Rendimento di grazie per la conversione a Gesù di S. Francesco e per la famiglia francescana (da Benedetto XVI)
(dal discorso di Benedetto XVI nell’udienza ai membri della famiglia francescana partecipanti al “Capitolo delle stuoie”, 18 aprile 2009)
Che dirvi, cari amici? Prima di tutto desidero unirmi a voi nel rendimento di grazie a Dio per tutto il cammino che vi ha fatto compiere, ricolmandovi dei suoi benefici. E come Pastore di tutta la Chiesa, lo voglio ringraziare per il dono prezioso che voi stessi siete per l’intero popolo cristiano. Dal piccolo ruscello sgorgato ai piedi del Monte Subasio, si è formato un grande fiume, che ha dato un contributo notevole alla diffusione universale del Vangelo.
Tutto ha avuto inizio dalla conversione di Francesco, il quale, sull’esempio di Gesù, "spogliò se stesso" (cfr Fil 2,7) e, sposando Madonna Povertà, divenne testimone e araldo del Padre che è nei cieli. Al Poverello si possono applicare letteralmente alcune espressioni che l’apostolo Paolo riferisce a se stesso e che mi piace ricordare in questo Anno Paolino: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me" (Gal 2,19-20). E ancora: "D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo" (Gal 6,17). Francesco ricalca perfettamente queste orme di Paolo ed in verità può dire con lui: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1,21).
Ha sperimentato la potenza della grazia divina ed è come morto e risorto. Tutte le sue ricchezze precedenti, ogni motivo di vanto e di sicurezza, tutto diventa una "perdita" dal momento dell’incontro con Gesù crocifisso e risorto (cfr Fil 3,7-11). Il lasciare tutto diventa a quel punto quasi necessario, per esprimere la sovrabbondanza del dono ricevuto. Questo è talmente grande, da richiedere uno spogliamento totale, che comunque non basta; merita una vita intera vissuta "secondo la forma del santo Vangelo" (2 Test., 14: Fonti Francescane, 116).
E qui veniamo al punto che sicuramente sta al centro di questo nostro incontro. Lo riassumerei così: il Vangelo come regola di vita. "La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo": così scrive Francesco all’inizio della Regola bollata (Rb I, 1: FF, 75). Egli comprese se stesso interamente alla luce del Vangelo. Questo è il suo fascino. Questa la sua perenne attualità.
Tommaso da Celano riferisce che il Poverello "portava sempre nel cuore Gesù. Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra… Anzi, trovandosi molte volte in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava ad invitare tutte le creature alla lode di Gesù" (1 Cel., II, 9, 115: FF, 115). Così il Poverello è diventato un vangelo vivente, capace di attirare a Cristo uomini e donne di ogni tempo, specialmente i giovani, che preferiscono la radicalità alle mezze misure. Il Vescovo di Assisi Guido e poi il Papa Innocenzo III riconobbero nel proposito di Francesco e dei suoi compagni l’autenticità evangelica, e seppero incoraggiarne l’impegno in vista anche del bene della Chiesa.
Che dirvi, cari amici? Prima di tutto desidero unirmi a voi nel rendimento di grazie a Dio per tutto il cammino che vi ha fatto compiere, ricolmandovi dei suoi benefici. E come Pastore di tutta la Chiesa, lo voglio ringraziare per il dono prezioso che voi stessi siete per l’intero popolo cristiano. Dal piccolo ruscello sgorgato ai piedi del Monte Subasio, si è formato un grande fiume, che ha dato un contributo notevole alla diffusione universale del Vangelo.
Tutto ha avuto inizio dalla conversione di Francesco, il quale, sull’esempio di Gesù, "spogliò se stesso" (cfr Fil 2,7) e, sposando Madonna Povertà, divenne testimone e araldo del Padre che è nei cieli. Al Poverello si possono applicare letteralmente alcune espressioni che l’apostolo Paolo riferisce a se stesso e che mi piace ricordare in questo Anno Paolino: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me" (Gal 2,19-20). E ancora: "D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo" (Gal 6,17). Francesco ricalca perfettamente queste orme di Paolo ed in verità può dire con lui: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1,21).
Ha sperimentato la potenza della grazia divina ed è come morto e risorto. Tutte le sue ricchezze precedenti, ogni motivo di vanto e di sicurezza, tutto diventa una "perdita" dal momento dell’incontro con Gesù crocifisso e risorto (cfr Fil 3,7-11). Il lasciare tutto diventa a quel punto quasi necessario, per esprimere la sovrabbondanza del dono ricevuto. Questo è talmente grande, da richiedere uno spogliamento totale, che comunque non basta; merita una vita intera vissuta "secondo la forma del santo Vangelo" (2 Test., 14: Fonti Francescane, 116).
E qui veniamo al punto che sicuramente sta al centro di questo nostro incontro. Lo riassumerei così: il Vangelo come regola di vita. "La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo": così scrive Francesco all’inizio della Regola bollata (Rb I, 1: FF, 75). Egli comprese se stesso interamente alla luce del Vangelo. Questo è il suo fascino. Questa la sua perenne attualità.
Tommaso da Celano riferisce che il Poverello "portava sempre nel cuore Gesù. Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra… Anzi, trovandosi molte volte in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava ad invitare tutte le creature alla lode di Gesù" (1 Cel., II, 9, 115: FF, 115). Così il Poverello è diventato un vangelo vivente, capace di attirare a Cristo uomini e donne di ogni tempo, specialmente i giovani, che preferiscono la radicalità alle mezze misure. Il Vescovo di Assisi Guido e poi il Papa Innocenzo III riconobbero nel proposito di Francesco e dei suoi compagni l’autenticità evangelica, e seppero incoraggiarne l’impegno in vista anche del bene della Chiesa.