Sobrietà e solidarietà: la moneta non misura lo sviluppo. Un’intervista al linguista Tullio de Mauro, di Luigi Vaccari

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /09 /2009 - 15:09 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati:
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo da Avvenire del 6 agosto 2009 un’intervista al prof. Tullio De Mauro, apparsa con il titolo originario Parla il linguista Tullio de Mauro. Ma la moneta non misura lo sviluppo. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il centro culturale Gli scritti (30/8/2009)



Dice Tullio De Mauro, padre della sociolinguistica italiana: «Sobrietà e sobrio sono antiche e belle parole. Se posso fare per un momento il mio mestiere di linguista, vorrei ricordare che nell’Ottocento qualcuno immaginò che avessero una radice comune con la parola greca sophron, 'sano di mente, saggio'. L’etimologia non è corretta, ma era ben trovata quanto al significato. La parola sobrius ha invece certamente a che fare con la parola ebrius, 'ubriaco' e con un antico prefisso, lo stesso che ritroviamo nella parola sed, 'ma': il sobrius era chi evitava di diventare ubriaco, la sobrietà era rifiuto delle ubriacature. Dell’ebrietas, 'ubriachezza'. Una bella parola, abbastanza comune, ma non frequentissima. Trent’anni fa Enrico Berlinguer, osservando l’inizio dei guasti che poi sono diventati un malanno assai serio, lanciò la parola d’ordine dell’austerità. Le opposizioni anche interne al suo stesso partito fecero fallire il progetto che aveva in mente. Si dirà che non è questione di parole. Ma austerità è sinonimo di severità, l’austero rischia di essere arcigno e un po’ noioso. La sobrietà invece non esclude la serenità e nemmeno l’allegria. Chissà, se Berlinguer avesse scelto sobrietà invece di austerità la sua idea di contrastare consumismo e ubriacature avrebbe avuto più ascolto e forse più spazio».

De Mauro è nato a Torre Annunziata nel 1932. Ha insegnato Linguistica generale e diretto il dipartimento di Scienze del linguaggio all’università La Sapienza di Roma. Ha scritto e pubblicato, con Laterza, Storia linguistica dell’Italia unita, Lezioni di linguistica teorica, La cultura degli italiani. Ha tradotto e commentato il Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure. Ha diretto il Grande dizionario italiano dell’uso per la Utet, per la quale ha firmato anche La fabbrica delle parole e sta preparando un Grande dizionario dei sinonimi e dei contrari. È autore inoltre di Parlare italiano, Scuola e linguaggio , Minisemantica, Capire le parole, Prima lezione sul linguaggio. Ha presieduto la Società di linguistica italiana (1969-1973) e la Società di filosofia del linguaggio (1995¬1997). È stato consigliere regionale del Lazio nelle liste del Pci (1975); assessore alla Cultura (1976-1978); ministro della Pubblica istruzione nel governo Amato (2000-2001). È responsabile della fondazione Bellonci, che gestisce il premio Strega.

Crede che gli italiani abbiano scoperto, penso ai giovani, o riscoperto, penso agli anziani, la sobrietà, questa virtù dimenticata, praticata oltre mezzo secolo fa, quando non c’era il superfluo dissennato, scomposta¬mente esibito, prevaleva il senso del limite e si respirava un’aria migliore? «No, temo che non sia in atto una riscoperta che coinvolga profondamente tutti i ceti e le generazioni. È cresciuta certamente in parecchie persone e in qualche istituzione, anche della Chiesa, la preoccupazione per dissipazioni e dissennatezze e volgarità: ma queste persone e istituzioni sono ancora, mi pare, troppo poche e deboli nel confronto con l’onda consumistica».

Perché pochissimi, tranne i poveri che sono sempre più poveri, riescono a contentarsi entro i confini della necessità e della sufficienza, ed evitano, come una malattia incurabile, la continenza, la frugalità, la misura? «
C’è stato un notevole sforzo internazionale per elaborare indicatori come l’Isu, l’indice di sviluppo umano, in cui accanto ai redditi si tiene conto delle condizioni di vita, salute, cultura.
Ma mi pare assai modesta l’eco in Italia. E anche internazionalmente crescita dei redditi e dei profitti mi sembra che siano l’indicatore dominante. Consumate di più così crescono i profitti d’impresa e cresceranno i vostri redditi, almeno quelli medi (cioè, di fatto, quelli alti): mi pare la parola d’ordine dominante ancora oggi, senza parlare di certi spot televisivi di qualche anno fa.
Del resto, se si ascolta attentamente un grande leader come Barack Obama, una sua parola d’ordine, certamente interessante rispetto alle nostre arretratezze nazionali, è: l’istruzione sarà la moneta del XXI secolo. Che vuol dire? Istruitevi di più perché così guadagnerete di più. Ciò in parte è vero. Ma la finalità che Obama sente il bisogno di prospettare mi sembra ancora quella della pura crescita dei redditi, non di una vita più sobria e serena».

Charles Schulz, il geniale creatore di Charlie Brown, dice in una striscia: «Felicità è desiderare ciò che si ha». Pietro Calabrese, dopo averla ricordata, si è chiesto tempo fa sul quotidiano 'Il Riformista': «Conoscete qualcuno intorno a voi che desidera ciò che ha?». E lei?
«Pietro Calabrese ha lunghe esperienze e credo abbia ragione nel provocarci con la domanda. Se devo rispondere personalmente, direi: sì, qualcuno ne conosco, più d’uno (per mia immeritata fortuna) nella cerchia familiare e qualcuno fuori: un paio di preti, forse perfino tre, qualche vecchio militante di sinistra, tre o quattro studiosi, qualche amico e amica qua e là per l’Italia, Dimentico certo qualcuno, ma pochi assai».

Perché continua a essere massima l’attenzione ai bisogni imposti e minima l’attenzione ai bisogni reali?
«Per la grande pressione dei gruppi economici e imprenditoriali dominanti, ne ho già parlato; e da noi, ma anche in altre parti del mondo, per deficienze nella capacità di analisi e, insomma, di cultura».

Le pare, allargando il campo, che la sobrietà sia presente nel linguaggio dei media o prevalgano in modo schiacciante l’eccesso, l’iperbole, la smodatezza? «
Se è presente, è soverchiata dallo stile gridato. Se una squadra perde una partita, anche assai onorevolmente, come nella finale della Confederation Cup il 28 giugno tra Usa e Brasile, i titoli parlano sempre di ko. Se uno avanza critiche, anche le più misurate, verso Tizio o Caio, il titolo è 'X bacchetta Tizio'. Se due discutono o non sono d’accordo 'è rissa'. E lo stile gridato è l’anticamera di volgarità, anche visive, di ogni genere».

L’esagerazione e l’incontinenza, nel linguaggio e negli stili di vita, sono colpevolmente diffusi anche in coloro che siedono in Parlamento?
«Sì».

La sobrietà può prescindere dalla solidarietà (che non deve essere fraintesa con la beneficenza, cioè con un fatto esclusivamente materiale, ma è qualcosa di più nobile come l’approssimarsi all’uomo)?
«No, sono sorelle gemelle. La solidarietà comporta riflessione e sobrietà. Attenzione, anche riflessione. Ricordo sempre l’impressione avuta da ragazzo quando per la prima volta ho letto in un antichissimo testo cristiano, nella Didaché, la Dottrina degli Apostoli, un manuale di istruzioni per le prime comunità cristiane: 'Studia nella tua mano l’obolo, prima di darlo'».

Soltanto nella sobrietà, cito a memoria una frase dell’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, si può manifestare il volto vero della Chiesa, che si avvicina all’uomo bisognoso, disperato, solo. Le pare che la Chiesa sia sobria?
«È un discorso lungo. Credo che lo sia in molte parti del mondo. E anche in parte d’Italia. Ma l’immagine ufficiale che si vuole irradiare (parliamo della Chiesa di Roma) è ancora quella della potenza e ricchezza. Ma io sto troppo 'in fondo alla navata' per vedere bene e giudicare».

Chi raccoglierà l’invito a guarire dagli eccessi, a rinunciare al lusso e alla superfluità, e a praticare comportamenti e stili di vita morigerati, privi d’inutili ridondanze, sobriamente efficaci?
«Credo che sia necessario quello sforzo di vigilanza che il Vangelo raccomanda: capacità di discernere, occhi aperti sulla realtà del 'mondo vasto e terribile' (diceva Antonio Gramsci), insomma, torno a dire, cultura».

Come vuole concludere?
«Da questi impacci dobbiamo cercare di 'sortirne insieme', diceva don Lorenzo Milani. Ma la strada è lunga e pochi la percorrono per ora, mi pare».