Cristianesimo: è europeo? (da Benedetto XVI)
(dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre televisioni tedesche il 13 agosto 2006)
Domanda: Santo Padre, il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo a partire dall’Europa. Ora, molti che si occupano dell’argomento dicono che il futuro della Chiesa si trova negli altri continenti. E’ vero? O in altre parole, che futuro ha il cristianesimo in Europa, dove sembra che esso si stia riducendo a faccenda privata di una minoranza?
Benedetto XVI: Anzitutto io vorrei introdurre qualche sfumatura. In verità, come sappiamo, il cristianesimo è sorto nel Vicino Oriente. E per lungo tempo il suo sviluppo principale è rimasto là e si è diffuso in Asia molto di più di quanto noi oggi pensiamo dopo i cambiamenti portati dall’Islam. D’altra parte, proprio per questo motivo il suo asse si è spostato sensibilmente verso l’Occidente e l’Europa, e l’Europa – ne siamo fieri e ce ne rallegriamo – ha ulteriormente sviluppato il cristianesimo nelle sue grandi dimensioni anche intellettuali e culturali. Ma credo che sia importante ricordarci dei cristiani d’Oriente, poiché al momento vi è il pericolo che essi, che sono stati sempre ancora una minoranza importante, adesso emigrino. E vi è il grande pericolo che proprio questi luoghi d’origine del cristianesimo rimangano privi di cristiani. Penso che dobbiamo aiutare molto perché essi possano restare.
Ma ora veniamo alla Sua domanda. L’Europa è diventata certamente il centro del cristianesimo e del suo impegno missionario. Oggi gli altri continenti, le altre culture, entrano con peso uguale nel concerto della storia del mondo. Così cresce il numero delle voci della Chiesa, e questo è bene. E’ bene che si possano esprimere i diversi temperamenti, i doni propri dell’Africa, dell’Asia e dell’America, in particolare anche dell’America Latina. Tutti naturalmente sono toccati non solo dalla parola del cristianesimo, ma anche dal messaggio secolaristico di questo mondo, che porta anche negli altri continenti la prova dirompente che noi abbiamo subito in noi stessi. Tutti i Vescovi delle altre parti del mondo dicono: noi abbiamo ancora bisogno dell’Europa, anche se l’Europa ora è solo una parte di un tutto più grande. Noi abbiamo tuttora una responsabilità al riguardo. Le nostre esperienze, la scienza teologica che è stata qui sviluppata, tutta la nostra esperienza liturgica, le nostre tradizioni, anche le esperienze ecumeniche che abbiamo accumulato: tutto ciò è molto importante anche per gli altri continenti. Perciò bisogna che noi oggi non capitoliamo dicendo: “Ecco, siamo solo una minoranza, cerchiamo almeno di conservare il nostro piccolo numero!”. Dobbiamo invece conservare vivo il nostro dinamismo, aprire rapporti di scambio, cosicché di là vengano anche forze nuove per noi. Oggi vi sono sacerdoti indiani ed africani in Europa, anche in Canada, dove molti sacerdoti africani lavorano; è interessante. Vi è questo dare e ricevere vicendevole. Ma anche se in futuro dovremo essere piuttosto coloro che ricevono, dovremmo tuttavia rimanere sempre capaci di dare e sviluppare in tal senso il necessario coraggio e dinamismo.
Domanda: E’ un argomento che è stato già in parte toccato, Santo Padre. Le società moderne nelle decisioni importanti riguardo alla politica e alla scienza non si orientano secondo i valori cristiani e la Chiesa – lo sappiamo dalle inchieste – viene considerata perlopiù solo come una voce ammonitrice o addirittura frenante. La Chiesa non dovrebbe uscire da questa posizione difensiva e assumere un atteggiamento più positivo riguardo al futuro e alla sua costruzione?
Benedetto XVI: Direi che in ogni caso abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. E’ importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.
Domanda: Santo Padre, il cristianesimo si è diffuso in tutto il mondo a partire dall’Europa. Ora, molti che si occupano dell’argomento dicono che il futuro della Chiesa si trova negli altri continenti. E’ vero? O in altre parole, che futuro ha il cristianesimo in Europa, dove sembra che esso si stia riducendo a faccenda privata di una minoranza?
Benedetto XVI: Anzitutto io vorrei introdurre qualche sfumatura. In verità, come sappiamo, il cristianesimo è sorto nel Vicino Oriente. E per lungo tempo il suo sviluppo principale è rimasto là e si è diffuso in Asia molto di più di quanto noi oggi pensiamo dopo i cambiamenti portati dall’Islam. D’altra parte, proprio per questo motivo il suo asse si è spostato sensibilmente verso l’Occidente e l’Europa, e l’Europa – ne siamo fieri e ce ne rallegriamo – ha ulteriormente sviluppato il cristianesimo nelle sue grandi dimensioni anche intellettuali e culturali. Ma credo che sia importante ricordarci dei cristiani d’Oriente, poiché al momento vi è il pericolo che essi, che sono stati sempre ancora una minoranza importante, adesso emigrino. E vi è il grande pericolo che proprio questi luoghi d’origine del cristianesimo rimangano privi di cristiani. Penso che dobbiamo aiutare molto perché essi possano restare.
Ma ora veniamo alla Sua domanda. L’Europa è diventata certamente il centro del cristianesimo e del suo impegno missionario. Oggi gli altri continenti, le altre culture, entrano con peso uguale nel concerto della storia del mondo. Così cresce il numero delle voci della Chiesa, e questo è bene. E’ bene che si possano esprimere i diversi temperamenti, i doni propri dell’Africa, dell’Asia e dell’America, in particolare anche dell’America Latina. Tutti naturalmente sono toccati non solo dalla parola del cristianesimo, ma anche dal messaggio secolaristico di questo mondo, che porta anche negli altri continenti la prova dirompente che noi abbiamo subito in noi stessi. Tutti i Vescovi delle altre parti del mondo dicono: noi abbiamo ancora bisogno dell’Europa, anche se l’Europa ora è solo una parte di un tutto più grande. Noi abbiamo tuttora una responsabilità al riguardo. Le nostre esperienze, la scienza teologica che è stata qui sviluppata, tutta la nostra esperienza liturgica, le nostre tradizioni, anche le esperienze ecumeniche che abbiamo accumulato: tutto ciò è molto importante anche per gli altri continenti. Perciò bisogna che noi oggi non capitoliamo dicendo: “Ecco, siamo solo una minoranza, cerchiamo almeno di conservare il nostro piccolo numero!”. Dobbiamo invece conservare vivo il nostro dinamismo, aprire rapporti di scambio, cosicché di là vengano anche forze nuove per noi. Oggi vi sono sacerdoti indiani ed africani in Europa, anche in Canada, dove molti sacerdoti africani lavorano; è interessante. Vi è questo dare e ricevere vicendevole. Ma anche se in futuro dovremo essere piuttosto coloro che ricevono, dovremmo tuttavia rimanere sempre capaci di dare e sviluppare in tal senso il necessario coraggio e dinamismo.
Domanda: E’ un argomento che è stato già in parte toccato, Santo Padre. Le società moderne nelle decisioni importanti riguardo alla politica e alla scienza non si orientano secondo i valori cristiani e la Chiesa – lo sappiamo dalle inchieste – viene considerata perlopiù solo come una voce ammonitrice o addirittura frenante. La Chiesa non dovrebbe uscire da questa posizione difensiva e assumere un atteggiamento più positivo riguardo al futuro e alla sua costruzione?
Benedetto XVI: Direi che in ogni caso abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi vogliamo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. E’ importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Europa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insieme in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che abbiamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi possediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è necessaria proprio oggi.