1/ I settenari dei sigilli, delle trombe e delle coppe nel libro dell’Apocalisse 2/ I mille anni e il millenarismo nell’Apocalisse. Capire i simboli per orientarsi, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /04 /2024 - 22:52 pm | Permalink | Homepage
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1/ I settenari dei sigilli, delle trombe e delle coppe nel libro dell’Apocalisse. Capire i simboli per orientarsi, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Sacra Scrittura e, in particolare, Apocalisse.

Il Centro culturale Gli scritti (29/4/2024)

Apparentemente sembra impossibile orientarsi nei meandri dell’Apocalisse e, in particolare, nei suoi settenari, ma ciò è in realtà abbastanza agevole, almeno nelle sue linee fondamentali.

1/ I tre settenari dei sigilli, delle trombe e delle coppe

Il primo settenario, quello dei sigilli, è un settenario “rivelativo”, che rivela a Giovanni e al mondo l’Agnello. I due settenari successivi, invece, quelli delle trombe e delle coppe, raccontano invece dell’agire di Dio: sono cioè due settenari “di azione”.

Biguzzi ha chiamato in maniera molto appropriata il primo settenario, quello dei sigilli, con l’introduzione importantissima dell’Agnello che li apre, “Ciclo del rotolo o della rivelazione dell’Agnello”.

Ha riunito, invece, i due settenari delle trombe e delle coppe, con al centro la sezione con funzione esplicativa del Drago e delle due Bestie, sotto il titolo esplicativo di “Ciclo dell’intervento medicinale sulle due idolatrie” [1].

Insomma c’è prima, nel settenario dei sigilli, una rivelazione dell’attore principale, il Cristo, insieme alla rivelazione che egli porta con sé dell’insieme della lotta storica e del suo destino progressivo e finale (Ap 6,1-8,1 preceduto dalla presentazione del trono, del libro sigillato dai sette sigilli e dell’Agnello in Ap 4,1-5,14).

C’è poi, nei due settenari delle trombe e delle coppe, un intervento “medicinale” di Dio, cioè c’è il racconto dei diversi flagelli che Dio mette in atto, come nel caso dell’Esodo con le sue piaghe, per convincere gli uomini a ravvedersi. Tale intervento medicinale è in due tappe, date appunto prima dal settenario delle trombe (Ap 8,2-11,19) e poi dal settenario delle coppe (Ap 15,1-16,21).

Poiché dinanzi a tale intervento gli uomini non si convertono, ecco che c’è allora il “ciclo giudiziale-escatologico” di Dio” (Ap 17,1-22,21).

Le trombe e le coppe, quindi, non debbono essere viste come punitive, ma come segni, come avvertimenti come indicazioni per un cambiamento, come invito alla conversione.

Il giudizio giunge solo quando e per chi non mostra alcun ravvedimento, nonostante i messaggi e i messaggeri di Dio che invitano alla conversione divengano sempre più chiari.

2/ Il settenario dei sigilli

Più in dettaglio, è evidente che il settenario dei sigilli vuole significare – ne abbiamo già scritto altrove[2] e qui lo enunciamo in sintesi estrema – che il senso del vivere e dell’intera storia dell’uomo e del cosmo, e della lotta che in essi si svolge, è sigillata in maniera radicale e inaccessibile. Nessuna creatura riesce a comprenderlo appieno: questo è il significato dei sette sigilli con cui il libro è chiuso in maniera ermetica.

Nessuno riesce ad aprirlo e a leggerlo, al punto che l’autore dell’Apocalisse scoppia in un pianto dirotto. Qui non è importante il settimo elemento, il settimo sigillo (come nel caso del settimo giorno di Genesi dove il settimo elemento è di una qualità diversa e più importante), ma che i sigilli siano sette[3]: è cioè una chiusura perfetta, un’impenetrabilità assoluta, un’incomprensibilità totale del senso delle cose. Il numero sette indica qui la totalità, l’assolutezza: non è una serie in progressione, bensì un insieme di sette elementi per dire la “chiusura assoluta e imperforabile” del libro.

Ma ecco che sale a sedere sul trono l’Agnello/Cristo che è l’unico ad aprirli, uno per uno: Cristo è l’unico che non solo conosce, ma dà senso alla storia, alla sua gioia e alla sua sofferenza, alla lotta che in essa si combatte giorno per giorno. I sette sigilli mostrano il cavaliere bianco/Cristo in azione e i tre cavalieri del male e poi la sorte dei santi, dei martiri e dell’intero popolo di Dio salvato – i 144.000, numero che indica il popolo d’Israele (12, cioè le 12 tribù), moltiplicato per la Chiesa (i 12 apostoli), per il tempo della storia (1000) – si veda più avanti per il senso del numero 1000.

È un settenario “rivelativo”, che rivela cioè che il male è operante nella storia, ma sarà sconfitto: rivela che la Chiesa è già nella salvezza e la raggiungerà in pienezza. La raggiungerà grazie all’Agnello.

Il settenario si chiude con il settimo sigillo – reso famoso dall’omonimo film di Ingmar Bergman -, che non è un’azione o una rivelazione, ma un silenzio lungo, “di mezz’ora”: è il silenzio dello stupore di chi si prepara a vedere la salvezza finalmente realizzata, è quel silenzio di gioiosa attesa che vive chi ha una speranza certa.

Scrive Biguzzi di tale silenzio:

«Il settimo sigillo […] è il più singolare dei sette perché non dà il via ad alcuna visione o rivelazione. Le rivelazioni dell’Agnello erano già chiuse quando il Vegliardo ha iniziato il suo dialogo con Giovanni. Ora invece, senza che altro accada, il cielo si ferma in un enigmatico silenzio di circa mezz’ora. Ciò che accade è dunque il silenzio. Nella logica narrativa dell’Apocalisse il silenzio di Ap 8,1 non è silenzio di angoscia o di paura come vogliono molti commentatori ma, per la luce che la rivelazione dell’Agnello ha gettato sugli interrogativi delle chiese e per il balsamo di consolazione che ha infuso, è piuttosto un silenzio di attesa: attesa dell’intervento di Dio che la lettura del rotolo ha promesso. Lo dice il confronto del silenzio con il pianto di Giovanni di cui parlava Ap 5,4. Di fronte all’universale incapacità ad aprire il rotolo, il pianto a dirotto di Giovanni era senz’ombra di dubbio una reazione negativa. Ma si è trovato chi può rompere i sigilli, e il rotolo è ora – insperatamente! – aperto. Alla reazione negativa di Giovanni non può allora non contrapporsi una reazione positiva: un silenzio pieno di fiducia perché le promesse di Dio non conoscono pentimento, e ora si realizzeranno. Il silenzio di Ap 8,1 non è solo un’indimenticabile invenzione letteraria di Giovanni, ma nell’Apocalisse svolge il ruolo strutturale e strategico di chiave di volta. È vertice narrativo per il ciclo del rotolo e segna il trapasso tra rivelazione dell’Agnello da una parte e azione di Dio dall’altra, tra promessa ed esaudimento della promessa, tra parola e storia»[4].

3/ I due settenari delle trombe e delle coppe

I due settenari che seguono sono, invece, quelli delle trombe e delle coppe.

Qui l’esito che è stato rivelato nel settenario dei sigilli diviene azione. Lo diviene in due tornate consecutive, da non intendersi consecutive temporalmente nel loro dispiegarsi, ma piuttosto in una ripetizione. Tale ripetizione è interrotta dal racconto centrale ai due settenari che utilizza i simboli del Drago e delle 2 Bestie ad indicare a quale idolatria gli uomini si prostrano, ma anche perché Dio li avverta perché si sottraggano a tale falsa adorazione.

Insomma i due settenari esprimono con simboli la stessa realtà, vista da due punti di vista complementari.

I flagelli delle trombe ricalcano in forma diversa le piaghe d’Egitto. Gli uomini non vogliono convertirsi al Dio vivo e vero e vogliono vivere nella malvagità e, pertanto, vengono fatti oggetto di flagelli simbolici come segni che li invitino a desistere dal male.

Come nell’Esodo gli eletti ne sono esenti.

I flagelli colpiscono solo un terzo del creato e della popolazione, proprio ad indicare che il fine non è l’annientamento, ma la conversione.

Come ne ha scritto Biguzzi:

«Per l’Apocalisse la miglior vendetta contro il violento e il persecutore è la loro conversione»[5].

Il valore di azione “medicinale” – come si è già visto è l’aggettivo scelto da Biguzzi – è affermato esplicitamente in Ap 9,20-21, dove si afferma che «il resto dell’umanità, che non fu uccisa a causa di questi flagelli, non si convertì dalle opere delle sue mani; non cessò di prestare culto ai demòni e agli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; e non si convertì dagli omicidi, né dalle stregonerie, né dalla prostituzione, né dalle ruberie».

Nel linguaggio simbolico dell’Apocalisse l’espressione sta ad indicare che non è ancora il tempo del giudizio definitivo, ma il tempo in cui accogliere l’azione di Dio che vorrebbe salvare anche i persecutori dei cristiani, tramite l’avvertimento dei flagelli.

Se questo testo è nel settenario delle trombe, uno analogo si ritrova in quello delle coppe:

«Il quarto angelo versò la sua coppa sul sole e gli fu concesso di bruciare gli uomini con il fuoco. E gli uomini bruciarono per il terribile calore e bestemmiarono il nome di Dio che ha in suo potere tali flagelli, invece di pentirsi per rendergli gloria.
Il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia; e il suo regno fu avvolto dalle tenebre. Gli uomini si mordevano la lingua per il dolore e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, invece di pentirsi delle loro azioni» (Ap 16,8-11).

Il pentimento, insomma, è il fine dell’azione divina, anche quando non giunge.

Anche il numero dei colpiti - che si ripete più volte - che è di un terzo, indica che si tratta di un invito a desistere.

Così Vanni spiega il simbolismo delle frazioni nell’Apocalisse e nel settenario delle trombe in particolare:

«Contrapposta a sette c’è la metà di sette, tre e mezzo. Si ha una totalità dimezzata, una parzialità. […] sarà il contesto a indicare un contenuto preciso: si avrà così una parzialità di durata, una parzialità di intensità, ecc. I 42 mesi in cui sarà calpestata la «città santa» (11,2) indicano, ad esempio, la durata limitata, l’emergenza di quella situazione. […] La stessa idea di una totalità diventata frammentarietà viene espressa mediante le frazioni: la indicano ad esempio το τριτον «la terza parte» che ricorre con l’insistenza di un motivo letterario nella sezione delle trombe (cf. 8,7-12), το τεταρτον «la quarta parte» (6,8)»[6].

Insomma i flagelli colpiscono solo un terzo del mondo perché ci sia un segno per la conversione di tutti.

In mezzo ai due settenari, poi, si rivela qual è il peccato per il quale gli uomini ricevono l’avvertimento dei flagelli e l’invito a convertirsi.

Innanzitutto in Ap 10-11 c’è il racconto dei due testimoni, di cui si può affermare in sintesi:

«I due Testimoni non sono Pietro e Paolo, oppure Stefano e Giacomo, o i due figli di Zebedeo, o Giovanni il Battista e Gesù, come viene di volta suggerito. Sono invece tutto il popolo di Dio nella sua dimensione sia anticotestamentaria (i due come Mosè, come Elia), sia neotestamentaria (i due come Gesù). Sono il popolo che, allo stesso modo di Giovanni (Ap 10), dovrà profetizzare e testimoniare contro la Bestia che sale dall'abisso e contro i suoi complici (Ap 11)»[7].

Subito dopo si presentano le figure del drago[8] e delle due bestie[9] che vanno in caccia del figlio della Donna: quella donna è la Chiesa che genera continuamente Gesù, il Figlio, nel tempo. La Donna non è direttamente Maria, come affermerà anche giustamente l’esegesi allegorica successiva, ma è la Chiesa stessa che continua a partorire il Figlio nella storia[10]. Il Figlio è salvato in cielo, mentre la Chiesa deve fuggire per la persecuzione, pur essendo protetta dalla mano di Dio.

I flagelli delle trombe e delle coppe, insomma, vengono inviati per la malvagità dei persecutori della fede che si appoggiano al potere economico e politico e utilizzano le “comunicazioni” del tempo per rendere gloria divina agli imperatori e perseguitare chi rifiuta tale tributo.

Il loro modo di procedere è idolatrico, volendo che sia adorato chi non è Dio, e anzi il male, e rifiutandosi di adorare il Cristo.

Anche nel presentare il drago e le sue due bestie, l’Apocalisse non si limita mai a presenta il nemico di Dio isolatamente, bensì sempre in contrapposizione a Dio e ai testimoni di Cristo (in questo caso i due testimoni) con la loro vittoria finale: non tratta mai, cioè, del male senza vedere al contempo il bene che gli si oppone e, dopo una apparante sconfitta, invece trionfa.

2/ I mille anni e il millenarismo nell’Apocalisse. Capire i simboli per orientarsi, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Sacra Scrittura e, in particolare, Apocalisse.

Il Centro culturale Gli scritti (29/4/2024)

Il numero 1000 nell’Apocalisse non ha importanza solo in sé, quando l’ultimo libro della Bibbia parla di un periodo di 1000 anni nel quale il Maligno è incatenato per essere poi slegato un’ultima volta (Ap 20,1-15).

Ma anche nei suoi multipli che già orientano a capirlo.

Infatti, il numero 1000 nell’Apocalisse è presente nei 144.000, numero che risulta da 12x12x1000[11].

Quel numero contiene il popolo ebraico (le 12 tribù di Israele), moltiplicato per la Chiesa (i 12 apostoli) per il tempo in cui il popolo di Dio vive nella storia e Cristo, tramite la Donna che genera Cristo nel tempo, raggiungendo sempre nuovi uomini che vengono sottratti al male.

Si vede qui quanto sia falsa l’interpretazione letterale dell’Apocalisse – e dell’intera Scrittura – che è tipica di gruppi settari, come ad esempio, i Testimoni di Geova[12] che vorrebbero che siano salvati solo 144.000 uomini in tutte le epoche della storia: una volta che i Testimoni di Geova si accorsero di essere ormai già più di 144.000, ipotizzarono un diverso Paradiso, non supremo come quello degli appartenenti a questo numero, ma includente anche altri, sebbene con una sorte eterna meno splendente, altrimenti la continuazione della storia e della loro predicazione sarebbe stata senza senso, essendo ormai esauriti i posti!

Si vede già da ciò come il numero 1000 non indichi nell’Apocalisse un tempo di 1000 anni cronologicamente inteso e nemmeno un tempo determinato.

Infatti, nel popolo di Dio, nei 12 per 12, entrano quei 1000 che vengono salvati in tutta la storia della chiesa.

Ha scritto con sapienza Vanni:

«Mentre il numero 7 indica tipi diversi di totalità ed è solo il contesto a precisare, il numero 1000 esprime, come suggeriscono l’altezza della cifra e alcune documentazioni del suo uso, la totalità propria del livello di Dio e dell’azione di Cristo. Il tempo, neutro allo stato di pura successione cronologica, diventa sacro se vi si considera la presenza e l’azione di Cristo: si avranno i 1000 anni (cf. 20,16). Lo stesso tempo, identico come durata cronologica, sarà qualificato «tempo breve» - μικρον χρονον: 6,11; 20,3 - se vi si considera presente l’azione antitetica a Cristo delle forze storiche che gli sono ostili»[13].

Allora il “millennio” del regno di Cristo in terra è esattamente la condizione di coloro che sono diventati cristiani ed hanno ricevuto il Battesimo, cioè la “prima resurrezione”.

Ci sarà poi una seconda resurrezione, attraverso la quale la seconda morte che non farà male a coloro che sono rinati in Cristo, a coloro, insomma, che sono già risorti con Lui nel Battesimo.

Ecco che, allora, con il “millennio”, con l’annuncio dei 1000 anni, si vuole veramente consolare i cristiani e dire come in terra si possa già sperimentare, anche nelle persecuzioni, la vittoria di Cristo e il suo regnare.

Annunciare i 1000 anni, per l’Apocalisse, è ripetere le parole di Cristo: “Avrete il centuplo quaggiù e la vita eterna”. Il regno di Dio non è rimandato solo nell’attesa della resurrezione dai morti, ma già ora lo si sperimenta in quel centuplo quaggiù che allieta i santi.

Comprendere il simbolismo apocalittico vuol dire, quindi, non solo comprendere che 1000 anni non vuol dire un periodo esattamente di 1000 anni, ma ancor più che un simbolo numerico indica invece una qualità della vita e non un periodo cronologico.

Scrive Biguzzi:

«Spiegando questo testo [Ap 20, 1-15], Agostino d’Ippona (Città di Dio 20) ha messo l’accento sul fatto che nel millennio le genti sono immunizzate dall’insidia del Drago e, di conseguenza, ha visto l’inizio del millennio nell’inizio della predicazione apostolica. L’annuncio evangelico ha sottratto all’influsso di Satana, non i singoli - dice Agostino d’Ippona -, ma i popoli evangelizzati. Dopo avere legato «il forte» di Mc 3,27, cioè il Drago, dice ancora Agostino, il Cristo ha liberato coloro che esso deteneva nella sua casa, cioè i popoli. E così Agostino mette anche noi, nel nostro tempo, fra i protagonisti del felice regno millenario. […] Simultaneo alla carcerazione di mille anni del Drago è il regno millenario del Cristo insieme con i martiri (più precisamente con i decapitati) e con tutti coloro che non hanno accettato di adorare la Bestia con la sua statua idolatrica, né di ricevere sulla mano sulla fronte il marchio del suo nome. Secondo il linguaggio biblico, nel calendario divino, la durata di 1000 anni è un’intera misura di tempo: «ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte» (Sal 90,4; cfr. 2 Pt 3,8). […] L'annunzio del millennio contenuto in questo testo è stato sempre sentito come buon annunzio, perché tutti anelano alla liberazione dal male e alla beatitudine del regno di Dio. Dopotutto Gesù ha insegnato a chiedere l’una e l’altra nella preghiera del Padre Nostro: «Venga il tuo regno», «Liberaci dal male»».

L’esegesi ha così respinto l’interpretazione millenaristica ogni volta che si è affacciata nella storia della Chiesa, alle origini, così come in diversi gruppi protestanti nei secoli. Ma ha affermato, invece, che nel Battesimo e nella conversione si viene a vivere veramente una vita nella quale la morte è già vinta, già il centuplo è dato quaggiù, già Cristo regna, anche se si deve poi attendere la morte e la resurrezione per ricevere quella vita alla quale la “seconda morte” – termine caro anche a Francesco d’Assisi nel Cantico delle Creature – non può fare alcun male.

Già questa vita appartiene “al regno di Cristo” ed è perciò sacerdotale e regale insieme. Ne ha scritto ancora Biguzzi:

«Non fa meraviglia dunque che questo testo abbia acceso le attese dei millenaristi dei primi secoli (ma il millenarismo non si è mai spento, soprattutto fra le confessioni protestanti). In preparazione del regno finale ed eterno di Dio, essi aspettavano il regno di Cristo sulla terra, un tempo non solo di bene e di giustizia, ma di straordinaria fertilità del suolo e, per qualcuno, anche di soddisfazione degli istinti naturali. Per questo ci fu chi cominciò a contrastare la credenza del millennio (Origene, Girolamo, Ticonio, Agostino d’Ippona…), e le chiese si misero sulla linea dell’interpretazione agostiniana di esso, quale tempo che va dalla predicazione apostolica alla venuta gloriosa del Cristo. […] Al regno millenario del Cristo, Giovanni unisce la quinta delle sue sette beatitudini: è la beatitudine di chi ha parte alla prima risurrezione. La beatitudine è commentata e completata con ciò che accadrà durante e dopo il regno millenario. Quanti avranno preso parte alla prima risurrezione non saranno toccati dalla seconda morte, e durante il millennio saranno sacerdoti di Dio e del suo Cristo e con il Cristo regneranno. Il regno dei mille anni comporta dunque lode sacerdotale e giusto governo del mondo durante il millennio, e vita per l'eternità».



[1] Per il convincente schema sintetico di lettura dell’Apocalisse proposto da Biguzzi, con la determinazione delle sue sezioni, cfr. G. Biguzzi, Gli splendori di Patmos. Commento breve all’Apocalisse, Milano, Paoline, 2007, p. 19 e, più in generale, pp. 15-20. Per gli studi più ampi e scientifici di Biguzzi, cfr. G. Biguzzi, L’Apocalisse e i suoi enigmi (Studi biblici 143), Brescia, Paideia, 2004 e G. Biguzzi, Apocalisse, Paoline, Cinisello Balsamo, 2005 e, precedentemente, G. Biguzzi, I Settenari nella struttura dell'Apocalisse. Analisi, storia della ricerca, interpretazione, Bologna, EDB, 1996.

[3] Per la differenza dell’utilizzo del numero “sette” in Genesi e in Apocalisse, cfr. Non 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, ma 6 contro 1! Il settimo giorno nella creazione e nella catechesi. Breve nota di Andrea Lonardo, oltre a Dare i numeri nell’Apocalisse, di Andrea Lonardo. Sul simbolismo dell’Apocalisse – e anche sulla questione del simbolismo numerico, cfr. Il simbolismo «specifico» dell'Apocalisse, da U. Vanni.

[4] G. Biguzzi, Gli splendori di Patmos. Commento breve all’Apocalisse, Milano, Paoline, 2007, p. 74.

[5] G. Biguzzi, Gli splendori di Patmos. Commento breve all’Apocalisse, Milano, Paoline, 2007, p. 86.

[6] U. Vanni, Il simbolismo dell’Apocalisse, in U. Vanni, L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, Bologna, EDB, 1988, p. 53.  

[7] Per un commento integrale a tali simboli, cfr. Chi sono i due testimoni nell’Apocalisse?, di Giancarlo Biguzzi. Brani di difficile interpretazione nella Bibbia XXX da cui la citazione è tratta.

[8] Come afferma chiaramente e inequivocabilmente Ap 20,1, il drago è il demonio: «il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana». Il termine anticristo, che è chiaramente un termine cristiano e individua il male supremo nell’odio verso Cristo, poiché solo la sua scomparsa impedirebbe ormai la salvezza, è stato coniato dal quarto evangelista nelle sue lettere e non è presente nell’Apocalisse, anche se l’insegnamento dell’ultimo libro della Scrittura così lo dipinge, come di colui che vorrebbe distruggere il Figlio della Donna, il Cristo che sempre rinasce dalla Chiesa nel tempo; sul termine “anticristo” e la sua origine, cfr. "Chi è l'anticristo?", di Ignace de la Potterie.

[9] Così ha affermato Biguzzi: «La grande maggioranza dei commentatori ritiene che la prima bestia sia l’imperatore romano, adorato come dio soprattutto in Asia Minore, e che la seconda bestia sia l’organismo politico-religioso incaricato di promuovere le varie manifestazioni di quel culto» (in Il tempio e la statua che provocarono la composizione dell’Apocalisse, di G. Biguzzi). Sul simbolismo maligno del numero 666 e sul riferimento imperiale, ma non solo, cfr. 666, il numero della bestia: il simbolo che ricorda che il Maligno è una “mezza figura”, un “mezz’uomo”, una “mezza calzetta”. Solo il Cristo è la figura intera e la chiesa dei 144.000 vince il male con il Signore. Breve nota di Andrea Lonardo.

[12] Sul nome di Dio nell’Antico Testamento e sul perché esso sia vocalizzato in maniera volutamente errata in “Geova”, cfr. YHWH: il Tetragramma, le quattro lettere del Nome divino, di Giancarlo Biguzzi.

[13] U. Vanni, Il simbolismo dell’Apocalisse, in U. Vanni, L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, Bologna, EDB, 1988, p. 53.