quello che è vero. E mi sembra anche questo importante: non perdiamo la semplicità della verità. Dio c'è e Dio non è un essere ipotetico, lontano, ma è vicino, ha parlato con noi, ha parlato con me. E così diciamo semplicemente che cosa è e come si può e si deve naturalmente spiegare e sviluppare. Ma non perdiamo il fatto che noi non proponiamo riflessioni, non proponiamo una filosofia, ma proponiamo l'annuncio semplice del Dio che ha agito. E che ha agito anche con me.
E poi per la contestualizzazione culturale, romana — che è assolutamente necessaria — direi che il primo aiuto è la nostra esperienza personale. Non viviamo sulla luna. Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi, essendo uno che vive con i mass media di oggi, con i dialoghi, con le realtà dell'economia, con tutto, se io stesso prendo sul serio la mia esperienza e cerco di personalizzare in me questa realtà. Così siamo proprio nel cammino di farci capire anche dagli altri.
San Bernardo di Chiaravalle ha detto nel suo libro di considerazioni al suo discepolo Papa Eugenio: considera di bere dalla tua propria fonte, cioè dalla tua propria umanità. Se sei sincero con te e cominci a vedere con te che cosa è la fede, con la tua esperienza umana in questo tempo, bevendo dal tuo proprio pozzo, come dice san Bernardo, anche agli altri puoi dire quanto si deve dire. E in questo senso mi sembra importante essere attenti realmente al mondo di oggi, ma anche essere attenti al Signore in me stesso: essere un uomo di questo tempo e nello stesso tempo un credente di Cristo, che in sé trasforma il messaggio eterno in messaggio attuale.
E chi conosce meglio gli uomini di oggi che il parroco? La canonica non è nel mondo, è invece nella parrocchia. E qui, dal parroco, vengono gli uomini spesso, normalmente, senza maschera, non con altri pretesti, ma nella situazione della sofferenza, della malattia, della morte, delle questioni in famiglia. Vengono nel confessionale senza maschera, con il loro proprio essere. Nessun'altra professione, mi sembra, dà questa possibilità di conoscere l'uomo com'è nella sua umanità e non nel suo ruolo che ha nella società. In questo senso, possiamo realmente studiare l'uomo come è nella sua profondità, fuori dai ruoli, e imparare anche noi stessi l'essere umano, l'essere uomo sempre alla scuola di Cristo. In questo senso direi che è assolutamente importante imparare l'uomo, l'uomo di oggi, in noi e con gli altri, ma anche sempre nell'ascolto attento al Signore e accettando in me il seme della Parola, perché in me si trasforma in frumento e diventa comunicabile agli altri.