Dispersi (da Carlo Mazza)
(Da Carlo Mazza, Per una speranza viva. Lettura spirituale della prima Lettera di Pietro, EDB, Bologna, 2006)
I primi destinatari della parola scritta di Pietro sono i “fedeli dispersi”. Ricevono la Lettera nella “dispersione” del mondo perché ci vivono come forestieri, osservati con ostilità. Simbolicamente eredi del vero Israele “disperso” tra le nazioni, ugualmente eredi delle promesse, dell’alleanza e delle profezie, i discepoli del Signore rappresentano un “segno di contraddizione” (cf. Lc 2,34) in mezzo alla società. Da “dispersi” sentono il peso della “diversità”. Inseriti in un ambiente estraneo alla fede, sanno che la loro condizione di cristiani induce al sospetto cittadini e autorità. Sono una minoranza, forse una rarità, ma la loro situazione è consapevolmente prevedibile e prevista in quanto segno della volontà di Dio. E’ una volontà favorevole che dischiude definitivamente un progetto di redenzione per l’intera umanità. Comprendendo sempre di più la grazia della fede, i cristiani sono chiamati a essere testimoni ed evangelizzatori in mezzo ai popoli in cui sono “dispersi”. Non si adagiano in una rassegnazione fatalistica, ma li sostiene la convinzione di non essere abbandonati, quasi travolti dalle condizioni avverse. Vivono nelle città le contraddizioni cocenti di chi sta dentro la storia nella debolezza, disarmati di ogni sicurezza istituzionale e mondana. Condividono diritti e doveri della cittadinanza terrena, ma guardano altrove, vivendo coerentemente da “stranieri”. Prima ancora di essere cacciati o ripudiati, la loro forma di vita proclama l’estraneità come originale visione della vita e come singolare modo di essere nel mondo, più proiettati verso il tempo ultimo imminente che miranti a conquistare posizioni di rilievo e di dominio nel presente. Alla nostra consapevolezza di oggi va costantemente ricordata la condizione di provvisorietà e di precarietà della vita umana per coltivarne il senso ultimo, l’orientamento finale, il suo vero compimento. Il senso del presente infatti si adempie nel futuro, ben sapendo che presente e futuro prendono valore dal passato, secondo un preordinato e provvidenziale disegno di salvezza. I cristiani, anche in mezzo alle difficoltà e oscurità del presente, non si scoraggiano e non si perdono nella confusione. Profondamente convinti che Dio guida la storia e porta a buon fine ogni cosa (cf.Gv 15,18-25; 16,1-4.20.32-33), accettano l’ostilità come “grazia appartenendo – nella sequela di Cristo – alla natura stessa dell’essere cristiani (cf.1Pt 4,12-14;3,17)”.
I primi destinatari della parola scritta di Pietro sono i “fedeli dispersi”. Ricevono la Lettera nella “dispersione” del mondo perché ci vivono come forestieri, osservati con ostilità. Simbolicamente eredi del vero Israele “disperso” tra le nazioni, ugualmente eredi delle promesse, dell’alleanza e delle profezie, i discepoli del Signore rappresentano un “segno di contraddizione” (cf. Lc 2,34) in mezzo alla società. Da “dispersi” sentono il peso della “diversità”. Inseriti in un ambiente estraneo alla fede, sanno che la loro condizione di cristiani induce al sospetto cittadini e autorità. Sono una minoranza, forse una rarità, ma la loro situazione è consapevolmente prevedibile e prevista in quanto segno della volontà di Dio. E’ una volontà favorevole che dischiude definitivamente un progetto di redenzione per l’intera umanità. Comprendendo sempre di più la grazia della fede, i cristiani sono chiamati a essere testimoni ed evangelizzatori in mezzo ai popoli in cui sono “dispersi”. Non si adagiano in una rassegnazione fatalistica, ma li sostiene la convinzione di non essere abbandonati, quasi travolti dalle condizioni avverse. Vivono nelle città le contraddizioni cocenti di chi sta dentro la storia nella debolezza, disarmati di ogni sicurezza istituzionale e mondana. Condividono diritti e doveri della cittadinanza terrena, ma guardano altrove, vivendo coerentemente da “stranieri”. Prima ancora di essere cacciati o ripudiati, la loro forma di vita proclama l’estraneità come originale visione della vita e come singolare modo di essere nel mondo, più proiettati verso il tempo ultimo imminente che miranti a conquistare posizioni di rilievo e di dominio nel presente. Alla nostra consapevolezza di oggi va costantemente ricordata la condizione di provvisorietà e di precarietà della vita umana per coltivarne il senso ultimo, l’orientamento finale, il suo vero compimento. Il senso del presente infatti si adempie nel futuro, ben sapendo che presente e futuro prendono valore dal passato, secondo un preordinato e provvidenziale disegno di salvezza. I cristiani, anche in mezzo alle difficoltà e oscurità del presente, non si scoraggiano e non si perdono nella confusione. Profondamente convinti che Dio guida la storia e porta a buon fine ogni cosa (cf.Gv 15,18-25; 16,1-4.20.32-33), accettano l’ostilità come “grazia appartenendo – nella sequela di Cristo – alla natura stessa dell’essere cristiani (cf.1Pt 4,12-14;3,17)”.