Anche i salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza (di A.L.)
Franco Nembrini – nel suo intervento al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, dell’11 giugno 2007 - ha parlato della differenza tra la “funzione di coerenza ideale” (da L.Giussani, Il rischio educativo) e la “coerenza morale”. La seconda è la pretesa impossibile ed illusoria di essere credibili perché sempre buoni, sempre generosi, sempre altruisti. La prima è la coerenza di chi, sia che sbagli sia che ben si comporti, indica continuamente l’ “intimo significato della realtà”, il senso conferito da Cristo all’uomo ed all’universo.
Ed ha continuato: “E’ la grande funzione educativa: che tu stai, che tu resti, resti lì, e magari loro si allontanano e di sottecchi guardano sempre se tu sei al tuo posto, se tu hai una casa, se tu sei una casa, e torneranno, anche quando fanno le cose peggiori.
Questa solidità, questa certezza che hai tu e che vivi tu con i tuoi amici e con tua moglie, è l’unica cosa di cui hanno bisogno i figli per essere educati, è l’unica cosa che anche senza saperlo ci chiedono, e su questa testimonianza poggia la loro speranza. Si tratta di scommettere tutto sulla loro libertà.
Pensate alla parabola del figliol prodigo (che ora che ho letto il libro del Santo Padre chiamerò sempre “la parabola dei due fratelli”): noi siamo sempre tentati di trattenerli in casa, e invece loro vogliono andare, misurarsi con tutto il reale, e noi a volerli tenere sotto una campana di vetro. Abbiamo paura della loro libertà, perché è uno strappo, una ferita che sanguina. Oppure confondiamo la responsabilità con il nostro diventare come loro: lascio anch’io la casa con te, così magari ti tengo d’occhio da vicino. Ma che disperazione per i nostri figli se, volendo tornare un giorno a casa, scoprissero che non hanno più dove tornare, non hanno più chi li aspetti, chi li perdoni!”
Ciò che li farà tornare è la comprensione che “anche i salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza ed io qui muoio di fame”. Ma se anche noi andassimo a mangiare le carrube, non troverebbero più niente, non troverebbero più la casa. E’ la casa dove si deve stare bene, dove si deve desiderare di poter tornare.
Ed ha continuato: “E’ la grande funzione educativa: che tu stai, che tu resti, resti lì, e magari loro si allontanano e di sottecchi guardano sempre se tu sei al tuo posto, se tu hai una casa, se tu sei una casa, e torneranno, anche quando fanno le cose peggiori.
Questa solidità, questa certezza che hai tu e che vivi tu con i tuoi amici e con tua moglie, è l’unica cosa di cui hanno bisogno i figli per essere educati, è l’unica cosa che anche senza saperlo ci chiedono, e su questa testimonianza poggia la loro speranza. Si tratta di scommettere tutto sulla loro libertà.
Pensate alla parabola del figliol prodigo (che ora che ho letto il libro del Santo Padre chiamerò sempre “la parabola dei due fratelli”): noi siamo sempre tentati di trattenerli in casa, e invece loro vogliono andare, misurarsi con tutto il reale, e noi a volerli tenere sotto una campana di vetro. Abbiamo paura della loro libertà, perché è uno strappo, una ferita che sanguina. Oppure confondiamo la responsabilità con il nostro diventare come loro: lascio anch’io la casa con te, così magari ti tengo d’occhio da vicino. Ma che disperazione per i nostri figli se, volendo tornare un giorno a casa, scoprissero che non hanno più dove tornare, non hanno più chi li aspetti, chi li perdoni!”
Ciò che li farà tornare è la comprensione che “anche i salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza ed io qui muoio di fame”. Ma se anche noi andassimo a mangiare le carrube, non troverebbero più niente, non troverebbero più la casa. E’ la casa dove si deve stare bene, dove si deve desiderare di poter tornare.