Dialoghi sul Gesù storico ed il nuovo libro del papa Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, al villino Staderini (di A.L.)
E’ subito evidente la differenza strutturale tra la Bibbia ed il Corano. Il Corano è libro di una sola persona, Maometto, che l’ha ricevuto da Dio. Non ci sono altri. La Bibbia è il libro di un popolo che si narra, che narrando di Dio narra se stesso e narrando se stesso narra di Dio! La Bibbia non solo ha tanti autori, ma ognuno e tutti insieme sono più che se stessi. Le infinite riletture dentro l’Antico Testamento e dell’Antico nel Nuovo dicono che il custode di questo libro è il popolo di Dio, guidato dal suo Spirito. E’ qui l’origine della libertà dalla lettera così tipica della lettura biblica cristiana.
Più si studia, più ci si accorge che la figura di Gesù va ancora più enfatizzata: E’ veramente lui l’origine di tutto il movimento che lo segue. Solo una personalità straordinaria può aver dato origine al cristianesimo. Se non fosse lui l’origine, l’unica altra possibilità che si sarebbe costretti ad ammettere – e che di fatto si afferma senza sapere ciò che si dice – è che l’origine siano i suoi discepoli, che diventerebbero quindi, necessariamente, più interessanti di Gesù stesso, ma, insieme, dei mentitori. Ecco il paradosso: essi, gli inventori, sarebbero migliori di Gesù, pur essendo ritenuti mentitori! La realtà straordinaria del cristianesimo sarebbe opera loro. Un Gesù banale sarebbe stato da loro trasformato in colui che convince il mondo!
Perché una cosa è certa: che ci sia dello straordinario! A chi appartiene questo, chi ne è l’origine?
La differenza fra le parole di Gesù e quelle dei vangeli va chiarita bene. Si può ipotizzare, ad esempio, che Gesù non abbia detto precisamente: “Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me”. Ma una cosa è pensare che questo sia stato inventato tout court dagli apostoli, un’altra, ben differente, è pensare che Gesù abbia parlato chiaramente della morte violenta che lo attendeva e di una morte offerta in remissione dei peccati come sacrificio di salvezza – forse senza parlare con precisione della croce – e che sempre Gesù abbia profetizzato la persecuzione che avrebbe poi colpito gli apostoli e che, una volta vista la croce, i discepoli abbiano usato l’espressione “prendere la croce” per esprimere tutto questo. In questo caso non sarebbe una invenzione, ma una rilettura di un dato che sarebbe stato specificato per essere inteso ed espresso con maggior immediatezza e semplicità. Come dovrebbero fare i catechisti oggi: se c’è una parola da spiegare nella catechesi, la si esplicita, la si spiega con un linguaggio che permetta all’altro di capire. Questo è il lavoro dei vangeli, non la contraffazione.
Si vede chiaramente che alcune cose sono oscure per i discepoli prima della Pasqua e che, una volta che hanno visto il Crocifisso ed il Risorto, tante parole di Gesù si manifestano in tutta la loro chiarezza. Quando Gesù parlava del segno di Giona, cosa avranno capito precisamente? La barca, la predicazione, il fermarsi sotto il ricino? E’ dopo la morte e la resurrezione che diviene chiaro in che senso Gesù intendeva quel segno di Giona. In questo chiarificare, esplicitare, è decisivo il rapporto fra le parole dette da Gesù e gli eventi accaduti a Pasqua.
Proprio gli apocrifi ci mostrano l’attendibilità dei vangeli canonici. Più si leggono gli apocrifi, più ci si rende conto della solidità dei vangeli della Chiesa. Andrebbe consigliata a tutti la lettura dei vangeli apocrifi: è una prova evidente della differenza di qualità tra gli uni e gli altri. Ma non c’è solo la questione del contenuto, dell’antifemminismo degli apocrifi, del loro politeismo, del loro disprezzo della carne, ecc. ecc. La cosa più interessante è il procedimento elementare che ha portato alla loro chiara individuazione da parte della chiesa primitiva.
I vangeli apocrifi sono successivi cronologicamente ai testi canonici (sebbene un canone non ci fosse ancora!). C’era una trasmissione controllata nelle chiese, ma non nel senso di una malvagia volontà di mettere a tacere le voci contrarie. C’era piuttosto la voce degli apostoli e dei loro successori che riferiva, in tanti luoghi diversi del mondo di allora, lo stesso Cristo. Era lo stesso Gesù narrato con parole diverse, quelle secondo Marco, Luca, Matteo, ecc. ecc. C’era una garanzia che quello che si diceva – e soprattutto quello che dicevano i testi che si leggevano nelle assemblee liturgiche - riproponesse il vero Gesù. Quando decenni dopo i testi canonici (ma che non erano ancora canonici) qualcuno scrisse nuovi testi, affermando di avere ricevuto rivelazioni nascoste di Gesù e degli apostoli, subito le comunità si domandarono le une le altre: “Avete mai letto nelle liturgie questi testi? Li conoscete da anni? Gli episodi raccontati e le parole riferite li avete mai ascoltati?” E l’una l’altra si risposero: “Questi testi non li abbiamo mai conosciuti. E’ evidente che sono delle invenzioni successive a quelle dei testimoni oculari e dei loro discepoli”. E’ straordinario come siano stati capaci di capire che erano testi inventati o alterati, pur non avendo le conoscenze tecniche che noi abbiamo oggi per scoprirne la datazione posteriore e tardiva.
Certo, il Battista potrebbe essere stato a Qumran, ma, ammesso che ci sia stato, c’è stato per maturare una visione diversa e per arrivare a riconoscere soprattutto che la persona di Gesù al Messia atteso dal gruppo di Qumran. Ancora in Mt 11 vediamo Giovanni che fa difficoltà ad accettare un Messia che stia con i peccatori! “Ma sei veramente tu o dobbiamo aspettarne un altro?” Per noi è facile, è ovvio, ma per loro il discernimento era ancora in atto. Dovevano capire, rendersi conto. Giovanni si aspettava un Messia che avrebbe portato il giudizio di Dio contro i peccatori, che avrebbe fatto piazza pulita dei peccatori. Ed ecco ora uno che stava con i peccatori e mangiava con loro!
Che differenza ancora maggiore con Qumran. E’ famoso il passo di Flavio Giuseppe, nel quale egli parla della zappetta che gli esseni portavano con sé e con la quale dovevano subito coprire gli escrementi perchè questi rendevano impuri (Guerra giudaica II, 148-149). Dio non doveva vederli dal cielo! Lo zoppo, il cieco, lo storpio erano impuri e non potevano entrare nell’assemblea, perchè rendevano impuri gli altri (vedi la Regola dell’assemblea ed il Documento di Damasco; fra le diverse traduzioni disponibili, vedi, ad esempio, I manoscritti di Qumran, a cura di L.Moraldi, UTET, Torino, 1986, che riporta anche i passi di Falvio Giuseppe sugli esseni). “Chi riderà scioccamente, facendo udire la sua voce, sarà punito per 30 giorni” (Regola della comunità VII, 14-15). “Nessuno trasporti qualcosa dalla casa all’esterno... Nessuno porti su di sé profumi, andando e venendo di sabato, nella casa ove abita, uno non sollevi né una pietra né della terra. La balia non sollevi il lattante, andando e venendo di sabato... Nel giorno di sabato nessuno aiuti una bestia a partorire e se cade in una cisterna o in una fossa di sabato, non la tiri su. Nessuno celebri il sabato in un luogo vicino ai gentili... Se una persona cade in un luogo pieno d’acqua nessuno la faccia salire con una scala, con una corda o con un qualsiasi oggetto” (Documento di Damasco, XI, 8-17). La questione interessante non è se Giovanni Battista o Gesù abbiano conosciuto la comunità di Qumran – tutti la conoscevano – ma cosa ne abbiano pensato!
In Gv sempre “il discepolo che Gesù amava” compare in brani nei quali c’è anche Pietro (tranne sotto la croce, dove Pietro non c’è perché è scappato). Al momento dell’annuncio del tradimento di Giuda, nel cortile del sommo sacerdote, nella corsa al sepolcro, nell’apparizione sul lago di Tiberiade. Alcuni autori protestanti nel passato hanno cercato di vedere una antitesi in questi brani tra i due ed un rifiuto da parte delle comunità giovannee del primato di Pietro. E’ evidente, invece, una complementarietà . Anche in Gv è, infatti, forte la sottolineatura del primato petrino. Per tre volte Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. Sono numerosissimi i brani neotestamentari sul primato. Le comunità giovannee non dovevano avere dubbi sul primato petrino, ma conoscevano la complementarietà del ministero di Giovanni. Giovanni conosce evidentemente anche il martirio di Pietro.
Più si studia, più ci si accorge che la figura di Gesù va ancora più enfatizzata: E’ veramente lui l’origine di tutto il movimento che lo segue. Solo una personalità straordinaria può aver dato origine al cristianesimo. Se non fosse lui l’origine, l’unica altra possibilità che si sarebbe costretti ad ammettere – e che di fatto si afferma senza sapere ciò che si dice – è che l’origine siano i suoi discepoli, che diventerebbero quindi, necessariamente, più interessanti di Gesù stesso, ma, insieme, dei mentitori. Ecco il paradosso: essi, gli inventori, sarebbero migliori di Gesù, pur essendo ritenuti mentitori! La realtà straordinaria del cristianesimo sarebbe opera loro. Un Gesù banale sarebbe stato da loro trasformato in colui che convince il mondo!
Perché una cosa è certa: che ci sia dello straordinario! A chi appartiene questo, chi ne è l’origine?
La differenza fra le parole di Gesù e quelle dei vangeli va chiarita bene. Si può ipotizzare, ad esempio, che Gesù non abbia detto precisamente: “Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me”. Ma una cosa è pensare che questo sia stato inventato tout court dagli apostoli, un’altra, ben differente, è pensare che Gesù abbia parlato chiaramente della morte violenta che lo attendeva e di una morte offerta in remissione dei peccati come sacrificio di salvezza – forse senza parlare con precisione della croce – e che sempre Gesù abbia profetizzato la persecuzione che avrebbe poi colpito gli apostoli e che, una volta vista la croce, i discepoli abbiano usato l’espressione “prendere la croce” per esprimere tutto questo. In questo caso non sarebbe una invenzione, ma una rilettura di un dato che sarebbe stato specificato per essere inteso ed espresso con maggior immediatezza e semplicità. Come dovrebbero fare i catechisti oggi: se c’è una parola da spiegare nella catechesi, la si esplicita, la si spiega con un linguaggio che permetta all’altro di capire. Questo è il lavoro dei vangeli, non la contraffazione.
Si vede chiaramente che alcune cose sono oscure per i discepoli prima della Pasqua e che, una volta che hanno visto il Crocifisso ed il Risorto, tante parole di Gesù si manifestano in tutta la loro chiarezza. Quando Gesù parlava del segno di Giona, cosa avranno capito precisamente? La barca, la predicazione, il fermarsi sotto il ricino? E’ dopo la morte e la resurrezione che diviene chiaro in che senso Gesù intendeva quel segno di Giona. In questo chiarificare, esplicitare, è decisivo il rapporto fra le parole dette da Gesù e gli eventi accaduti a Pasqua.
Proprio gli apocrifi ci mostrano l’attendibilità dei vangeli canonici. Più si leggono gli apocrifi, più ci si rende conto della solidità dei vangeli della Chiesa. Andrebbe consigliata a tutti la lettura dei vangeli apocrifi: è una prova evidente della differenza di qualità tra gli uni e gli altri. Ma non c’è solo la questione del contenuto, dell’antifemminismo degli apocrifi, del loro politeismo, del loro disprezzo della carne, ecc. ecc. La cosa più interessante è il procedimento elementare che ha portato alla loro chiara individuazione da parte della chiesa primitiva.
I vangeli apocrifi sono successivi cronologicamente ai testi canonici (sebbene un canone non ci fosse ancora!). C’era una trasmissione controllata nelle chiese, ma non nel senso di una malvagia volontà di mettere a tacere le voci contrarie. C’era piuttosto la voce degli apostoli e dei loro successori che riferiva, in tanti luoghi diversi del mondo di allora, lo stesso Cristo. Era lo stesso Gesù narrato con parole diverse, quelle secondo Marco, Luca, Matteo, ecc. ecc. C’era una garanzia che quello che si diceva – e soprattutto quello che dicevano i testi che si leggevano nelle assemblee liturgiche - riproponesse il vero Gesù. Quando decenni dopo i testi canonici (ma che non erano ancora canonici) qualcuno scrisse nuovi testi, affermando di avere ricevuto rivelazioni nascoste di Gesù e degli apostoli, subito le comunità si domandarono le une le altre: “Avete mai letto nelle liturgie questi testi? Li conoscete da anni? Gli episodi raccontati e le parole riferite li avete mai ascoltati?” E l’una l’altra si risposero: “Questi testi non li abbiamo mai conosciuti. E’ evidente che sono delle invenzioni successive a quelle dei testimoni oculari e dei loro discepoli”. E’ straordinario come siano stati capaci di capire che erano testi inventati o alterati, pur non avendo le conoscenze tecniche che noi abbiamo oggi per scoprirne la datazione posteriore e tardiva.
Certo, il Battista potrebbe essere stato a Qumran, ma, ammesso che ci sia stato, c’è stato per maturare una visione diversa e per arrivare a riconoscere soprattutto che la persona di Gesù al Messia atteso dal gruppo di Qumran. Ancora in Mt 11 vediamo Giovanni che fa difficoltà ad accettare un Messia che stia con i peccatori! “Ma sei veramente tu o dobbiamo aspettarne un altro?” Per noi è facile, è ovvio, ma per loro il discernimento era ancora in atto. Dovevano capire, rendersi conto. Giovanni si aspettava un Messia che avrebbe portato il giudizio di Dio contro i peccatori, che avrebbe fatto piazza pulita dei peccatori. Ed ecco ora uno che stava con i peccatori e mangiava con loro!
Che differenza ancora maggiore con Qumran. E’ famoso il passo di Flavio Giuseppe, nel quale egli parla della zappetta che gli esseni portavano con sé e con la quale dovevano subito coprire gli escrementi perchè questi rendevano impuri (Guerra giudaica II, 148-149). Dio non doveva vederli dal cielo! Lo zoppo, il cieco, lo storpio erano impuri e non potevano entrare nell’assemblea, perchè rendevano impuri gli altri (vedi la Regola dell’assemblea ed il Documento di Damasco; fra le diverse traduzioni disponibili, vedi, ad esempio, I manoscritti di Qumran, a cura di L.Moraldi, UTET, Torino, 1986, che riporta anche i passi di Falvio Giuseppe sugli esseni). “Chi riderà scioccamente, facendo udire la sua voce, sarà punito per 30 giorni” (Regola della comunità VII, 14-15). “Nessuno trasporti qualcosa dalla casa all’esterno... Nessuno porti su di sé profumi, andando e venendo di sabato, nella casa ove abita, uno non sollevi né una pietra né della terra. La balia non sollevi il lattante, andando e venendo di sabato... Nel giorno di sabato nessuno aiuti una bestia a partorire e se cade in una cisterna o in una fossa di sabato, non la tiri su. Nessuno celebri il sabato in un luogo vicino ai gentili... Se una persona cade in un luogo pieno d’acqua nessuno la faccia salire con una scala, con una corda o con un qualsiasi oggetto” (Documento di Damasco, XI, 8-17). La questione interessante non è se Giovanni Battista o Gesù abbiano conosciuto la comunità di Qumran – tutti la conoscevano – ma cosa ne abbiano pensato!
In Gv sempre “il discepolo che Gesù amava” compare in brani nei quali c’è anche Pietro (tranne sotto la croce, dove Pietro non c’è perché è scappato). Al momento dell’annuncio del tradimento di Giuda, nel cortile del sommo sacerdote, nella corsa al sepolcro, nell’apparizione sul lago di Tiberiade. Alcuni autori protestanti nel passato hanno cercato di vedere una antitesi in questi brani tra i due ed un rifiuto da parte delle comunità giovannee del primato di Pietro. E’ evidente, invece, una complementarietà . Anche in Gv è, infatti, forte la sottolineatura del primato petrino. Per tre volte Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. Sono numerosissimi i brani neotestamentari sul primato. Le comunità giovannee non dovevano avere dubbi sul primato petrino, ma conoscevano la complementarietà del ministero di Giovanni. Giovanni conosce evidentemente anche il martirio di Pietro.