Il Rapporto fra Antico e Nuovo Testamento nell’interpretazione allegorica degli esploratori della Terra promessa nel libro dei Numeri (da Bruno Forte)
Il Rapporto fra Antico e Nuovo Testamento nell’interpretazione allegorica degli esploratori della Terra promessa nel libro dei Numeri,
da una conferenza di Bruno Forte, non rivista dall’autore, tenuta il 4 novembre 2004 presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, organizzata dal Centro Cardinal Bea in collaborazione con il SIDIC Roma e con il sostegno dell’American Jewish Committee, dal titolo Israele e la Chiesa: i due esploratori della Terra promessa. Per una teologia cristiana dell’ebraismo, pubblicata sul sito www.nostreradici.it
Un’immagine biblica, riletta nell’interpretazione patristica, può introdurci efficacemente nella riflessione sulla questione che ci sta a cuore (...) quella - tratta dal libro dei Numeri - dei due esploratori di ritorno dalla terra di Canaan, che portano insieme un’asta da cui pende il grappolo d’uva, che essi accompagnano col frutto del melograno e il fico: “Giunsero fino alla valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi ”(Num 13,23).
Nell’asta portata dai due i Padri della Chiesa hanno voluto vedere il legno della Croce, da cui pende Cristo: “Figura Christi pendentis in ligno” (Così afferma ad esempio Evagrio (verso il 430): Altercatio inter Theophilum et Simonem: PL 20,1175. Cf. H. Leclerq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et Liturgie, 3, 169s.; C. Leonardi, Ampelos. Il simbolo della Vite nell’arte pagana e paleocristiana, Roma 1947, 149-163), mentre nei due portatori, uniti e separati da quel legno, hanno riconosciuto Israele e la Chiesa: “Subvectantes phalanguam, duorum populorum figuram ostendebant, unum priorem, scilicet vestrum, terga Christum dantem, alium posteriorem, racemum respicientem, scilicet noster populus intelligitur” (Ancora Evagrio, Altercatio inter Theophilum et Simonem: PL 20,1175. Stesse idee in S. Massimo di Torino, metà del V sec.: Hom. 79: PL 57,423s). In quanto essi marciano l’un dietro l’altro, chi precede guarda solo davanti a sé ed è perciò figura d’Israele, popolo della speranza e dell’attesa delle cose venienti e nuove, assicurate dalla promessa di Dio; chi viene dietro vede, invece, colui che gli sta davanti e l’orizzonte da questi abbracciato attraverso il grappolo appeso al legno ed è perciò figura della Chiesa, che ha in Cristo crocefisso la chiave di lettura anche dell’antico Israele e della promessa fatta ai padri. Col mostrare la differenza, l’immagine afferma non di meno la continuità che esiste fra i due popoli, non solo per il legame dell’unica asta che entrambi gli esploratori sostengono, ma anche per l’orizzonte comune cui si rivolge il loro sguardo. L’idea della continuità sarà evidenziata - con una posteriore, suggestiva annotazione - mediante la supposizione che il giubilo del desiderio faccia cantare ad entrambi il medesimo “hosanna” (Y. Congar, Ecclesia ab Abel, in Abhandlungen über Theologie und Kirche. Festschrift Karl Adam, Düsseldorf 1952, 103, n. 65, rimanda a Pietro di Mora, Capuano, 1242, e ad Adamo di S. Vittore. L’allusione è a Mc 11,9: “Qui praeibant et qui sequebantur clamabant dicentes Hosanna”).
da una conferenza di Bruno Forte, non rivista dall’autore, tenuta il 4 novembre 2004 presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, organizzata dal Centro Cardinal Bea in collaborazione con il SIDIC Roma e con il sostegno dell’American Jewish Committee, dal titolo Israele e la Chiesa: i due esploratori della Terra promessa. Per una teologia cristiana dell’ebraismo, pubblicata sul sito www.nostreradici.it
Un’immagine biblica, riletta nell’interpretazione patristica, può introdurci efficacemente nella riflessione sulla questione che ci sta a cuore (...) quella - tratta dal libro dei Numeri - dei due esploratori di ritorno dalla terra di Canaan, che portano insieme un’asta da cui pende il grappolo d’uva, che essi accompagnano col frutto del melograno e il fico: “Giunsero fino alla valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi ”(Num 13,23).
Nell’asta portata dai due i Padri della Chiesa hanno voluto vedere il legno della Croce, da cui pende Cristo: “Figura Christi pendentis in ligno” (Così afferma ad esempio Evagrio (verso il 430): Altercatio inter Theophilum et Simonem: PL 20,1175. Cf. H. Leclerq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et Liturgie, 3, 169s.; C. Leonardi, Ampelos. Il simbolo della Vite nell’arte pagana e paleocristiana, Roma 1947, 149-163), mentre nei due portatori, uniti e separati da quel legno, hanno riconosciuto Israele e la Chiesa: “Subvectantes phalanguam, duorum populorum figuram ostendebant, unum priorem, scilicet vestrum, terga Christum dantem, alium posteriorem, racemum respicientem, scilicet noster populus intelligitur” (Ancora Evagrio, Altercatio inter Theophilum et Simonem: PL 20,1175. Stesse idee in S. Massimo di Torino, metà del V sec.: Hom. 79: PL 57,423s). In quanto essi marciano l’un dietro l’altro, chi precede guarda solo davanti a sé ed è perciò figura d’Israele, popolo della speranza e dell’attesa delle cose venienti e nuove, assicurate dalla promessa di Dio; chi viene dietro vede, invece, colui che gli sta davanti e l’orizzonte da questi abbracciato attraverso il grappolo appeso al legno ed è perciò figura della Chiesa, che ha in Cristo crocefisso la chiave di lettura anche dell’antico Israele e della promessa fatta ai padri. Col mostrare la differenza, l’immagine afferma non di meno la continuità che esiste fra i due popoli, non solo per il legame dell’unica asta che entrambi gli esploratori sostengono, ma anche per l’orizzonte comune cui si rivolge il loro sguardo. L’idea della continuità sarà evidenziata - con una posteriore, suggestiva annotazione - mediante la supposizione che il giubilo del desiderio faccia cantare ad entrambi il medesimo “hosanna” (Y. Congar, Ecclesia ab Abel, in Abhandlungen über Theologie und Kirche. Festschrift Karl Adam, Düsseldorf 1952, 103, n. 65, rimanda a Pietro di Mora, Capuano, 1242, e ad Adamo di S. Vittore. L’allusione è a Mc 11,9: “Qui praeibant et qui sequebantur clamabant dicentes Hosanna”).