La nostra anima spesso ama quel che aveva disprezzato e poi disprezza quel che amava: la sicura gioia del segreto interiore e l’effimero (da San Gregorio Magno)
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da Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, II, VIII, 54, Città Nuova Editrice/1, Roma 1992, p.667
La nostra stessa anima, esclusa dalla sicura gioia del segreto interiore (a secreti interioris securo gaudio exclusa), ora è illusa dalla sua speranza, ora vessata dalla sua paura, ora abbattuta dal dolore e ora sollevata dalla sua falsa allegrezza. Ama con pertinacia le cose transitorie e continuamente si spaventa per la loro perdita, perché cambia secondo il rapido mutar degli eventi (et incessanter cursu rapiente permutatur): è soggetta alle cose mutevoli e per questo essa pure muta. Sempre alla ricerca di quello che non ha, lo accoglie ansiosa, e appena l'ha avuto si annoia di aver ottenuto quel che cercava (nam quaerens quod non habet, anxia percipit; cumque habere coeperit, taedet hanc). Spesso ama quel che aveva disprezzato e poi disprezza quel che amava (Amat saepe quod despexerat, despicit quod amabat). Con fatica impara le cose eterne e subito se ne dimentica quando cessa di soffrire (horum repente obliviscitur, si laborare desierit). Cerca a lungo per trovare appena qualcosa delle cose supreme, ma appena tornata alla solita vita, non persevera neppure in quel poco che ha trovato (nec parum in his quae invenerit perseverat).