Il bene del prossimo e lo studio (da sant’Agostino di Ippona)
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Da Agostino, La Città di Dio, 19, 19
Non importa certamente nulla alla città celeste con quale contegno e tenore di vita, se non è contro i divini comandamenti, si professi la fede con cui si giunge a Dio; quindi neanche ai filosofi, quando diventano cristiani, impone di mutare il contegno e modo di vivere, se non ostacolano la religione, ma di mutare solamente le false dottrine. Quindi non si preoccupa affatto di quella caratteristica che Varrone ha desunto dai cinici, se non induce a un comportamento contro la decenza e la temperanza.
Riguardo poi ai tre tipi di vita: dedito agli studi, attivo e misto, sebbene, salva la fede, si possa in ognuno di essi trascorrere la vita e giungere al premio eterno, importa tuttavia che cosa si raggiunga nella ricerca della verità e che cosa s'impegni per dovere di carità. Così non si deve essere dediti allo studio al punto che non si pensi al bene del prossimo, né così attivi che non si attui la conoscenza metafisica di Dio.
Nello studio non deve allettare l'inetta assenza d'impegni, ma la ricerca e il raggiungimento della verità, in maniera che si abbia un progresso e non si rifiuti all'altro quel che si è raggiunto.
Nella vita attiva non si devono amare le dignità in questa vita o il potere, poiché tutto è vanità sotto il sole, ma l'attività stessa che si esercita con la dignità o potere, se si esercita con onestà e vantaggio, cioè affinché contribuisca a quel benessere dei sudditi che è secondo Dio. […]
Ha detto perciò l'Apostolo: Chi aspira all'episcopato aspira a un nobile lavoro. Volle spiegare che cos'è l'episcopato perché è denominazione di un lavoro e non di una dignità. La parola è greca e se ne ha etimologicamente il significato.
Infatti chi è preposto sovrintende a coloro ai quali è preposto perché ne ha la cura. Σχοπος appunto significa essere intento, quindi, se si vuole, επισχοπειν si può tradurre "soprintendere", affinché capisca che non è vescovo chi si illude di avere il comando senza giovare.
Perciò non ci si distoglie dall'attitudine di conoscere la verità perché è attitudine pertinente a un lodevole impegno nello studio. Al contrario, non conviene aspirare a una carica superiore senza la quale non può essere governato uno Stato, sebbene in termini di amministrazione sia governato come conviene. Pertanto l'amore della verità cerca un religioso disimpegno, l'obbligo della carità accetta un onesto impegno.
E se questo fardello non viene imposto, si deve attendere e ricercare e intuire la verità, e se viene imposto, si deve accettarlo per obbligo di carità, ma anche in questo caso non si deve abbandonare del tutto il diletto della verità, affinché non venga a cessare quell'attrattiva e non opprima questa obbligazione.