Divaricazione fra famiglia e società (da Umberto Galimberti)
(da un intervento del prof.Umberto Galimberti, durante l'incontro Il senso del fare scuola, tenutosi a Modena il 20 febbraio 2003 e disponibile integralmente on-line)
Mia madre ha deciso che dovevo fare l´operaio perché andavo male a scuola; essendo a sua volta una maestra, aveva anche della competenza per giudicare che ero completamente deficiente. Poi mi ha salvato un prete, il quale ha detto: "Se vuoi io ti faccio studiare in un collegio a diecimila lire al mese, però li devi guadagnare questi soldi". Li guadagnavo suonando bene l´organo, scrivendo a macchina, ma in questo collegio andavo malissimo. Mi dicevano che non avevo le basi, non ho mai capito cosa fosse una base. Erano ottimi professori, solo che io ormai avevo una insufficienza psichica, io ero nella soggezione costante, finché in terza liceo, quando sono uscito dal collegio, mi sono presentato da singolo alla maturità portando tutte le materie di cinque anni e lì, strano a dirsi, sono stato il più bravo in italiano e in filosofia, ma in filosofia ero già stato corrotto da un professore che mi aveva gratificato.
E poi ricordo che c´era a fare la maturità con me uno che oggi è diventato un prete molto importante, monsignor Ravasi, un grande biblista, il quale, vistomi nella disperazione per il greco, mi ha passato la sua versione.
Questi sono percorsi un po´ eroici di un´Italia povera degli anni ´50. Oggi un tale itinerario sarebbe a rischio. Allora non era a rischio perché non era rischiosa la società, era parallela ai valori della famiglia, una società in costruzione dove il senso del dovere era il senso del dovere, dove comunque dovevi arrivare. Oggi famiglia e società sono divaricate. Qui non abbiamo parlato dei genitori, ma i genitori nei confronti della relazione con gli insegnanti sviluppano un rapporto antitetico assolutamente non costruttivo, e anche un po´ disastroso, e il figlio si trova, come in mezzo a genitori separati: un regalo da uno e un regalo dall´altro. Oggi un percorso come il mio sarebbe a rischio, allora non lo era perché società e famiglia camminavano a gambe pari.
Mia madre ha deciso che dovevo fare l´operaio perché andavo male a scuola; essendo a sua volta una maestra, aveva anche della competenza per giudicare che ero completamente deficiente. Poi mi ha salvato un prete, il quale ha detto: "Se vuoi io ti faccio studiare in un collegio a diecimila lire al mese, però li devi guadagnare questi soldi". Li guadagnavo suonando bene l´organo, scrivendo a macchina, ma in questo collegio andavo malissimo. Mi dicevano che non avevo le basi, non ho mai capito cosa fosse una base. Erano ottimi professori, solo che io ormai avevo una insufficienza psichica, io ero nella soggezione costante, finché in terza liceo, quando sono uscito dal collegio, mi sono presentato da singolo alla maturità portando tutte le materie di cinque anni e lì, strano a dirsi, sono stato il più bravo in italiano e in filosofia, ma in filosofia ero già stato corrotto da un professore che mi aveva gratificato.
E poi ricordo che c´era a fare la maturità con me uno che oggi è diventato un prete molto importante, monsignor Ravasi, un grande biblista, il quale, vistomi nella disperazione per il greco, mi ha passato la sua versione.
Questi sono percorsi un po´ eroici di un´Italia povera degli anni ´50. Oggi un tale itinerario sarebbe a rischio. Allora non era a rischio perché non era rischiosa la società, era parallela ai valori della famiglia, una società in costruzione dove il senso del dovere era il senso del dovere, dove comunque dovevi arrivare. Oggi famiglia e società sono divaricate. Qui non abbiamo parlato dei genitori, ma i genitori nei confronti della relazione con gli insegnanti sviluppano un rapporto antitetico assolutamente non costruttivo, e anche un po´ disastroso, e il figlio si trova, come in mezzo a genitori separati: un regalo da uno e un regalo dall´altro. Oggi un percorso come il mio sarebbe a rischio, allora non lo era perché società e famiglia camminavano a gambe pari.