Primo annunzio e catechesi: sintesi dei lavori del Convegno Nazionale degli Uffici catechistici diocesani 2009 “La nostra lettera siete voi... (2 Cor 3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo, condividere l’incontro con Cristo”
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Presentiamo on-line un articolo apparso sulla rivista Catechisti nella città la Sintesi dei lavori del Convegno Nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani “La nostra lettera siete voi... (2 Cor 3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo, condividere l’incontro con Cristo”, tenutosi a Reggio Calabria dal 15 al 18 giugno 2009. Il testo, che era stato preparato per il convegno stesso da Andrea Lonardo e Paolo Sartor, è stato riadattato per essere più comprensibile a persone non presenti allo svolgimento dei lavori. Tutte le relazioni del Convegno sono on-line sul sito della CEI, al link Relazioni del Convegno UCD Reggio Calabria 2009
(Gli scritti 9/9/2009)
I/ Il primo annuncio oggi in Italia
«La peculiarità di questo tempo la vedo, tra l’altro, nella caratteristica transizione che lo contraddistingue, da una forma di cristianità sia pure sempre più indebolita da una situazione culturale, etica e religiosa di pluralismo, segnata nondimeno da una forma di persistenza dell’eredità cristiana che chiede una attenta valutazione ed un adeguato rapporto».
Così il nuovo segretario della CEI, mons. Mariano Crociata, ha invitato ad una lettura attenta della realtà in cui opera oggi la catechesi, nel convegno sul primo annunzio che ha visto riuniti a Reggio Calabria nel mese di giugno gli Uffici catechistici delle diverse diocesi italiane.
Anche don Giampietro Ziviani, nella sua relazione, ricordava come si potrebbe parlare propriamente di un “secondo annunzio”, proprio perché in Italia non si dà un rapporto “innocente” con il cristianesimo.
Questa consapevolezza – ha sottolineato il convegno – porta con sé due conseguenze molto importanti.
La prima: proprio perché la fede non può essere data per presupposta, il primo annunzio è estremamente significativo. Si potrebbe dire che è la realtà più bella, è lo scoprire che non si tratta di condividere questa o quella proposta secondaria, ma piuttosto il tesoro più prezioso, il primato di Dio che rivela pienamente il suo volto solo in Gesù Cristo. Proprio questa convinzione toglie quella stanchezza che può prendere una catechesi che non si ritenga più necessaria. Essa riscopre, invece, di poter donare all’uomo ciò che gli è essenziale.
La seconda: la stima per la fede cristiana che la storia del nostro Paese ha posto nel cuore di tanti li porta a rivolgersi alla Chiesa in momenti decisivi ed importantissimi della vita, ad esempio per chiedere la grazia di Dio alla nascita di nuovi bambini, oppure perché i figli siano aiutati nella crescita da educatori cristiani, o ancora per l’invocazione della presenza di Dio nella sofferenza e nel lutto o per preparare la scelta del matrimonio, ecc.
Questo fatto – emergeva dal convegno – deve tornare ad essere guardato con grande simpatia e con sincero apprezzamento, anche se le ragioni di questa vicinanza non hanno fin dall’inizio la purezza che si potrebbe desiderare.
Sarebbe strano che si guardassero con grande simpatia le domande di vita ed i valori di coloro che sono lontani dalla chiesa e non si sapesse apprezzare la domanda di chi bussa alle porte della comunità cristiana o, addirittura, la abita anche se solo nella messa domenicale.
La centralità del primo annunzio, allora, non si contrappone alla complementare consapevolezza del valore che ha tutto il tempo impiegato per l’accoglienza e per la catechesi ordinaria dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti.
II/ L'utilità di una chiarificazione terminologica su che cosa sia il primo annunzio
II.1/ Il “primo annunzio” è un incontro personale
Il “primo annunzio” è stato identificato, innanzitutto, con l’esperienza che ognuno vive di incontri personali che portano altri, come già hanno portato noi, a scoprire la bellezza e la verità del vangelo.
Il momento del convegno che più lo ha ricordato è stato la tavola rotonda nella quale sono state presentate alcune testimonianze di incontri con “cercatori di Dio” da parte di Fabio Zavattaro, giornalista, di Paola Vacchina delle ACLI, di Marco Tibaldi, docente ed editore, e del gesuita Guido Bertagna del Centro culturale San Fedele di Milano.
I quattro interventi hanno confermato tutti nella consapevolezza che niente può sostituire nell’annunzio della fede l’incontro personalissimo ed intimo che avviene fra uomo ed uomo. Infatti, la testimonianza della fede è una delle comunicazioni più profonde che possano darsi fra persona e persona, poiché il testimone permette che l’altro gli legga fin nel fondo del cuore quella fede che gli dà vita e gioia.
Già mons. Bruno Forte, nel suo saluto iniziale, aveva mostrato, citando Platone, che l’insegnamento orale precede e sostiene l’apprendimento tramite i libri, siano pure i “libri sacri”!
I lavori di gruppo svoltisi nel corso del convegno hanno ricordato gli ambiti del Convegno di Verona coniugandoli con i passaggi di vita che hanno caratterizzato la riflessione catechetica dei precedenti convegni CEI, proprio perché l’annunzio del vangelo avviene a partire dalla realtà della vita dell’uomo. La Lettera ai cercatori di Dio pubblicata a cura della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, presentata durante il convegno, ha anzi invitato ad allargare lo sguardo proposto dagli ambiti di Verona; essi sono stati, infatti, ripensati nella prima parte della lettera nella quale vengono presentate le domande dell’uomo contemporaneo e diversamente coniugati fra di loro , mostrando così che non debbono essere considerati come un assoluto, ma piuttosto come uno stimolo a pensare la proposta della fede nel contesto delle reali domande dell’uomo.
La Lettera ai cercatori di Dio insiste così maggiormente sulla centralità dei temi del piacere e della felicità, mentre lascia più in ombra quel passaggio esistenziale decisivo che è l’esperienza del “mistero della vita” nella paternità/maternità e, conseguentemente, anche il valore della trasmissione della cultura nella scuola e nell’università e caratterizza diversamente l’ambito della cittadinanza sottolineandone i temi della giustizia e della pace.
II.2/ Il “primo annunzio” è una realtà comunitaria
Proprio la tavola rotonda del convegno ha, però, parimenti mostrato come non sia possibile ridurre il primo annunzio al solo rapporto interpersonale. Gli incontri con i “cercatori di Dio” che venivano raccontati erano avvenuti anche perché dei credenti avevano negli anni costruito delle realtà comunitarie ad extra, cioè viventi fuori del recinto dei normali interessi parrocchiali, come un Centro culturale, una associazione di lavoratori con le sue varie ramificazioni sul territorio, una casa editrice e così via. Erano state queste realtà pubbliche a rendere possibili gli incontri che si erano poi approfonditi a livello personale.
Anche il contributo offerto da mons. Domenico Pompili, dedicato espressamente al tema della comunicazione, ha mostrato l’importanza che hanno i nuovi media nel costruire la visione del mondo del nostro tempo e nel modificare in maniera pubblica ed onnicomprensiva i modi del conoscere e dell’incontrarsi degli uomini.
Il primo annunzio richiama, in sostanza, anche alla bellezza ed alla necessità di una fecondità che non si preoccupi solamente dello spazio intra-ecclesiale, ma creativamente proponga esperienze, progetti, valori, istituzioni, fuori del perimetro ecclesiastico.
E questa cura della proposta della fede riguarda la chiesa nel suo insieme, proprio perché essa è una realtà comunitaria e l’annunzio è sempre proposta della fede della chiesa e non semplicemente di punti di vista particolari e parziali.
II.3/ Il “primo annunzio” è la proposta di un itinerario
Il primo annunzio – ha ricordato il convegno - richiede pure una terza dimensione che non può non caratterizzare una seria proposta del vangelo: quella della strutturazione di un itinerario che permetta a chi vuole conoscere il cristianesimo, perché attratto o incuriosito da esso, di poter concretamente trovare un cammino dove rispondere a questa sua esigenza.
Dai gruppi di lavoro è emerso il fatto che sono ancora pochi nella chiesa i luoghi dove si propone esplicitamente qualcosa di significativo a chi vuole conoscere non aspetti particolari del cristianesimo, ma desidera piuttosto essere introdotto a ciò che è essenziale della fede cristiana e, perciò, prioritario.
I differenti documenti della CEI, ricordati nella panoramica tracciata da mons. Lucio Soravito, sono stati un richiamo alla necessità di affrontare più direttamente questa esigenza del tempo presente. E la stessa Lettera ai cercatori di Dio è stata pure presentata come una possibile traccia di itinerario in tal senso.
II.4/ Il “primo annunzio” è una attenzione costante della catechesi e non solo un momento cronologicamente previo
Una quarta dimensione del primo annunzio che il convegno ha sottolineato riguarda tutta la catechesi, che deve essere sempre permeata dalla proposta della fede, tornando sempre ai contenuti essenziali della fede anche nell’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi.
Mons. Crociata, in particolare, ne ha parlato nella sua relazione in riferimento al magistero di Benedetto XVI: «la preoccupazione che sembra emergere come caratteristica di questo pontificato è quella che chiamerei “la concentrazione sull’essenziale”, e cioè sulla questione di Dio riconosciuto e accolto secondo la fede cristiana come amore. Tale concentrazione lascia intuire una lettura del presente, dentro e fuori dei confini ecclesiali e dell’orizzonte credente, come minacciato dalla dispersione, dall’oblio e dalla perdita... La disarticolazione culturale ed etica del tempo presente impone alla Chiesa un richiamo vitale all’esigenza di riappropriarsi della visione ordinata dello scenario credente ed ecclesiale, sia nella sua configurazione interna sia in vista della sua iniziativa evangelizzatrice e missionaria. Bisogna ripartire dall’essenziale».
Proprio in questo contesto storico, le grandi questioni tornano ad essere le più importanti e con esse si deve misurare la catechesi, se vuole essere, come deve essere, anche vero annuncio.
III/ L’irriducibilità di domande e risposte
Spesse volte, nel corso del convegno si è posta poi la questione se, nei diversi cammini educativi ed in particolare nell’annuncio della fede, esista un primato della domanda o della risposta, se cioè siano da privilegiare l’ascolto dell’uomo o la proclamazione del primato di Dio. I termini “domanda” e “risposta” sono entrambi importanti – si è risposto - perché il volto di Dio e quello dell’uomo sono in relazione e non possono mai essere semplicemente dissolti l’uno nell’altro.
Ancora mons. Crociata ha invitato a percorrere fino in fondo la via della proposta di una Parola che ha origine in Dio e solo in Lui proprio dinanzi al tentativo, che ha caratterizzato come “ossessivo” nella cultura contemporanea, di “autocentramento”. Sarebbero miopi un annunzio ed una catechesi che non facessero sempre di nuovo brillare l’assoluta novità della rivelazione divina nell’incarnazione.
Ma, proprio perché l’amore è il motivo dell’evento del farsi uomo del Figlio di Dio, il primo annunzio deve ascoltare, allo stesso tempo, sempre ed in forma ogni volta nuova e mai compiuta una volta per sempre le domande dell’uomo che chiede di essere accolto ed amato – da Giampietro Ziviani è stata ricordata in merito la Gaudium et spes con le sue pressanti indicazioni a “studiare” il proprio tempo con attenzione e rispetto.
Proprio la peculiarità del nostro tempo esige che si torni a riflettere sull’inseparabilità, nella fede cristiana, del contenuto della fede e della sua esperienza, del Logos e dell’Agape che caratterizzano la fede cristiana. Ancora mons. Crociata affermava che l’inseparabilità di annuncio e testimonianza non sarà mai sufficientemente insistita.
Questo è evidente proprio nella riflessione sul primo annunzio, dove ci si accorge facilmente della originalità di ogni storia personale di conversione: talvolta una persona è colpita dalla testimonianza di gioia e serenità di un cristiano, altre volte dal servizio di un credente verso i deboli, altre volte ancora dalle parole di un sacerdote o di un laico, scoprendo che ciò che riteneva non interessante e banale gli dischiude invece, improvvisamente, un mondo totalmente inedito.
Ma, una volta posto l’inizio, la verità della fede e la carità che ne nasce camminano insieme, di modo che proprio la verità e la bontà/bellezza del cristianesimo si richiamano continuamente a vicenda. Non potrebbe resistere una fede che fosse solo bella o solo vera.
Vale la pena accennare qui, anche se solo di passaggio, alla questione del “dubbio” nella ricerca di fede, più volte sollevata nel convegno. Mons. Crociata specificava che bisogna distinguere tra il “possesso di Dio”, che non avviene mai una volta per tutte, e la “certezza della fede” che scaturisce, invece, dall’affidamento in Lui. L’esempio dell’amore è qui illuminante. Chi ama il proprio sposo o la propria sposa non mette continuamente in dubbio l’amore su cui ha costruito la vita; se lo facesse, mettendo in continua discussione la verità dell’amore, farebbe entrare in crisi la famiglia che ne è nata. Chi ama, piuttosto, vuole certamente approfondire l’amore e non ne è mai sazio, ma non per questo dimentica di aver compiuto una scelta che riempie di bene e di bellezza ormai tutta la vita.
Marco Tibaldi, nella sua testimonianza, ha specificato come le motivazioni della solidità, della ragionevolezza e della bellezza oggettiva della fede siano particolarmente significative nel primo annunzio: un eccessivo compiacimento del dubbio non aiuterebbe il vero “cercatore di Dio” che, sperimentata l’inaffidabilità di altre proposte, si interroga sulla verità della fede cristiana.
Mons. Bruno Forte, nel suo intervento, ha poi evidenziato anche la complementarietà dei diversi linguaggi utilizzati dalla Scrittura, dalla teologia e dal primo annunzio. Il linguaggio metaforico – affermava, citando Paul Ricoeur– “da a pensare”, ma anche il linguaggio narrativo ha grande importanza, così come l’espressione poetica. Non bisogna poi dimenticare proprio la capacità sintetica della teologia: il “cercatore di Dio” ha bisogno proprio di quella visione d’insieme che viene fornita dalla riflessione cristiana, poiché essa sola gli permette di uscire dalla frammentazione in cui vive. Proprio qui diviene evidente il valore del dogma e delle espressioni sintetiche del vangelo rappresentate dal Simbolo di fede.
IV/ L’importanza dell’arte del discernimento
Dinanzi al domandare umano senza posa ed al rivelarsi di Dio è sorta anche la questione dei “sì” e dei “no” che l’annunzio e la catechesi sono chiamati a pronunciare.
Innanzitutto il “sì”: la fede sgorga proprio quando l’uomo si accorge che Dio ha pronunciato il suo “sì” alla vita, proprio perché essa è opera sua e, nel suo amore, vuole darle pienezza e non condurla in “ristrettezza”. La grande sfida che l’evangelizzazione deve affrontare è proprio quella della significatività della fede: la fede non può che essere rifiutata se dovesse essere percepita come mortificazione della vita.
In questo senso la storia del cristianesimo ha mostrato – e deve mostrare oggi – che la fede accoglie tutto ciò che è umano; anzi, che essa porta a perfezione l’uomo, compiendo la sua ricerca di verità ed il suo anelito di bellezza e bontà.
Ma, d’altro canto, la fede svela parimenti le situazioni dove tale pienezza manca e rivela il male presente nella vita, nel cuore dell’uomo e nelle manifestazioni pubbliche dello spirito umano, portandolo alla luce e chiamandolo per nome. Le meditazioni sull’apostolo Paolo della patrologa Borrello Bellieni hanno mostrato, nel corso del convegno, come fosse netta la denuncia compiuta dall'Apostolo nei confronti dei falsi idoli e delle vie senza uscita degli “epicurei” e “stoici”.
Il primo annunzio vivrà così sempre in una tensione fra accoglienza, denuncia e promessa di compimento della realtà.
V/ La significatività della questione dell’identità della chiesa e di coloro che le appartengono
Molte volte si è ricordato, nel corso del convegno, che il primo annunzio è opera della chiesa tutta. Si è profondamente insistito sulla complementarietà della conversione personale e di quella comunitaria, così come sul rinnovamento delle persone, ma anche delle prassi ecclesiali.
Si è posto, in particolare, l’accento sulla dimensione “popolare” non solo del cattolicesimo italiano, ma, più profondamente, del cristianesimo in se stesso. Come dice la Lumen gentium, tutti battezzati – e in certo modo anche i catecumeni – appartengono profondamente alla Chiesa. Anzi tutti gli uomini “sono ordinati” ad essa. Il primo annunzio nasce proprio dalla consapevolezza di questa destinazione universale del vangelo.
Proprio chi è maturo nella fede – si è insistito molto, anche nel corso del convegno, sul tema della maturità cristiana – ha il desiderio che altri accolgano la fede, sentendoli come “appartenenti” a Cristo, ben al di là delle statistiche sociologiche.
La III Nota della CEI sul risveglio della fede negli adulti già battezzati – il linguaggio abituale preferisce l’espressione “riavvicinarsi alla chiesa” - poggia proprio su questo presupposto, su questo amore che la chiesa ha per tutti i suoi figli.
É stata sottolineata, in questo orizzonte teso a non trasformare una chiesa “di popolo” in una chiesa “di élite”, la centralità della liturgia eucaristica: sia mons. Crociata che molti degli interventi dei gruppi di lavoro hanno ricordato come la celebrazione sia il luogo del sorgere e del manifestarsi della Chiesa. Non si può dimenticare che, proprio in Italia ed in questo tempo, l’eucarestia continua a manifestare la propria reale forza di annunzio. Nel suo essere aperta a tutti, diventa anzi oggi, spesso, il primo luogo dell’annunzio: molti decidono di riavvicinarsi alla fede o di avvicinarsi ad essa per la prima volta dopo aver partecipato ad una liturgia domenicale o a momenti di festa o di lutto celebrati nelle parrocchie e nelle diverse chiese.
I diversi direttori e collaboratori degli Uffici Catechistici Diocesani, consapevoli della difficoltà di stimolare le diocesi sulla strada del rinnovamento pastorale in un momento in cui taluni manifestano resistenze e fatiche, hanno espresso, in questo senso, apprezzamento per un approccio realistico, che voglia tentare di indicare passi praticabili e condivise.
Lo stile conferito al Convegno dal nuovo direttore dell’Ufficio catechistico nazionale, don Guido Benzi, ha aiutato tutti a percepire il valore degli Uffici nelle diverse diocesi e ad essere incoraggiati nelle inevitabili fatiche e nei problemi che debbono essere affrontati in vista del primo annunzio.
VI/ L'importanza della questione educativa che viene illuminata dal primo annunzio
Palpabile, negli interventi, è stata la consapevolezza che non si possono oggi omettere né una attenzione molto seria al mondo degli adulti, né una altrettanto impegnata rivolta ai fanciulli e ragazzi.
Il servizio che è richiesto agli Uffici catechistici diocesani li porta continuamente a misurarsi con queste due dimensioni e questo era avvertibile nei dialoghi a tavola e negli scambi di esperienze.
Il “tutti” a cui si rivolge il primo annunzio riguarda così anche cronologicamente tutte le età. Proprio l’attenzione alle dimensioni dell’adulto sta facendo riscoprire che un cristiano è “maturo” anche e proprio perché ha costruito una sua vita familiare ed è responsabile di compiti educativi presso le nuove generazioni che ha chiamato alla vita.
In questo senso, le relazioni dei gruppi di studio sostenevano che è da valorizzare proprio in chiave di primo annunzio tutto ciò che avviene nella pastorale battesimale dai 0 ai 6 anni, così come nei successivi itinerari dell’iniziazione cristiana, ed ancora nell’accompagnamento delle famiglie nella loro responsabilità evangelizzatrice.
D’altro canto, il primo annunzio della fede ai bambini e ai ragazzi, non può essere condizionato al cammino dei genitori, poiché proprio i piccoli hanno bisogno di essere accompagnati a conoscere ed amare il Signore. Tutta la moderna pedagogia insiste sulla centralità dei primi anni di vita nella formazione della personalità e lo stesso Documento di base ricorda che nessuna età va vista solo come una tappa finalizzata alle successive, ma ha un suo significato in se stessa; lo stesso documento ricorda come errori o inadempienze vissute nelle prime età della vita portano con sé conseguenze per tutta la successiva esistenza personale.
Solo in alcuni gruppi di lavoro è emerso il fecondissimo tema dell’annuncio ai giovani. La consapevolezza crescente che l’allontanamento degli adolescenti e dei giovani dalla partecipazione ordinaria alla vita ecclesiale non dipende tout court dall’iniziazione cristiana viene confermata proprio dalla tematica del primo annunzio.
L’accoglienza della fede, infatti, non può mai essere data per scontata, soprattutto oggi. Ciò che è stato accolto in una data età della vita, non per questo passa automaticamente in quelle successive. Molti bambini e fanciulli sono stati contentissimi di percorrere le tappe del cammino di iniziazione cristiana e le hanno vissute come una vera scoperta, ma, se all’approfondirsi delle proprie domande - con il crescere dell’età e l’apparire dei naturali dinamismi di rifiuto che si vivono dopo la fanciullezza - avvertono che la proposta che è rivolta ai giovani dalla comunità cristiana è povera, abbandonano il cammino.
In questa prospettiva, appare importante tornare ad approfondire il grande tema dell’iniziazione cristiana dei ragazzi e dei giovani e molti hanno reagito con grande interesse agli accenni espliciti in merito compiuto da mons. Crociata nella sua relazione. Alla luce dei contributi dedicati alla catechesi degli adulti, sarà bene tornare allora a porre attenzione anche alle pratiche consolidate, sperimentali o auspicabili, dell'iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi.
Questa rinnovata attenzione dovrà, inoltre, essere posta in un orizzonte più ampio di quello meramente ecclesiale, nella consapevolezza che la difficoltà di educare non riguarda solo la Chiesa, ma anche il mondo della famiglia, quello della scuola, quello del tempo libero, ecc., che tornano oggi ad interrogarsi su come sia possibile formare le nuove generazioni.