Trinità: la mediazione del Figlio non allontana da Dio, ma lo porta vicino a noi (da Joseph Ratzinger)
Da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 1996, pp.122-123
In Gesù Cristo, c’è un uomo che si ritiene e si professa al contempo Figlio di Dio. S’incontra così Dio nella figura d’un inviato che è intrinsecamente Dio e non un qualsiasi intermediario, eppure dice a Dio “Padre” assieme a noi. Da questo eccezionale fatto, nasce un autentico paradosso: da un lato quest’uomo chiama Dio suo Padre, parlandogli come rivolgendosi ad un ‘tu’ che gli sta di fronte; ora, se ciò non può certo essere una mera finzione scenica, ma deve invece costituire una verità, che è la sola degna di Dio, egli deve essere diverso dal Padre, al quale egli si rivolge come noi pure ci rivolgiamo. Dall’altro però, egli stesso impersona la reale vicinanza di Dio in atto d’accostarsi a noi; egli incarna la mediazione di Dio nei nostri confronti, proprio in quanto è egli stesso Dio-Uomo, Dio in veste e natura umana: il Dio-con-noi (‘Emmanuel’). La sua mediazione finirebbe in fondo per distruggersi da sé, trasformandosi in una azione dissociatrice invece che mediatrice, qualora egli fosse un essere diverso da Dio, qualora fosse solo un’entità intermedia. In tal caso infatti egli non ci agevolerebbe l’accostamento a lui, ma ci allontanerebbe da lui. Ne viene che egli in quanto mediatore è Dio stesso e ‘uomo egli stesso’, ambedue in maniera ugualmente reale e totale. Ora, ciò comporta che qui Dio ci si presenta non come Padre, bensì come Figlio e nostro fratello; col risultato che – con un procedimento inconcepibile e insieme altamente concepibile – viene a manifestarsi una dualità sussistente in Dio, ossia l’esistenza d’un ‘io’ e d’un ‘tu’ nella sua unica essenza. A questa nuova esperienza di Dio, fa seguito infine come terzo elemento la constatazione dello Spirito, della presenza di Dio in noi, nel nostro intimo. Ne viene ancora una volta che questo ‘Spirito’ non s’identifica né col Padre, né col Figlio, e neppure istituisce un terzo elemento fra Dio e noi; è invece la modalità in cui Dio stesso si concede a noi, in cui s’inserisce in noi così da essere nell’uomo, pur restando sempre, anche in questa ‘inabitazione’, infinitamente al di sopra di lui.
In Gesù Cristo, c’è un uomo che si ritiene e si professa al contempo Figlio di Dio. S’incontra così Dio nella figura d’un inviato che è intrinsecamente Dio e non un qualsiasi intermediario, eppure dice a Dio “Padre” assieme a noi. Da questo eccezionale fatto, nasce un autentico paradosso: da un lato quest’uomo chiama Dio suo Padre, parlandogli come rivolgendosi ad un ‘tu’ che gli sta di fronte; ora, se ciò non può certo essere una mera finzione scenica, ma deve invece costituire una verità, che è la sola degna di Dio, egli deve essere diverso dal Padre, al quale egli si rivolge come noi pure ci rivolgiamo. Dall’altro però, egli stesso impersona la reale vicinanza di Dio in atto d’accostarsi a noi; egli incarna la mediazione di Dio nei nostri confronti, proprio in quanto è egli stesso Dio-Uomo, Dio in veste e natura umana: il Dio-con-noi (‘Emmanuel’). La sua mediazione finirebbe in fondo per distruggersi da sé, trasformandosi in una azione dissociatrice invece che mediatrice, qualora egli fosse un essere diverso da Dio, qualora fosse solo un’entità intermedia. In tal caso infatti egli non ci agevolerebbe l’accostamento a lui, ma ci allontanerebbe da lui. Ne viene che egli in quanto mediatore è Dio stesso e ‘uomo egli stesso’, ambedue in maniera ugualmente reale e totale. Ora, ciò comporta che qui Dio ci si presenta non come Padre, bensì come Figlio e nostro fratello; col risultato che – con un procedimento inconcepibile e insieme altamente concepibile – viene a manifestarsi una dualità sussistente in Dio, ossia l’esistenza d’un ‘io’ e d’un ‘tu’ nella sua unica essenza. A questa nuova esperienza di Dio, fa seguito infine come terzo elemento la constatazione dello Spirito, della presenza di Dio in noi, nel nostro intimo. Ne viene ancora una volta che questo ‘Spirito’ non s’identifica né col Padre, né col Figlio, e neppure istituisce un terzo elemento fra Dio e noi; è invece la modalità in cui Dio stesso si concede a noi, in cui s’inserisce in noi così da essere nell’uomo, pur restando sempre, anche in questa ‘inabitazione’, infinitamente al di sopra di lui.