Scelte (da Liliana Segre)
da Liliana Segre, Testimonianza, in “Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile", n. 2 2005, pp. 163-164
Sognavamo di uscire da quel cancello, di strappare quell’erba, quelle foglie, di mettercele in bocca, di sentire il sapore della clorofilla. E questo avvenne, in quei giorni di fine aprile, proprio l’ultimo giorno di aprile, aprirono quel cancello e ancora prigioniere, con le guardie vicine, quelle che ancora stavano in piedi, uscimmo da quel cancello e veramente strappavamo l’erba, le foglie e ce le mettevamo in bocca, non potevamo mandarle giù, ma sentivamo che era un sapore speciale, diverso, sognato e improvvisamente: un miracolo! [...] Noi non capivamo niente e le nostre guardie che camminavano insieme a noi, buttavano via le divise, le armi, si mettevano in borghese, in mutande [...] Quando anche il comandante di quell’ultimo campo vicino a me, mi sfiorava, si mise in mutande, quell’uomo alto, sempre elegantissimo, crudele sulle prigioniere inermi e buttò la divisa sul fosso, la sua pistola cadde ai miei piedi ed io ebbi la tentazione fortissima di prenderla e sparargli. Io avevo odiato, avevo sofferto tanto, sognavo la vendetta: quando vidi quella pistola ai miei piedi, pensai di chinarmi, prendere la pistola e sparargli. Mi sembrava un giusto finale di quella storia, ma capii di esser tanto diversa dal mio assassino, che la mia scelta di vita non si poteva assolutamente coniugare con la teoria dell’odio e del fanatismo nazista; io nella mia debolezza estrema ero molto più forte del mio assassino, non avrei mai potuto raccogliere quella pistola, e da quel momento sono stata libera.