“Conosci te stesso”: la massima socratica e la vita interiore, di Enzo Bianchi (dalla Rassegna stampa)
Ripresentiamo on-line sul nostro sito alcuni passaggi della lectio magistralis di Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, che si terrà il 15 settembre 2007 al Festival della Filosofia promosso dalla Fondazione san Carlo ed è stata anticipata su Avvenire del 14/9/2007.
La vita interiore è quell'esperienza essenziale all'uomo per umanizzarsi, per realizzare la propria vocazione profonda e così rifuggire il rischio di un'esistenza dissipata, preda del non-senso. È quella vita che inizia con il movimento elementare di presa di distanza da sé e sfocia nella domanda decisiva: «Chi sono?». Scrive Platone: «Il più grande bene per l'uomo è interrogarsi su se stesso, e indegna di essere vissuta è una vita senza tale attività» (Apologia di Socrate 28,38a). La riflessione su questo tema è cara alle culture di ogni tempo e latitudine. Nell'occidente essa ha trovato la sua formulazione più pregnante nel famoso adagio gnôthi sautón, «Conosci te stesso», scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.
Ora, come ha osservato giustamente Étienne Gilson, «i greci dicono: conosci te stesso per sapere che non sei un Dio, ma un mortale; i cristiani dicono: conosci te stesso per sapere che sei un mortale, ma l'immagine di un Dio». Affermazione di capitale importanza per una corretta comprensione della vita spirituale in senso cristiano. Al centro della rivelazione biblica non vi è infatti lo sforzo dell'uomo teso a conoscere se stesso, ma l'affermazione fondamentale che Dio conosce l'uomo: «Signore, tu mi scruti e mi conosci», dice il salmista (Sal 139,1). Dio conosce la vita conscia e la vita inconscia dell'uomo, conosce anche ciò che l'uomo non può conoscere di sé; l'uomo, per parte sua, deve conoscere di essere conosciuto da Dio, cioè di essere preceduto, amato, chiamato e orientato da Dio: per la Scrittura è all'interno di questo movimento basilare che l'uomo può conoscere se stesso.
In tale ottica, è evidente che la conoscenza di sé da parte dell'uomo è assolutamente inseparabile dalla conoscenza di Dio. Quest'ultima, infatti, senza la conoscenza di sé produce la presunzione, mentre la conoscenza di sé senza la conoscenza di Dio ingenera la disperazione. Tale duplice conoscenza, evento di grazia e di rivelazione, produce invece l'umiltà. Che altro è, infatti, l'umiltà se non l'autentica conoscenza di sé, l'adesione alla propria creaturalità, il riconoscimento dell'humus da cui l'uomo proviene e che può condurlo a umanizzarsi, a divenire homo? Siamo qui alle radici della vita spirituale cristiana.
La vita interiore è quell'esperienza essenziale all'uomo per umanizzarsi, per realizzare la propria vocazione profonda e così rifuggire il rischio di un'esistenza dissipata, preda del non-senso. È quella vita che inizia con il movimento elementare di presa di distanza da sé e sfocia nella domanda decisiva: «Chi sono?». Scrive Platone: «Il più grande bene per l'uomo è interrogarsi su se stesso, e indegna di essere vissuta è una vita senza tale attività» (Apologia di Socrate 28,38a). La riflessione su questo tema è cara alle culture di ogni tempo e latitudine. Nell'occidente essa ha trovato la sua formulazione più pregnante nel famoso adagio gnôthi sautón, «Conosci te stesso», scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.
Ora, come ha osservato giustamente Étienne Gilson, «i greci dicono: conosci te stesso per sapere che non sei un Dio, ma un mortale; i cristiani dicono: conosci te stesso per sapere che sei un mortale, ma l'immagine di un Dio». Affermazione di capitale importanza per una corretta comprensione della vita spirituale in senso cristiano. Al centro della rivelazione biblica non vi è infatti lo sforzo dell'uomo teso a conoscere se stesso, ma l'affermazione fondamentale che Dio conosce l'uomo: «Signore, tu mi scruti e mi conosci», dice il salmista (Sal 139,1). Dio conosce la vita conscia e la vita inconscia dell'uomo, conosce anche ciò che l'uomo non può conoscere di sé; l'uomo, per parte sua, deve conoscere di essere conosciuto da Dio, cioè di essere preceduto, amato, chiamato e orientato da Dio: per la Scrittura è all'interno di questo movimento basilare che l'uomo può conoscere se stesso.
In tale ottica, è evidente che la conoscenza di sé da parte dell'uomo è assolutamente inseparabile dalla conoscenza di Dio. Quest'ultima, infatti, senza la conoscenza di sé produce la presunzione, mentre la conoscenza di sé senza la conoscenza di Dio ingenera la disperazione. Tale duplice conoscenza, evento di grazia e di rivelazione, produce invece l'umiltà. Che altro è, infatti, l'umiltà se non l'autentica conoscenza di sé, l'adesione alla propria creaturalità, il riconoscimento dell'humus da cui l'uomo proviene e che può condurlo a umanizzarsi, a divenire homo? Siamo qui alle radici della vita spirituale cristiana.