Giovanni esprime il nuovo 'noi' della chiesa istituito da Gesù (da Joseph Ratzinger)
da Joseph Ratzinger, Il cammino pasquale, Ancora, Milano, 2006, pp.126-127
La domanda se Gesù abbia voluto fondare una Chiesa è una domanda falsa perché non corrisponde al problema storico reale. L’esatta impostazione della domanda può solo essere se Gesù abbia voluto abolire il popolo di Dio già esistente o rinnovarlo. La risposta a questa precisa domanda è chiara: Gesù ha rinnovato l’antico popolo di Dio, facendolo diventare nuovo popolo mediante l’inserimento di coloro che credono in lui nella comunità sua propria (il suo “corpo”). Egli ha fatto questo nel momento in cui ha trasformato la sua morte in un atto di preghiera, in un atto di amore, rendendosi così comunicabile. Si potrebbe anche conseguentemente dire che Gesù, con il suo annuncio e con tutta la sua persona, è entrato in Israele – popolo di Dio – soggetto della tradizione già esistente, e con ciò ha reso possibile la comunione con il suo proprio atto esistenziale-intimo, il dialogo con il Padre. Questo è il più profondo contenuto di quel procedimento, con il quale ha insegnato ai suoi Apostoli a dire “Padre nostro”. Se è così, allora la comunione di vita con Gesù e la conseguente conoscenza di Gesù presuppongono quella comunicazione con il soggetto vivo della tradizione, al quale tutto questo è legato, ossia la comunicazione con la Chiesa. Il messaggio di Gesù non ha mai potuto vivere d’altro, né comunicare la vita, se non in questa partecipazione. Anche il libro del Nuovo Testamento presuppone la Chiesa come suo soggetto. Esso è cresciuto in lei e in forza di lei; esso trova la sua unità soltanto nella fede di lei, che riunisce in unità ciò che è diverso. Questo legame di tradizione, conoscenza e comunione di vita appare in tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Per poterlo esprimere, Giovanni, nel suo Vangelo e nelle sue Lettere, ha coniato il termine figurato del “noi” ecclesiale. Così ad esempio nei versi conclusivi della sua prima lettera s’incontra tre volte la formula “noi sappiamo” (1 Gv 5,18-20). Essa si trova anche nel colloquio di Gesù con Nicodemo (Gv 3,11), e si riferisce ogni volta alla Chiesa come soggetto di conoscenza della fede. Stessa funzione ha il concetto di “memoria” contenuto nel quarto Vangelo. Con questa parola, l’Evangelista presenta l’intreccio di tradizione e conoscenza. Ma egli chiarisce anche, prima di tutto, che sviluppo e difesa dell’identità della fede stanno insieme. Si potrebbe anche descrivere così questo pensiero: la tradizione della Chiesa è quel soggetto trascendentale, in cui la memoria del passato è presente. Perciò con il progredire del tempo si può vedere chiaramente e meglio comprendere, nella luce dello Spirito Santo che conduce alla verità (Gv 16,13; cf. 14,26), ciò che è già contenuto nella memoria. Questo progresso non è un nascere da un totalmente nuovo, ma un processo in cui la memoria “entra” nell’interno di se stessa.
La domanda se Gesù abbia voluto fondare una Chiesa è una domanda falsa perché non corrisponde al problema storico reale. L’esatta impostazione della domanda può solo essere se Gesù abbia voluto abolire il popolo di Dio già esistente o rinnovarlo. La risposta a questa precisa domanda è chiara: Gesù ha rinnovato l’antico popolo di Dio, facendolo diventare nuovo popolo mediante l’inserimento di coloro che credono in lui nella comunità sua propria (il suo “corpo”). Egli ha fatto questo nel momento in cui ha trasformato la sua morte in un atto di preghiera, in un atto di amore, rendendosi così comunicabile. Si potrebbe anche conseguentemente dire che Gesù, con il suo annuncio e con tutta la sua persona, è entrato in Israele – popolo di Dio – soggetto della tradizione già esistente, e con ciò ha reso possibile la comunione con il suo proprio atto esistenziale-intimo, il dialogo con il Padre. Questo è il più profondo contenuto di quel procedimento, con il quale ha insegnato ai suoi Apostoli a dire “Padre nostro”. Se è così, allora la comunione di vita con Gesù e la conseguente conoscenza di Gesù presuppongono quella comunicazione con il soggetto vivo della tradizione, al quale tutto questo è legato, ossia la comunicazione con la Chiesa. Il messaggio di Gesù non ha mai potuto vivere d’altro, né comunicare la vita, se non in questa partecipazione. Anche il libro del Nuovo Testamento presuppone la Chiesa come suo soggetto. Esso è cresciuto in lei e in forza di lei; esso trova la sua unità soltanto nella fede di lei, che riunisce in unità ciò che è diverso. Questo legame di tradizione, conoscenza e comunione di vita appare in tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Per poterlo esprimere, Giovanni, nel suo Vangelo e nelle sue Lettere, ha coniato il termine figurato del “noi” ecclesiale. Così ad esempio nei versi conclusivi della sua prima lettera s’incontra tre volte la formula “noi sappiamo” (1 Gv 5,18-20). Essa si trova anche nel colloquio di Gesù con Nicodemo (Gv 3,11), e si riferisce ogni volta alla Chiesa come soggetto di conoscenza della fede. Stessa funzione ha il concetto di “memoria” contenuto nel quarto Vangelo. Con questa parola, l’Evangelista presenta l’intreccio di tradizione e conoscenza. Ma egli chiarisce anche, prima di tutto, che sviluppo e difesa dell’identità della fede stanno insieme. Si potrebbe anche descrivere così questo pensiero: la tradizione della Chiesa è quel soggetto trascendentale, in cui la memoria del passato è presente. Perciò con il progredire del tempo si può vedere chiaramente e meglio comprendere, nella luce dello Spirito Santo che conduce alla verità (Gv 16,13; cf. 14,26), ciò che è già contenuto nella memoria. Questo progresso non è un nascere da un totalmente nuovo, ma un processo in cui la memoria “entra” nell’interno di se stessa.