La questione della riforma liturgica del Vaticano II oggi (da Benedetto XVI)
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da Papa Benedetto XVI – Il Circolo degli studenti – Card. K. Koch, Il Concilio Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, LEV, Città del Vaticano, 2013, pp. 180-186
Papa Benedetto XVI: […] Siamo lieti che la liturgia sia diventata trasparente, siamo anche lieti che ora sia celebrata in lingua corrente.
Per quanto concerne il latino anche adesso nella candidatura a vescovo emerge il problema della conoscenza della lingua. «Lui conosce un po' di latino» si dice qualche volta. Non si può certo fare grande sfoggio di questa cosa. Tuttavia ritengo che non si debba perdere totalmente il latino. Negli incontri internazionali dovrebbe poter legare una componente fondamentale in tutti i testi. Si dovrebbe poter cantare il Pater noster, il Sanctus e l'Agnus Dei. Questo rinforza anche il senso di comunitarietà e dona un'esperienza concreta di cattolicità. Per questo scopo non è necessario lo studio del latino. L'essenziale di ciò che è stato detto dovrebbe essere reso noto: cioè quello che il Sanctus, l'Agnus Dei e il Pater noster significano. In San Pietro già lo facciamo: preghiamo il Canone con l'assemblea in latino in modo che anche i credenti sappiano di cosa si tratta. Naturalmente è importante che nessuno venga a messa senza alcune conoscenze fondamentali, che piuttosto esiste una formazione di base che consente la comprensione anche di quegli elementi che sebbene non si comprendano a livello linguistico, possono essere compresi nel loro nucleo essenziale. Qualcosa in riferimento al canone: la grande preghiera di ringraziamento in cui il Signore si fa presente in mezzo a noi e a noi si dona.
Direi: in generale dobbiamo essere grati. Dobbiamo certamente riflettere su ciò che può essere fatto meglio. lo sono contrario a grandi modifiche esteriori e strutturali che generano nuove inquietudini. Si ottiene molto di più attraverso un'interiore educazione all'essenza della liturgia. Questo ha inteso anche Udo Schiffers dicendo che deve avvenire un'iniziazione interiore attraverso cui si impara ciò che è la liturgia e ciò che in essa accade. Dipende insomma dal fatto che non si coltiva il proprio fare, con il quale in definitiva si approda sempre a se stessi e alla fine non ci si arricchisce, ma ci si svuota; che ciascuno sappia: qui succede qualcosa, qui Lui viene incontro a noi, qui Egli ci parla, qui noi gli rispondiamo, qui noi nel silenzio ci lasciamo toccare da Lui, qui si dona a noi.
Secondo il mio parere, rinnovare queste essenziali conoscenze dovrebbe essere il compito della catechesi e delle omelie. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha deciso di fare una specie di campionario per le liturgie - non un libro con testi già pronti ma con alcuni dati di base, in che senso si deve parlare in taluni giorni affinché possa avvenire una continua educazione alla fede e alla liturgia. Così a proposito della direzione da assumere durante la preghiera ho proposto che non si debbano spostare di nuovo gli altari, girarli e così via, si dovrebbe piuttosto mettere sull'altare il crocifisso, la croce. Così si può […] vedere e guardare.
Abbiamo allora un punto di riferimento comune. Che stiamo davanti oppure dietro alla croce, guardiamo tutti verso il crocifisso e veniamo uniti dallo sguardo comune. Ed egli, il Crocifisso, è il vero oriens.
Naturalmente è sempre molto bello quando l'«orientamento» (a est) si può esprimere in maniera concreta, come avviene per molte chiese di epoca medievale nelle quali si trova una piccola apertura dalla finestra nella quale la luce del sole penetra nell'attimo in cui sorge. Celebrare insieme al cosmo è qualcosa di meraviglioso. Per questo sento le chiese in cemento che hanno solo luce artificiale e temperature artificiali come qualcosa di spaventoso, perché ci estraiamo dalla creazione e ci immettiamo in ciò che facciamo da soli. Superare questo avvitarsi, questo imprigionarsi in ciò che si produce da soli e uscire verso la libertà della creazione credo sia uno dei grandi aspetti della vera liturgia: che non siamo solo presenti a noi stessi nello spazio in cui noi facciamo, ma che noi ci proiettiamo nella grandezza del cosmo e della storia e andiamo incontro al Signore che ci viene incontro e anticipa la parusia già durante ogni liturgia.
In altre parole: l'aspetto decisivo mi sembra prima di tutto l'educazione liturgica attraverso la quale gli uomini diventano consapevoli che qui non ci troviamo insieme in modo che io faccia qualcosa e l'altro qualcos'altro, che egli dica qualcosa e che io dica qualcos'altro. Invece ci troviamo insieme perché l'Altro, perché Dio stesso si rivolge a noi. E ci troviamo perché noi così entriamo dentro alla grande dimensione d'insieme della Chiesa di ieri, oggi e domani arrivando nell'eternità. Ci troviamo insieme in un'assemblea che è più della comunità e certo con questo trovarsi diventa comunità che si immerge in tutta la Chiesa intera con la quale vive e impara a pregare. Naturalmente le preghiere autoprodotte sono più semplici da comprendere ma scivolano altrettanto facilmente nel banale. E forse è difficile pregare con i grandi testi della Chiesa.
Ma penso che uno dei contenuti della catechesi dovrebbe essere che nella preghiera noi ci leghiamo ai grandi oratori e pregando siamo parte della grande corrente di coloro che pregano - che a questo aggiungiamo e subordiniamo il nostro singolo pensiero affinché compiamo le grandi cose predisposte per noi con il nostro modesto io che è ancorato saldamente alla grandezza di tutta la Chiesa.
Entrambi i punti sono quindi: da una parte una vera conoscenza di ciò che è la liturgia e un lasciarsi condurre in essa. Questa deve essere vista nell'ottica del grande obiettivo da raggiungere con l'annuncio e la catechesi e far così ritornare la liturgia nuovamente alla sua grandezza cosmica e storico-salvifica, al suo incontro con Dio. D'altra parte - in ogni caso al momento - non si tratta di alcuna riforma strutturale ma solo di segno concreto collocare la croce come centro di entrambe le parti, il sacerdote e i credenti che non pregano diretti gli uni verso gli altri ma verso lo stesso Signore.
Anche per la musica vale il concetto di non perdere la continuità con quanto avuto sinora e al contempo di procedere in avanti: ermeneutica della continuità. Non si dovrebbe buttare via ciò che è vecchio ma custodire in tutto il mondo gli elementi della comunitarietà che ci aiutano ad andare gli uni incontro agli altri. Mi ha sempre colpito quello che hanno detto alcuni soldati della Seconda Guerra Mondiale: «Per quanto fossi in Francia o in qualsiasi altra parte - quando andavo a messa, ero a casa». Questi elementi di comunitarietà li dobbiamo imparare nuovamente e dobbiamo così mantenere saldi anche gli elementi della lingua latina e del corale gregoriano.
[…] vorrei anche sottolineare la questione dell'immagine. Veramente dopo il Concilio ci fu un'iconoclastia, una distruzione delle immagini. Ci furono chiese in cemento nelle quali non vi doveva essere appeso neanche un quadro. Ma da quando il Signore è diventato un uomo e si è reso visibile, l'immagine è stata introdotta nella Chiesa e quindi lo scontro iconoclasta è stato solo uno scontro per l’ortodossia. La celebrazione delle immagini che si è diffusa in seguito al secondo Concilio di Nicea è la celebrazione dell'Orthodoxia, della visibilità di Dio, che si comunica anche attraverso le immagini e in questo senso è anche una celebrazione della ricchezza dei sensi che vengono raccolti e orientati. li cardinale Meisner ha scritto un libro sulla sensorialità della fede. Questo lo ritengo giusto, nel senso che davvero il corpo e quindi i sensi entrano a far parte della grandezza e vengono innalzati e purificati casi da essere destinati non solo allo spirito ma a tutto l'uomo, anima e corpo, con i suoi sensi.
Credo che da quanto detto divenga evidente come noi possiamo essere grati per la riforma della liturgia anche se il suo corso è stato talvolta catastrofico. Non ho mai detto, credo, che fosse una catastrofe ma che il suo percorso in qualche tratto è stato catastrofico, questo lo si può e lo si deve davvero dire. Nel contempo, dobbiamo superare la mentalità del fare da sé e la mentalità dell'adeguamento, quindi della perdita di Dio e spingerei verso l'aspetto nodale.