La liturgia e l'obbedienza ad essa, scuola della misura di Cristo (da Joseph Ratzinger)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /03 /2008 - 23:29 pm | Permalink | Homepage
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Da Chi ci aiuta a vivere?, di Joseph Ratzinger, Queriniana, Brescia, 2006, p. 136.

Uno potrebbe dire: io non sopporto l’aria cattiva degli edifici ecclesiastici e i canti noiosi. Mi disturba inginocchiarmi stretto tra gente d’ogni tipo che io non conosco e ascoltare un parroco che recita preghiere che io non capisco. Preferisco andare in montagna, nel bosco, al mare e mi sento più religioso immerso nella libera natura di Dio piuttosto che in una assemblea che non mi dice nulla. A questo occorre rispondere: non possiamo scegliere noi se e come vogliamo onorare Dio; ciò che conta è che noi rispondiamo a lui là dove egli si dà a noi. Non possiamo stabilire di nostra iniziativa dove Dio debba incontrarci e non possiamo arrivare fino a lui da noi stessi, per nostra volontà.

Egli può venire a noi e farsi da noi trovare, dove egli vuole. Perciò dobbiamo rispondergli là dove egli ha prima risposto a noi, e non là dove noi preferiremmo averlo. Celebrare l’eucaristia significa che noi entriamo nella risposta di Dio già data e in essa diventiamo noi stessi capaci di rispondere. L’importante non è un qualunque pio sentimento che riduce la religione a qualcosa di non vincolante e di privato, ma l’obbedienza che accoglie il suo appello. Il Signore non vuole i nostri sentimenti privati, ma intende raccoglierci a formare una comunità e, a partire dalla fede, vuole costruire la nuova comunità della chiesa. Della liturgia fa parte il corpo e fa parte la comunità con i suoi limiti e le sue scomodità.

Perciò anche il chiederci: “Che cosa mi dice?”, è domanda ingannevole. Nella liturgia non possiamo essere semplicemente dei passivi ricevitori, che si lasciano inondare di bei sentimenti e alla fine misurano il profitto del proprio benessere psichico per valutare in base a esso il valore della liturgia. Nella liturgia non si tratta del fatto che essa ‘dica’ qualcosa, ma di coinvolgere noi stessi nell’obbedienza della fede e della chiesa. Questo non lo si coglie subito nel guadagno psichico misurabile, anzi all’inizio può essere persino faticoso. Ma chi si lascia continuamente interpellare dalla liturgia, chi accetta la difficoltà del pregare comunitario con le preghiere antiche della fede, chi credendo e pregando penetra nella profondità di questa corrente di preghiera, costui sperimenta come a poco a poco viene portato oltre se stesso; il suo pensare e tutta la sua vita acquistano profondità, purezza e libertà.

Non si tratta affatto più del proprio piccolo Io; chi, di domenica in domenica, celebra l’eucaristia della chiesa, prende parte alla grandezza e all’ampiezza del pregare della chiesa, che si estende universalmente e temporalmente, e in esso alla ampiezza di Gesù Cristo stesso, il quale nell’eucaristia mantiene la sua promessa: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Perciò non si tratta neppure di fare dell’eucaristia un oggetto di forme arbitrarie, in cui ciò che è grande viene ridotto a nostra misura: non è l’eucaristia che va ridotta alla nostra misura, ma noi dobbiamo lasciarci portare alla sua misura, la misura di Gesù Cristo.