Dalla morte la vita: il martirio di Paolo alle Tre Fontane, di Andrea Lonardo
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Pubblichiamo un articolo scritto da Andrea Lonardo per la rubrica “Paolo a Roma” del sito www.romasette.it il 19 maggio 2009.
Il Centro culturale Gli scritti (22/5/2009)
«Decapitarono Paolo presso il fondo delle Acque Salvie, vicino all’albero del pino». Così recita il testo apocrifo degli Atti di Pietro e Paolo, scritto fra il V ed il VII secolo. Acquae Salviae è un toponimo che ricorda la gens Salvia (il cui rappresentante più famoso è l’imperatore Marco Salvio Otone che regnò per un brevissimo periodo nell’anno 69 d.C.) che poteva avere avuto il possesso di quei terreni, oppure una sorgente d’acqua ritenuta “salvifica” in età romana, a motivo di una particolare presenza benedicente di divinità pagane.
Solo successivamente il luogo prese il nome delle “Tre fontane”, quando si volle sottolineare la triplice sorgente d’acqua miracolosa sorta al contatto con il capo dell’apostolo decapitato, nella quale, al di là dell’oggettività del fatto, è da vedere la verità che già Tertulliano aveva enunziato: «Sanguis martyrum, semen christianorum», il sangue dei martiri è il seme che dà la vita a nuovi cristiani.
Sì, i cristiani di Roma - e non solo loro - debbono la loro fede e sono debitori di quella sorgente che irriga i loro cuori alla testimonianza di Pietro e Paolo.
Il martirio è l’espressione più alta della testimonianza. Il testimone è colui che non indica se stesso, ma piuttosto il Cristo in cui crede, invitando a guardare a lui come al Signore della vita e della storia. La convinzione che il martire ha della verità e della bellezza del Cristo è così grande che egli non esita ad offrire la stessa vita come suprema attestazione della propria certezza e del proprio amore.
Il nostro tempo, proprio perché erede del cristianesimo, è particolarmente sensibile all’autenticità ed alla trasparenza di ciò è nel cuore dell’uomo. La testimonianza del martirio è, in questa prospettiva, una delle forme più alte di comunicazione inter-personale. Il martire accetta di essere conosciuto nell’intimo, permette a tutti di avere accesso alla sua profonda convinzione di fede: l’amore di Cristo non può essere rinnegato e non c’è alcuna cosa, neanche la stessa vita, che è più importante della fedeltà al Signore in cui si è creduto.
Più volte Paolo utilizza un’espressione che sconcerta, ed, insieme, conquista ed affascina: il “mio Dio”, il “mio vangelo”, così l’apostolo afferma più volte. La fede gli è così intima che, certo, è di tutta la chiesa, ma al contempo è totalmente sua, gli appartiene pienamente.
Rifiutare all’altro di conoscere la fede che si ha nel cuore è come negargli di conoscere in profondità noi stessi. È proprio per questo che è così difficile ed, insieme, così bello giungere ad una intimità che condivide la fede. Ricordo una persona sposata che diceva: «Mi sentirei più nuda nel chiedere di pregare insieme il Padre nostro la sera, prima di addormentarci, di quando facciamo l’amore».
Paolo, nella nudità del martirio, permette ad ogni uomo di leggere nel suo cuore, consente a tutti di contemplare la sua fiducia ed il suo amore per Cristo. Ed egli è consapevole di questo. Più volte aveva ricordato ai cristiani nelle sue lettere che l’unico culto gradito a Dio è quello del cuore e della vita, quello in cui si offre il proprio corpo, la propria stessa vita, trasformando così radicalmente la concezione del culto propria dell’antichità: «Vi esorto, fratelli, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1-2), o ancora «Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo» (Rm 1,9).
Ora egli vive questa offerta nella sua radicalità più totale, fino all’offerta del sangue, come aveva scritto: «Se io devo essere versato sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,17).
E questo dono di sé per continuare a parlare di Cristo diviene l’acqua che disseta la nostra vita. Scriveva alcuni anni fa mons. Fisichella che in tedesco «“zeugnis” si traduce “testimone”, ma “zeugen” significa anche “generare”; insomma, il vero testimone genera e crea!».
Ed è significativo che il luogo del martirio di Paolo sia un luogo anche nascosto; lo portarono probabilmente alle Acque Salvie non per volontà dell’apostolo, ma per quella dei suoi carnefici. Colui che fu notissimo al mondo, colui che visse per decenni sotto i riflettori della storia, colui che percorse l’impero per annunciare il nome di Cristo, accettò poi di morire lontano dagli occhi degli uomini, per dire in semplicità ancora una volta, e questa volta pienamente, il suo amore per Cristo, la sua fiducia nel Risorto, la certezza che il Signore lo avrebbe fatto con-risorgere con lui. E da questa testimonianza il mondo continua a trarre vita, giungendo a credere al Signore della storia.