Cultura di morte (dal libro della Sapienza)
Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole, ritenendola amica si consumano per essa e con essa concludono alleanza, perché son degni di appartenerle (Sap 1,16).
Dicono fra loro sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati. È un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere e lo spirito si dissiperà come aria leggera. Il nostro nome sarà dimenticato con il tempo e nessuno si ricorderà delle nostre opere. La nostra vita passerà come le tracce di una nube, si disperderà come nebbia scacciata dai raggi del sole e disciolta dal calore. La nostra esistenza è il passare di un'ombra e non c'è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro (Sap 2,1-5).