Lo scetticismo non è migliore del dogmatismo (da François Varillon)
(da Un chrétien devant les grandes religions, pp. 82-83, citato in Traversate di un credente, Jaca, Milano, p. 75-76)
Lo scetticismo non è migliore del dogmatismo. È una tentazione che ci minaccia non appena consideriamo la diversità, di fatto, delle opinioni e delle credenze. Pilato domandava: «Che cos'è la verità?» (Giovanni 18,38). Ma esiste una verità? ci si domanda. Ciascuno ha la propria. O: a ciascuno la sua verità. E quindi ci si astiene dal professarne una. Ci si ritira dal gioco.
Con quale risultato? Che il pensiero muore. Si diventa spettatori disincantati della credenza altrui.
Quando lo scetticismo è sistematico e ci si dà da fare per giustificarlo come tale, è puramente e semplicemente contraddittorio. Perché? Già Aristotele diceva: si afferma che non vi è una verità assoluta, ma si sostiene che questa affermazione è assoluta. Nulla è assoluto eccetto l'affermazione che nulla è assoluto. Non vi è nulla di vero, ma è vero affermare che non vi è nulla di vero.
Nella gran parte dei casi lo scetticismo non è sistematico. Si presenta piuttosto con un sorriso disinvolto. Lo scettico si diverte nel considerare come spettatore il carosello delle religioni. Viene in mente Voltaire. Lo scettico se l'è cavata elegantemente. Prende l'aria della persona distaccata. E questo gli conferisce quel tanto di superiorità che è piuttosto facile confondere talora con la finezza dell'intelligenza e il piacere della libertà.
In realtà lo scetticismo è un'evasione. Chi smette di pensare, quando ci va di mezzo l'essenziale, Dio, finisce molto in fretta per pensare in maniera retrograda. La mente dello scettico non è più stimolata; diventa anemica, per mancanza di nutrimento sostanzioso. È una delle cose che mi preoccupano, quando considero un certo numero di giovani. Platone diceva che bisogna cercare la verità con tutta l'anima. Quando si smette di cercare il vero con tutta l'anima, ci si condanna a vivere alla superficie di se stessi e si rimane estranei alla gioia, di cui è davvero difficile negare che sia la nostra vocazione più profonda. Siamo fatti per la gioia. La verità può rivelarsi soltanto a chi cerca la verità con tutta l'anima e si sforza di trasformare la Babele delle opinioni in una Pentecoste veramente unificante.
Lo scetticismo non è migliore del dogmatismo. È una tentazione che ci minaccia non appena consideriamo la diversità, di fatto, delle opinioni e delle credenze. Pilato domandava: «Che cos'è la verità?» (Giovanni 18,38). Ma esiste una verità? ci si domanda. Ciascuno ha la propria. O: a ciascuno la sua verità. E quindi ci si astiene dal professarne una. Ci si ritira dal gioco.
Con quale risultato? Che il pensiero muore. Si diventa spettatori disincantati della credenza altrui.
Quando lo scetticismo è sistematico e ci si dà da fare per giustificarlo come tale, è puramente e semplicemente contraddittorio. Perché? Già Aristotele diceva: si afferma che non vi è una verità assoluta, ma si sostiene che questa affermazione è assoluta. Nulla è assoluto eccetto l'affermazione che nulla è assoluto. Non vi è nulla di vero, ma è vero affermare che non vi è nulla di vero.
Nella gran parte dei casi lo scetticismo non è sistematico. Si presenta piuttosto con un sorriso disinvolto. Lo scettico si diverte nel considerare come spettatore il carosello delle religioni. Viene in mente Voltaire. Lo scettico se l'è cavata elegantemente. Prende l'aria della persona distaccata. E questo gli conferisce quel tanto di superiorità che è piuttosto facile confondere talora con la finezza dell'intelligenza e il piacere della libertà.
In realtà lo scetticismo è un'evasione. Chi smette di pensare, quando ci va di mezzo l'essenziale, Dio, finisce molto in fretta per pensare in maniera retrograda. La mente dello scettico non è più stimolata; diventa anemica, per mancanza di nutrimento sostanzioso. È una delle cose che mi preoccupano, quando considero un certo numero di giovani. Platone diceva che bisogna cercare la verità con tutta l'anima. Quando si smette di cercare il vero con tutta l'anima, ci si condanna a vivere alla superficie di se stessi e si rimane estranei alla gioia, di cui è davvero difficile negare che sia la nostra vocazione più profonda. Siamo fatti per la gioia. La verità può rivelarsi soltanto a chi cerca la verità con tutta l'anima e si sforza di trasformare la Babele delle opinioni in una Pentecoste veramente unificante.